11.8.17

A Creta. L'arrivo a Candia (dal "Viaggio in Grecia" di Cesare Brandi)

Il porto veneziano di Candia. Foto di Gianluigi Colo
Sorte amara di un’isola che, dopo essere stata la depositaria di una civiltà primeva, misteriosa e raffinatissima, in anticipo su quasi tutti i rivieraschi del Mediterraneo; dopo avere vivacchiato onorevolmente fino alla fortuna, insperata, di divenire veneziana, proprio all’ultimo, quando sembrava che ce l’avesse fatta a scampare dai turchi, i turchi se la pigliano, e in meno di due secoli ne distruggono ventisette. L’isola, per sembianze naturali è ammirabile, sicché si propone di continuo come sorella minore, e dico poco, della Sicilia. Si faccia, in una giornata bella quale ci toccò in sorte, la crociera dalla Canea a Hiràklion (ossia Candia: dannati nazionalismi archeologici... di cui noi deteniamo il primato) e si evochi pure qualsiasi minaccioso ricordo. Monti dai profili ardui coperti di neve, una fascia litoranea col tremito delle foglie nuove, le fumate bianche degli alberi fioriti, e lungo mare, prati verdi come persiane. Il mare giocava di riflessi lucidi e opachi, come un raso, sul fondo vinoso dei mari autentici, e a un tratto, sorge l’Ida, immane sfaccettata, sotto la neve, a pancia in su, come una tartaruga rovesciata. L’Ida, ossia Giove fanciullo, la capra Amaltea... Basta, si vorrebbe gridare. E invece ci si accoccola sul piancito di prua e si guarda. Quella costa, dalla Canea a Candia, in primavera, col sole e la neve, con l’azzurro vinoso del mare e il celeste sbucciato, a totale copertura, del cielo.
L’arrivo a Candia segna l’attesa delusione. Il porto veneziano che dovrebbe essere bellissimo, ora è quasi distrutto: qui un pezzo, là un altro. E che non ci si aspetti, come non poteva mancare, una cinta turrita, merlata, simile a quella di Rodi. C’è invece la solita edilizia casuale, sbalestrata, priva di senso: come al Pireo, come, dovunque, nei villaggi turchi dell’Anatolia. Una civiltà che non era una civiltà e che pure è riuscita a contaminare di informe le culture più antiche, a dissolverle, a cancellarle più dei terremoti. Se non ci fosse stato il gusto infallibile di Maometto secondo, anche ( Costantinopoli sarebbe ora solo un erratico accozzo di casucce di legno. Ma a Maometto piaceva Santa Sofia, la pittura di Gentile Bellini, i velluti veneziani; resta di lui la più vanitosa guardaroba, e tutta autentica, che di qualsiasi altro sovrano. A Candia, l’occlusa mentalità turca, per di più in decadenza su se stessa, ha naturalmente dissolta la città veneziana, e infranto, con quelle case di tralice e perplesse, la tessitura delle strade; come dono non richiesto e pretenzioso, ecco una moschea - ora chiesa ortodossa - con movenze rococò: edificio curioso, simile a vari altri di Costantinopoli, ma di una ibridazione stordita, come gli esotismi architettonici dei parchi romantici. Con quei merletti di pietra, in mezzo all’urbanistica più pedestre, sembra una signora sorpresa coi bigudì; né sa dove rifugiarsi. 
Poi, la città è accogliente, seppure rumorosa, ma come da noi era la Cassino improvvisata dopo la guerra: mostre di verdure, di aranci, di cocci, di pannine: tettoie e ancora tettoie. Un odore grasso di montone arrostito: e una grande gentilezza, ovunque. Tutti comprendono un po’ d’italiano e magari ti dicono: “ciaio”, come ha fatto con me il venditore di cartoline.  

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