Una immagine de "Il fiore del dolore", il dramma di Mario Luzi dedicato a don Puglisi (2003) |
Un giorno la mafia sarà
battuta, vaticinava Giovanni Falcone con lottimismo dei giusti. Una
strage dopo l’altra, un appalto sporco dopo l’altro, vediamo
tutti la brutta piega che hanno preso le cose. La mafia strangola la
vita civile e politica, inquina la finanza e, con le sue metamorfosi,
allontana la visione di quel desiderato epilogo. Se è impossibile
prevedere quando finirà, è facile però dire quando è cominciata
questa storia partita dalla Sicilia. Era il 1861, anno dell’Italia
unita, anno in cui l’attore e drammaturgo Giuseppe Rizzotto
completava il terzo atto de I mafiusi e consegnava al nuovo
Stato un sostantivo che nessuno sapeva come interpretare. Perfino
quel fine etnologo di Giuseppe Pitrè si scopriva disarmato. Come
poteva tradurre mafiusu? Optò per «coraggioso». Solo Filippo
Antonio Gualtieri, prefetto di Palermo, spazzò via le pagliuzze
linguistiche e parlò di «associazione malandrinesca». La tragedia
poteva cominciare. Tragedia assoluta.
Quante facce avrebbe
avuto? E quante fasi attraversato o addirittura modellato? La
risposta è nel saggio di Andrea Bisicchia Teatro e Mafia,
Docente all’università di Parma e alla Cattolica di Milano,
Bisicchia ha studiato la drammaturgia di Pirandello, di Eduardo, di
Fo e, da archivista implacabile, ha illustrato i rapporti del teatro
con il sacro e con la scienza. Adesso colma un vuoto e, insieme,
racconta una storia artistica che si lega come un’ombra alla storia
criminale che la ispira. Bisicchia comincia dalla commedia di
Rizzotto e dal suo successo tanto clamoroso e provocatorio da indurre
nel 1966 Leonardo Sciascia a tradurre il testo in lingua per il
Piccolo di Milano. Ma più che tradurre Sciascia riscrisse il secondo
atto e reinventò il terzo. L’operazione, ripresa poi dallo Stabile
di Catania, mostrava una verità: se l’impianto teatrale pervadeva
la narrativa di Sciascia, al momento di affrontare il palcoscenico si
rivelava insufficiente. Lo si vide con il dramma L'onorevole,
che non riuscì neppure ad andare in scena. Cosa che non era accaduta
all’Eduardo del Sindaco del rione Sanità e neppure,
inaspettatamente, a don Luigi Sturzo che nel 1900 con il dramma La
mafia aveva fatto esplodere il rapporto tra malavita e politica.
Diversi nella caratura,
sono innumerevoli gli autori che passano al vaglio storico-critico di
Bisicchia. Per esempio il fondamentale Giuseppe Fava, divenuto con La
violenza e con L'ultima violenza un accusatore
irriducibile di Cosa Nostra, che lo uccise nel 1984 sulla soglia del
Teatro Stabile di Catania. Non può mancare Mario Luzi che con Il
fiore del dolore ha portato in scena allo Stabile di Palenno il
martirio di don Puglisi, prete coraggioso del quartiere Brancaccio.
Luzi aveva composto un’opera di poesia sullo schema di Assassinio
nella cattedrale di Eliot e il suo poema drammatico, partendo da
quel brutale fatto di cronaca, si risolveva in una meditazione
sull’uomo e la fede.
Intravediamo così le varianti che il fenomeno mafioso è riuscito a provocare passando attraverso il teatro-inchiesta e il teatro-cronaca. La spinta a raccontare e ad interpretare non si è mai arrestata. Oggi è perfino un tema à la page. Basti dire quanto posto occupi la mafia nell’opera della nouvelle vague teatrale, da Ruggero Cappuccio a Emma Dante a Roberto Cavosi a Roberto Saviano. E’ un lume in piena. Finirà? Certo. Basterà aspettare che la mafia venga battuta.
Intravediamo così le varianti che il fenomeno mafioso è riuscito a provocare passando attraverso il teatro-inchiesta e il teatro-cronaca. La spinta a raccontare e ad interpretare non si è mai arrestata. Oggi è perfino un tema à la page. Basti dire quanto posto occupi la mafia nell’opera della nouvelle vague teatrale, da Ruggero Cappuccio a Emma Dante a Roberto Cavosi a Roberto Saviano. E’ un lume in piena. Finirà? Certo. Basterà aspettare che la mafia venga battuta.
"La Stampa - Tuttolibri", 22 ottobre 2011
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