16.8.17

L'età d'oro degli amanti (Francesco Troiano)

Non brilla - diciamolo subito - per completezza e per capacità di vera analisi, L’amore folle al cinema (Gremese, 2011): per chi voglia approfondire l’argomento, converrà rivolgersi ad uno studio d’annata, magari Amour, érotisme et cinéma (1957) di Ado Kyrou.
Il volume firmato da Giusy Pisano - maitre de conferences all’Università di Lille 3, dirige ricerche in studi cinenematografici presso l’Università Paris 3 - ha, almeno, un paio d'innegabili pregi: tenta di suddividere in vari sottogeneri l'argomento principale e, nel suo procedere a volo d’uccello analizza un elevato numero di pellicole, sino ad arrivare ai giorni nostri.
Sontuosamente illustrato (anche se, ci pare, il formato a striscia della nuova collana cinematografica di Gremese non valorizza abbastanza il repertorio fotografico), il libro indaga l'amour fou in ogni suo aspetto, forse allargando troppo lo spettro del tema. Nella prima sezione dedicata a “L'inverosimile”, l'autrice sentenzia ad esempio che «al tumulto dei sentimenti sembrano adattarsi meglio le forme ellittiche e atemporali del meraviglioso e del barocco, in cui regna l'amplificazione per mezzo di iperboli, accumulazioni, ripetizioni e contrappunti»; dipoi, una schidionata di titoli che si configurano come favole moderne, da Sabrina (1954) di Billy Wilder a Moulin Rouge! (2001) di Baz Luhrmann. In realtà, codesti film appartengono a generi diversi dalla sophisticated comedy al musical, e suona alquanto forzoso infilarli nel letto di Procuste d'una simile classificazione
Meglio le cose vanno nel prosieguo: nella sezione «L’impossibile», con una frase di Edgar Morin posta in esergo («l’eccesso di saggezza diviene follia, la saggezza può sottrarsi alla follia solo unendodosi alla follia della poesia e dell'amore»), trovano posto opere che trattano di amori senza via d’uscita. Da La donna di Parigi (1923) di Charlie Chaplin a I ponti di Madison County (1995) di Clint Eastwood (in cui il protagonista Robert è in fuga «dal senso americano di morale familiare che sembra avere ipnotizzato l’intero paese»), l’itinerario ci appare più sostenibile: vieppiù se si chiude sullo straziante I segreti di Brokehack Mountain (2005) di Ang Lee, il cui scopo è «restituire la malinconia che subentra a un amore a lungo sublimato».
È ne «L’amore fino alla morte», però, che compaiono le pagine più convincenti: qui si va da Ossessione (1943) di Luchino Visconti ad Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci, quest’ultimo tutto all’insegna di quel Bataille che riassunse il senso amour fou in una folgorante sintesi («l’appropriazione della vita sino alla morte»).
L’ultimo ripiano, «L’anticonformista», è occupato da Gli amanti (1958) di Louis Malie, Jules e Jim (1962) di Francois Truffaut e svariati altri attacchi in celluloide alle consuetudini borghesi in termini di morale sessuale: non mancano, stavolta, le osservazioni stimolanti ed i punti di vista originali. Come prima s’accennava, è tuttavia il succedersi di foto a garantire il tono alla canzone: dalla sublime «Lya Lys» ne L’età dell’oro (1930) di Bunuel a Klaus Kinski chino sul collo candido di Isabelle Adjani nel Nosferatu (1979) di Herzog, dagli innamorati Aimée-Trintignant de Un uomo, una donna (1966) di Lelouch ai sadomaso-chisti Huppert-Magimel de La pianista (2001) di Haneke... 
«Non nego che l’amore sia compromesso nella vita, dico che deve vincere, e perciò deve essere innalzato a una tale coscienza poetica di se stesso che tutto ciò che inevitabilmente incontra d’ostile vada in fumo sul fuoco della sua gloria»: di fronte ad una così straordinaria sfilata d’immagini, come non dare ragione ad André Breton ed alle sue parole ardenti di passione?

"La Stampa - Tuttolibri", 3o luglio 2011

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