Podgorny, Longo, Kruscev e Lama portano a braccio il feretro di Palmiro Togliatti |
Venne il momento della
partenza del corteo. Alla bara furono resi gli ultimi commossi
saluti. Una donna inginocchiata continuò a pregare, quando già la
salma era stata portata a braccia fuori dal palazzo.
Quarantotto ore era
continuata la lenta, ordinata, reverente sfilata. I comportamenti
diversi indicavano la vastità del tributo reso da donne, fanciulli,
uomini così diversi, per condizioni sociali, orientamenti politici e
ideali e fedi religiose, eppure uniti in uno stesso cordoglio.
Accanto al giovane operaio, ancora in tuta, dritto nel saluto
proletario del pugno chiuso (ignaro, evidentemente, di quanto quel
gesto fosse sgradito a Togliatti, che amava piuttosto la mano tesa,
da amico
ad amico), vi erano le
donne e gli uomini che esprimevano, malgrado le vane scomuniche, il
loro sentimento coi gesti naturali della religione cattolica, fino al
bacio dato al drappo rosso o al nastro tricolore. E quanti bambini
recati dai genitori a dare quel tributo, perché crescessero col
ricordo di quel giorno, nel quale anch’essi avevano partecipato
alla manifestazione nazionale che concludeva non solo la vita di un
uomo, ma un grande periodo della storia nazionale.
E tutti erano passati,
compagni, amici ed avversari politici. Uno dei primi ad arrivare era
stato Guido Carli, il governatore della Banca d’Italia, severamente
criticato da Togliatti nell’ultimo discorso pronunciato alla
Camera. E nell’abbraccio di Pietro Nenni, il suo pianto commosso
scioglieva i nodi di decennali rapporti unitari, e di incontri e di
scontri, e di dure polemiche, che avevano indissolubilmente legato i
destini dei due dirigenti del movimento operaio italiano. Il pianto
solitario di un vecchio compagno, criticato e severamente trattato da
Togliatti, diceva il dolore di chi era stato sorpreso da quella
morte, in quel momento, senza che fosse più possibile un
ravvicinamento e una spiegazione.
Chi ha potuto per ore ed
ore salutare ed abbracciare amici, compagni, cittadini, non
dimenticherà mai il significato di quell’omaggio, composto e
commosso, manifestazione di un nuovo costume civile e democratico,
fatto di umana tolleranza e di fermezza disciplinata e responsabile.
È il nuovo costume democratico che si esprimerà più tardi nel
comportamento del popolo milanese raccolto in piazza del Duomo, dopo
l’eccidio fascista di piazza Fontana, o a Brescia, più avanti. E
quel costume era già un frutto dell’opera di educazione svolta da
Togliatti, la fermezza, l’autocontrollo, e, insieme, un senso di
commossa fraternità. E quel costume era già una vittoria importante
su un retaggio rissoso, scomposto e vanitosamente personalistico,
tramandato da un passato di opportunismo servile e di bigotta
ipocrisia. Era già l’affermazione di una Italia nuova, moderna,
che si affermerà dieci anni più tardi nella vittoria dei « no »
contro il referendum.
Davanti alla salma di
Togliatti, si era avuto l’incontro, da lui preparato, tra operai ed
intellettuali, tra la gente semplice del lavoro e gli uomini della
scienza e dell'arte, quell’unità della nazione che era stata lo
scopo al quale aveva dedicato la sua vita, perché quella unione è
la condizione dell'ascesa e del progresso dell’Italia verso il
socialismo.
La bara fu sollevata ed
uscì alla grande luce del pomeriggio romano, nel contrasto
acutissimo tra il silenzio della grande folla, rotto soltanto dai
singhiozzi e dalle preghiere, e il giuoco violento dei colori, le
rosse bandiere, i tricolori, le bianche camicie degli uomini e le
vesti policrome delle donne. C’era anche il nero di un gruppo di
suore. Il cielo, man mano che il corteo procedeva lento verso piazza
San Giovanni, si tingeva di rosso, ed il verde scuro dei pini si
stagliava netto.
Roma si era tutta
raccolta per salutare Togliatti. Dicemmo poi che eravamo un milione.
Moltiplicata per cento e per mille era la stessa folla che era
passata davanti alla salma di Togliatti, nell'atrio del palazzo di
via delle Botteghe Oscure, la stessa per comportamento e gesti
naturali, con una più marcata affermazione regionale, da parte degli
uomini e delle donne venuti dal Nord o dal Sud, dei modi con cui da
sempre si esprime in ogni famiglia il dolore per la perdita di un
padre.
E questo era il
sentimento che accomunava tutti, la coscienza di essere diventati
orfani, di avere perso una guida ed una protezione. Chi aveva scritto
(e chi scrive ancora) che Togliatti era freddo, distante, incapace di
stabilire un contatto umano con la gente, dovrebbe chiedersi, se
avesse onestà intellettuale, perché la sua morte suscitò simile
partecipazione. Solamente la grande folla raccolta un anno prima in
piazza San Pietro per salutare la salma di papa Giovanni poteva
reggere il confronto. E, probabilmente, erano in gran parte le stesse
donne e gli stessi uomini, accompagnati anche quella volta dai loro
figlioli. Essi avevano compreso e raccolto l’essenziale del
messaggio di fraternità e di unità lanciato da uomini pur così
diversi, e pur fieramente combattenti, e coraggiosi.
Di quel giorno non deve
andare perduta la lezione di unità nazionale. I funerali di
Togliatti non possono restare nel ricordo soltanto come i funerali di
un capo di partito. C’era il partito, c’era la nazione e c'era,
insieme, e per le stesse ragioni, l’internazionale. L’anello che
legava tutto era quel sentimento nazionale, quella Patria
riconquistata, sotto la sua guida, dalla classe operaia, e non solo
nell'eroismo della Resistenza ma, soprattutto, nell'amara disciplina
della ricostruzione, e nella lunga interminabile battaglia del
rinnovamento.
I funerali di Togliatti
furono quelli di un grande capo della Nazione italiana che, con
l’aiuto del suo partito, l’aveva guidata, trasformata, educata.
Arrivò la salma a San
Giovanni, e, davanti alla salma, cominciò la giostra dei discorsi.
Tutti erano stanchi, piegati più che dalla fatica, dal tumulto delle
emozioni. In quella solenne piazza San Giovanni Togliatti aveva
parlato a lungo poco più di un mese prima. Era stato un discorso di
lotta, contro i pericoli sempre risorgenti nel nostro paese della
destra autoritaria e del fascismo. Quel giorno egli sembrava che non
volesse staccarsi più dal microfono, mentre il popolo accoglieva,
con intelligente sensibilità, la lezione di strategia politica.
Quella sera c’era stato sul palco chi, tra gli amici più stretti,
aveva espresso le sue preoccupazioni per la fatica sopportata da
Togliatti, malgrado il suo non buono stato di salute. Ma nessuno
aveva avuto il coraggio di tentare di fermarlo, come se in quel
prolungamento oratorio, per lui inconsueto, si esprimesse,
inconsapevole, la volontà di non perdere quell’occasione di
contatto diretto con il popolo di Roma. Molti vogliono ricordarlo in
quell’ultimo gesto, ampio e fraterno, di commiato.
Sono passati dieci anni.
L’Italia sembra ancora una volta sommersa dal fango. È sconvolta
dalle bombe fasciste, ferita nelle sue istituzioni democratiche, rosa
da una crisi economica aggravata dal cinico egoismo dei profittatori.
Eppure, se anche in questo momento, la fiducia nella intelligenza
politica e nella ferma combattività del popolo italiano non viene
meno, è anche perché il ricordo di quel giorno torna a temprare le
volontà. Quelle donne e quegli uomini raccolti quel pomeriggio, e i
milioni riuniti nella stessa ora in tutta Italia, sono sempre
presenti, fedeli a quel ricordo e all’impegno preso quel giorno. E
i fanciulli recati per mano a quel funerale, e i giovanetti schierati
in prima fila, sono cresciuti, sono oggi i giovani combattenti
chiamati a continuare l’opera di Togliatti.
Postilla
Il testo fu scritto nel 1974 per I comunisti raccontano, curato da Massimo Massara e Carlo Salinari, che raccoglieva mese per mese, come inserto del "Calendario del Popolo", testimonianze dall'interno sulla storia del Pci. Il volume completo fu diffuso all'inizio del 1975 da Teti, l'editore della rivista.
Il testo fu scritto nel 1974 per I comunisti raccontano, curato da Massimo Massara e Carlo Salinari, che raccoglieva mese per mese, come inserto del "Calendario del Popolo", testimonianze dall'interno sulla storia del Pci. Il volume completo fu diffuso all'inizio del 1975 da Teti, l'editore della rivista.
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