31.8.17

I funerali di Togliatti (Giorgio Amendola)

Podgorny, Longo, Kruscev e Lama portano a braccio il feretro di Palmiro Togliatti
Venne il momento della partenza del corteo. Alla bara furono resi gli ultimi commossi saluti. Una donna inginocchiata continuò a pregare, quando già la salma era stata portata a braccia fuori dal palazzo.
Quarantotto ore era continuata la lenta, ordinata, reverente sfilata. I comportamenti diversi indicavano la vastità del tributo reso da donne, fanciulli, uomini così diversi, per condizioni sociali, orientamenti politici e ideali e fedi religiose, eppure uniti in uno stesso cordoglio. Accanto al giovane operaio, ancora in tuta, dritto nel saluto proletario del pugno chiuso (ignaro, evidentemente, di quanto quel gesto fosse sgradito a Togliatti, che amava piuttosto la mano tesa, da amico
ad amico), vi erano le donne e gli uomini che esprimevano, malgrado le vane scomuniche, il loro sentimento coi gesti naturali della religione cattolica, fino al bacio dato al drappo rosso o al nastro tricolore. E quanti bambini recati dai genitori a dare quel tributo, perché crescessero col ricordo di quel giorno, nel quale anch’essi avevano partecipato alla manifestazione nazionale che concludeva non solo la vita di un uomo, ma un grande periodo della storia nazionale.
E tutti erano passati, compagni, amici ed avversari politici. Uno dei primi ad arrivare era stato Guido Carli, il governatore della Banca d’Italia, severamente criticato da Togliatti nell’ultimo discorso pronunciato alla Camera. E nell’abbraccio di Pietro Nenni, il suo pianto commosso scioglieva i nodi di decennali rapporti unitari, e di incontri e di scontri, e di dure polemiche, che avevano indissolubilmente legato i destini dei due dirigenti del movimento operaio italiano. Il pianto solitario di un vecchio compagno, criticato e severamente trattato da Togliatti, diceva il dolore di chi era stato sorpreso da quella morte, in quel momento, senza che fosse più possibile un ravvicinamento e una spiegazione.
Chi ha potuto per ore ed ore salutare ed abbracciare amici, compagni, cittadini, non dimenticherà mai il significato di quell’omaggio, composto e commosso, manifestazione di un nuovo costume civile e democratico, fatto di umana tolleranza e di fermezza disciplinata e responsabile. È il nuovo costume democratico che si esprimerà più tardi nel comportamento del popolo milanese raccolto in piazza del Duomo, dopo l’eccidio fascista di piazza Fontana, o a Brescia, più avanti. E quel costume era già un frutto dell’opera di educazione svolta da Togliatti, la fermezza, l’autocontrollo, e, insieme, un senso di commossa fraternità. E quel costume era già una vittoria importante su un retaggio rissoso, scomposto e vanitosamente personalistico, tramandato da un passato di opportunismo servile e di bigotta ipocrisia. Era già l’affermazione di una Italia nuova, moderna, che si affermerà dieci anni più tardi nella vittoria dei « no » contro il referendum.
Davanti alla salma di Togliatti, si era avuto l’incontro, da lui preparato, tra operai ed intellettuali, tra la gente semplice del lavoro e gli uomini della scienza e dell'arte, quell’unità della nazione che era stata lo scopo al quale aveva dedicato la sua vita, perché quella unione è la condizione dell'ascesa e del progresso dell’Italia verso il socialismo.
La bara fu sollevata ed uscì alla grande luce del pomeriggio romano, nel contrasto acutissimo tra il silenzio della grande folla, rotto soltanto dai singhiozzi e dalle preghiere, e il giuoco violento dei colori, le rosse bandiere, i tricolori, le bianche camicie degli uomini e le vesti policrome delle donne. C’era anche il nero di un gruppo di suore. Il cielo, man mano che il corteo procedeva lento verso piazza San Giovanni, si tingeva di rosso, ed il verde scuro dei pini si stagliava netto.
Roma si era tutta raccolta per salutare Togliatti. Dicemmo poi che eravamo un milione. Moltiplicata per cento e per mille era la stessa folla che era passata davanti alla salma di Togliatti, nell'atrio del palazzo di via delle Botteghe Oscure, la stessa per comportamento e gesti naturali, con una più marcata affermazione regionale, da parte degli uomini e delle donne venuti dal Nord o dal Sud, dei modi con cui da sempre si esprime in ogni famiglia il dolore per la perdita di un padre.
E questo era il sentimento che accomunava tutti, la coscienza di essere diventati orfani, di avere perso una guida ed una protezione. Chi aveva scritto (e chi scrive ancora) che Togliatti era freddo, distante, incapace di stabilire un contatto umano con la gente, dovrebbe chiedersi, se avesse onestà intellettuale, perché la sua morte suscitò simile partecipazione. Solamente la grande folla raccolta un anno prima in piazza San Pietro per salutare la salma di papa Giovanni poteva reggere il confronto. E, probabilmente, erano in gran parte le stesse donne e gli stessi uomini, accompagnati anche quella volta dai loro figlioli. Essi avevano compreso e raccolto l’essenziale del messaggio di fraternità e di unità lanciato da uomini pur così diversi, e pur fieramente combattenti, e coraggiosi.
Di quel giorno non deve andare perduta la lezione di unità nazionale. I funerali di Togliatti non possono restare nel ricordo soltanto come i funerali di un capo di partito. C’era il partito, c’era la nazione e c'era, insieme, e per le stesse ragioni, l’internazionale. L’anello che legava tutto era quel sentimento nazionale, quella Patria riconquistata, sotto la sua guida, dalla classe operaia, e non solo nell'eroismo della Resistenza ma, soprattutto, nell'amara disciplina della ricostruzione, e nella lunga interminabile battaglia del rinnovamento.
I funerali di Togliatti furono quelli di un grande capo della Nazione italiana che, con l’aiuto del suo partito, l’aveva guidata, trasformata, educata.
Arrivò la salma a San Giovanni, e, davanti alla salma, cominciò la giostra dei discorsi. Tutti erano stanchi, piegati più che dalla fatica, dal tumulto delle emozioni. In quella solenne piazza San Giovanni Togliatti aveva parlato a lungo poco più di un mese prima. Era stato un discorso di lotta, contro i pericoli sempre risorgenti nel nostro paese della destra autoritaria e del fascismo. Quel giorno egli sembrava che non volesse staccarsi più dal microfono, mentre il popolo accoglieva, con intelligente sensibilità, la lezione di strategia politica. Quella sera c’era stato sul palco chi, tra gli amici più stretti, aveva espresso le sue preoccupazioni per la fatica sopportata da Togliatti, malgrado il suo non buono stato di salute. Ma nessuno aveva avuto il coraggio di tentare di fermarlo, come se in quel prolungamento oratorio, per lui inconsueto, si esprimesse, inconsapevole, la volontà di non perdere quell’occasione di contatto diretto con il popolo di Roma. Molti vogliono ricordarlo in quell’ultimo gesto, ampio e fraterno, di commiato.
Sono passati dieci anni. L’Italia sembra ancora una volta sommersa dal fango. È sconvolta dalle bombe fasciste, ferita nelle sue istituzioni democratiche, rosa da una crisi economica aggravata dal cinico egoismo dei profittatori. Eppure, se anche in questo momento, la fiducia nella intelligenza politica e nella ferma combattività del popolo italiano non viene meno, è anche perché il ricordo di quel giorno torna a temprare le volontà. Quelle donne e quegli uomini raccolti quel pomeriggio, e i milioni riuniti nella stessa ora in tutta Italia, sono sempre presenti, fedeli a quel ricordo e all’impegno preso quel giorno. E i fanciulli recati per mano a quel funerale, e i giovanetti schierati in prima fila, sono cresciuti, sono oggi i giovani combattenti chiamati a continuare l’opera di Togliatti.

Postilla 
Il testo fu scritto nel 1974 per I comunisti raccontano, curato da Massimo Massara e Carlo Salinari, che raccoglieva mese per mese, come inserto del "Calendario del Popolo", testimonianze dall'interno sulla storia del Pci. Il volume completo fu diffuso all'inizio del 1975 da Teti, l'editore della rivista. 

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