1.8.17

Jerry Lewis regista (Silvia Bizio)

LOS ANGELES 
Sul set di Smorgasbord, nel «Tbs» (The Burbanks Studio), accanto agli studi di Universal, Warner Brothers e Columbia, l’atmosfera particolarmente rilassata e ridanciana fa immediatamente capire che non siamo di fronte al solito film: questa volta dietro la macchina da ripresa c’è Jerry Lewis, al suo primo film hollywoodiano in veste di regista, in più di 12 anni (Bentornato Picchiatello, il film da lui diretto dopo dieci anni di assenza dal cinema, è stato girato in Florida, tre anni fa). Questa volta Jerry Lewis ha dietro di sé una produzione (la Orlon) ben organizzata, un budget che pur essendo al di sotto della media odierna dei film di Hollywood, è pur sempre di proporzioni considerevoli (5 milioni di dollari).
Al mio arrivo regista, attori, controfigure, comparse, aiuti e direttore della fotografia (John Finnegan, socio di vecchia data di Lewis in molti del suoi film) stanno sistemando la prossima scena: Lewis è in calzoncini corti, una sigaretta in bocca, e fa ripetere a un attore con camicia rossa e pantaloni blu i movimenti di un barcollamento e caduta in seguito all’investimento di un uomo in bicicletta. Si gira di fronte a una agenzia di autonoleggio, in una delle strade di questo vecchio e rispettabile studio, le cui facciate posticce stanno cominciando a dare chiari segni di decadenza. Un lato della strada è stato rimesso in sesto proprio per questa scena; le finestre dell’ufficio dell’agenzia sono pulite e riflettono i vetri rotti della casa dall’altra parte delia strada; Lewis e Finnegan devono sistemare la macchina in modo che il riflesso non si noti. Si prova la scena una, due, tre volte. Finalmente Jerry sembra soddisfatto e scompare. Ritorna pochi minuti dopo, vestito di blu e rosso, identico alla controfigura che provava la scena poco prima.
Jerry si mette dietro la macchina da presa, controlla l’inquadratura fa spostare delle persone, chiede l’opinione di Finnegan. Quando tutto è a posto Jerry va in scena, questa volta davanti alla macchina da presa, si guarda intorno, e quando sono tutti pronti e gli assistenti hanno ottenuto il silenzio totale sul set, è lui stesso a dare il via, urlando: «Rolling!». Un’altra occhiata, ed è «Action!», e il meccanismo comincia a muoversi alla perfezione, secondo le indicazioni ricevute. Passa l’uomo in bicicletta, investe Jerry: Jerry fa un palo di giravolte, strabuzza gli occhi, fa due smorfie e cade lungo disteso per terra. Pochi secondi dopo, è sempre lui a urlare «Cut!», si alza in piedi, si spolvera la giacca e va di nuovo dietro alla macchina da presa per controllare la scena appena girata sul video montato a fianco della Panasonic, mentre il brusio sul set ricomincia. Lewis, e questa è una cosa che pochi sanno, fu uno del primi registi americani ad adottare il sistema di ripresa simultanea su video e su pellicola, per controllare la riuscita di ogni scena; molto prima di Francis Ford Coppola e del suo cinema elettronico. In questo modo, sostiene, risparmia un sacco di tempo e denaro, non riprende inutilmente scene venute bene e fa rifare immediatamente una scena mal riuscita, senza dover aspettare il giorno dopo.
La sua conoscenza tecnica del mezzo cinematografico è tale che la Panasonic gli ha riservato un onore toccato a pochi registi: gli ha regalato un «viewfinder» personalizzato, che Jerry porta costantemente al collo, per controllare l’inquadratura quando prepara una scena.
Sul set di Jerry Lewis le pause fra una scena e l’altra sembrano meno noiose: il regista sembra voler divertire il pubblico ad ogni costo, anche quando si tratta della troupe. All’improvviso si sente una risata generale: è Jerry che attraversa di corsa la strada, con lo sgambetto che l’ha reso famoso, facendo sberleffi a una ragazzina e inseguendola a quattro zampe sotto i tralicci delle luci, sotto le scale e fra i cavi sparsi ovunque. «Che stai facendo Jerry», gli chiede Joe Stabile, suo manager da vent’anni. «Mi sto rendendo ridicolo, come al solito», risponde il regista-attore, e, subito dopo trovata per terra una palla da tennis, chiede l’attenzione di tutti: «Scommetto che riesco a rompere un vetro su tre tiri!», grida, e comincia a lanciare la palla contro il secondo piano della casa in rovina dirimpetto a quella dove sta girando, riuscendo, in effetti, a rompere varie finestre. Tira fuori del biglietti da venti dollari: «Venti dollari a chi rompe altrettanti vetri! ». sfida. Sono in molti a provarci, Jerry distribuisce i soldi come fossero cioccolatini.
«Questo è un film abbastanza particolare», mi dice uno degli aiuto registi. «L’atmosfera sul set dipende molto da chi sta in cima, e qui in cima c’è solo Jerry, che è un regista molto calmo».
Altra pausa per spostare le macchine per la ripresa seguente, di nuovo all’aperto, dietro l’angolo rispetto alla prima. Questa volta Jerry deve accettare l’uso di un cascatore (il suo personaggio deve infrangere i vetri di una finestra e rotolare per strada) perché la compagnia di assicurazione non gli permette di eseguire personalmente scene troppo pericolose. Jerry è ovviamente seccato: «Un attore si può sempre sostituire», mi spiega, «ma se il regista si fa male il film si ferma e la produzione perde un sacco di soldi. Vorrei poterla fare io stesso questa scena. Io sono bravissimo a fare queste cose; le faccio da anni, so come muovermi e cadere in modo giusto e divertente. Non è giusto prendere un giovane inesperto e pretendere che in due ore di prove riesca a fare quel volo altrettanto bene di come lo farei io!». Tuttavia deve accontentarsi, e dopo aver preso parte Finnegan per un’ennesima chiacchierata a quattr’occhi, torna vicino alle macchine da presa.
Si ricomincia: le Panasonic sono pronte. Jerry controlla un’ultima volta inquadratura per inquadratura gli schizzi che ha preparato con l’aiuto di un disegnatore: «Qui non si muove una foglia se non lo dico io», mi fa notare. «Il film è mio, sono io che imposto ogni scena, che decido ogni battuta che giudico come vada fatta ogni cosa. E nella fase di montaggio, sono lo a dire al mio montatore come tagliare ogni scena. Ma non sono un dittatore. Questa gente lavora con me, non per me: li vedi come sono affiatati? Un qualunque idiota può essere un capo, ma ci vuole un essere umano per lavorare con la gente».
Il suo programma di lavoro è intensissimo: ogni giorno, dopo le riprese, alle quattro del pomeriggio, Jerry e i suoi collaboratori più stretti si chiudono in una sala di proiezione per vedere le riprese filmate durante il giorno. Subito dopo Jerry è di nuovo al lavoro per preparare le scene del giorno dopo, con il direttore della fotografia e il suo primo aiuto regista.
Jerry è sbrigativo e arrogante con i giornalisti presenti, confermando la fama di megalomane rompiscatole che si è costruita a Hollywood; ma può contare su un gran numero di persone sempre pronte a prendere le sue difese.
«Devi cercare di capirlo», mi spiega la pubblicista della Orion che mi ha accompagnata sul set. «È nervoso perché questo è il suo prime film a Hollywood in tanti anni e se benissimo che gli occhi della critica e del pubblico sono puntati su d lui».
Questo sarà un grande anno pei Jerry Lewis: il regista ha appena in terpretato due film come attore King of comedy, diretto da Martin Scorsese con Robert De Niro, e Slapstick, diretto dal giovane Steve Paul, con Madeline Kahn. Inoltre l’autobiografia di Lewis è appena uscita in tutte le librerie americane. Un ritorno in grande stile, dice qualcuno a Hollywood.

"il manifesto", 2 gennaio 1983

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