15.8.17

Leggere rende liberi. Dai sumeri a Pinochet l'ostilità del potere verso i libri (Gian Luigi Beccaria)

Restif de la Bretonne
Il Salone del libro appena concluso con successi, frastuoni festosi e verbali fuochi d'artificio ci fa ripensare in altra prospettiva al libro e all'atto del leggere. Per cercarne le chiavi, per capirlo, bisogna uscire dal rumore della festa, rifugiarsi nel silenzio. Grazie a un libro, riusciamo anche a isolarci, a trovarci altrove, dove gli altri non ci sono, in un altro mondo, in un altro tempo. Senza contare che un libro ci può rendere lettori di noi stessi: «l'opera - diceva Proust ne Il tempo ritrovato, in Alla ricerca del tempo perduto - è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso. Il riconoscimento dentro di sé, da parte del lettore, di ciò che il libro dice, è la prova della sua verità».
Leggere è progredire, Restif de la Bretonne (1784 -1806) consigliava di vietare la lettura (e la scrittura) alle donne per limitare loro l'uso del pensiero, circoscrivendolo alle faccende di casa, I proprietari di schiavi temevano che i neri scoprissero, nei libri, idee rivoluzionarie che avrebbero minacciato il loro potere, i padroni delle piantagioni impiccavano gli schiavi colpevoli di aver tentato di insegnare gli altri a leggere, i proprietari delle haciendas messicane (ce lo racconta Carlos Fuentes, in Un temps nouveau pour le Mexique) accoglievano i primi maestri a coltellate, rispedendoli alla capitale dopo averli sfregiati in viso. Nel 1981 in Cile venne proibito il Don Quijote dalla Giunta militare: Pinochet riteneva contenesse un'apologia della libertà individuale e un attacco contro la libertà costituita.
Borges diceva che il vero mestiere dei monarchi è stato quello di costruire fortificazioni e incendiare biblioteche. La storia è difatti un elenco infinito di roghi di libri. L'ultimo è dell'aprile 2003, quando fu saccheggiata la Biblioteca Nazionale di Baghdad, i roghi distrussero l'Archivio nazionale deiriraq, 10 milioni di documenti storici ottomani dal valore incalcolabile andati in fumo, gli antichi archivi reali dell'Iraq ridotti in cenere. Con questo incendio l'identità culturale dell'Iraq è stata cancellata. Non si aveva memoria di un simile saccheggio dai tempi dei Mongoli, da quando nel 1258 i cavalieri di un discendente di Gengis Khan erano entrati a Bagdad e avevano gettato tutti i libri nelle acque del Tigri.
Tutte storie di immani violenze che si leggono nel libro di Fernando Baez, Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla guerra in Iraq, Viella, 2007.


“La Stampa”, 28 maggio 2011

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