C’era una volta un
omino di niente. Aveva il naso di niente, la bocca di niente, era
vestito di niente e calzava scarpe di niente. Si mise in viaggio su
una strada di niente che non andava in nessun posto. Incontrò un
topo di niente e gli domandò: — Non hai paura del gatto?
— No davvero, - rispose
il topo di niente, - in questo paese di niente ci sono soltanto gatti
di niente, che hanno baffi di niente e artigli di niente. Inoltre, io
rispetto il formaggio. Mangio solo i buchi. Non sanno di niente ma
sono dolci.
— Mi gira la testa, -
disse l’omino di niente.
— È una testa di
niente: anche se la batti contro il muro non ti farà male.
L’omino di niente,
volendo fare la prova, cercò un muro per batterci la testa, ma era
un muro di niente, e siccome lui aveva preso troppo slancio cascò
dall’altra parte. Anche di là non c’era niente di niente.
L’omino di niente era
tanto stanco di tutto quel niente che si addormentò. E mentre
dormiva sognò che era un omino di niente, e andava su una strada di
niente, e incontrava un topo di niente e mangiava anche lui i buchi
del formaggio, e il topo di niente aveva ragione: non sapevano
proprio di niente.
Da Favole al telefono,
Einaudi, 1975
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