L'articolo, pubblicato
qualche giorno dopo l'assassinio di Salvatore Carnevale e firmato
Enzo Agnello, mette in fila le uccisioni dei dirigenti contadini
socialisti nella Sicilia che lottava contro il feudo: Passafiume,
Camilleri, Guarino, Castiglione, Scaccia, Azoti, Miraglia, Li Puma,
Rizzotto, Cangelosi. Un elenco cui presto si aggiungerà il nome di
Salvatore Carnevale. È una storia su cui ancora oggi vale la pena di
meditare. (S.L.L.)
PALERMO, 21. —
Salvatore Carnevale appartiene anch’egli ormai, alla lunga schiera
di martiri socialisti caduti nella lotta per la libertà e la
giustizia, per un mondo più umano, più civile, per una Sicilia più
progredita c democratica.
Lo ricordo durante
un’assemblea di contadini a Sciara, con lo sguardo vivo e
intelligente, con parole semplici ed efficaci, accompagnate da un
continuo gesticolare, incitare i compagni all’azione e mantenersi
uniti. Lo ricordo al recente congresso della Federazione, un po’
impacciato per la presenza di tanti compagni qualificati, riferire
con orgoglio sulle lotte e i successi conseguiti dai lavoratori e dai
partito nel suo paese, nonostante le intimidazioni della polizia e le
minacce della mafia...
Ora che il compagno
Carnevale è caduto sotto le fucilate dei sicari mafiosi, ancora una
volta si tenta di coprire con l’impunità i responsabili, così
come è avvenuto finora per tutti i delitti e assassini politici
compiuti in Sicilia nel dopoguerra.
La lunga e dolorosa
cronaca di questi misfatti, come nel periodo dei fasci siciliani,
coincide sempre con l'intensificarsi delle lotte contadine e con lo
svilupparsi dei partiti dei lavoratori, e le vittime, come allora,
sono per lo più dirigenti socialisti, colpevoli di aver guidato i
contadini alla riscossa. Come i pionieri del socialismo siciliano, da
Lorenzo Papepinto, ucciso nel 1911 da sicari degli agrari, a Nicola
Alongi, Barbato, Verro, così i nuovi martiri socialisti sono stati
uccisi per aver portato a luminose conquiste le masse siciliane, e
nessuno degli assassini è stato mai colpito dalla giustizia.
Nell'immediato dopoguerra
il 16 settembre 1944, la reazione agraria e mafiosa, annidata,
allora, nelle file separatiste, si manifestò nell'isola con
l'attentato ai compagni Girolamo Li Causi e Michele Pantaleone,
avvenuto a Villalba, in provincia di Caltanissetta, paese del capo
mafia don Calogero Vizzini e roccaforte
mafiosa. Come è noto, il compagno Li Causi fu gravemente ferito e se
non vi fu una strage si dovette al coraggio del compagno Pantaleone,
che con altri compagni disperse i mafiosi.
Come responsabili
dell’attentato, i carabinieri denunciarono don Calò e il nipote
Beniamino Farina, sindaco di Villalba, dirigente democristiano,
all'autorità giudiziaria, la quale rubricava il reato come «strage». Nonostante questa grave imputazione, gli attentatori rimasero
sempre indisturbati. Sono note, ma è bene ricordarle, le vicende
del processo che, istruito a Caltanissetta, fu trasferito a Cosenza,
per legittima suspicione. Durante il viaggio «si smarrirono» i
fascicoli processuali, che furono ritrovati dopo una denuncia
presentata dal compagno avvocato Sorgi, difensore di Li Causi, e che
«spariron » per una seconda volta. Quando, finalmente, dopo quattro
anni, nell’aprile del 1949, fu emesso il marciato di cattura contro
don Calò e il Farina, esso fu revocato dopo 24 ore, e la condanna,
infine, inflitta loro il 30 novembre 1949 dalla Corte d'Assise di
Cosenza non fu mai scontata.
Sicuri dell'impunità
loro assicurata dai pubblici poteri, i banditi e i mafiosi poterono
spadroneggiare in Sicilia dal 1944 al 1946 (mentre l'Alto commissario
e l'Ispettorato generale di pubblica sicurezza divenivano centri di
loschi affari e luoghi di protezione per i fuorilegge) al servizio
del blocco agrario che, attraverso il separatismo, tentò di fare
della Sicilia la quarantanovesima stella americana.
Nel 1946 si iniziò
contro il movimento contadino l'offensiva metodica e ordinata della
mafia e degli agrari (passati nelle file della democrazia cristiana)
che si protrarrà intensa fino al 18 aprile del 1948, senza che mai —
come abbiamo detto — i mandanti e i responsabili dei delitti
fossero puniti.
Elenco sanguinoso
Il primo giugno 1946, a
Trabia, nel centro del paese, il dirigente sindacale Nunzio
Passafuime viene ucciso a colpi di pistola partiti da una macchina
che, a grande velocità, si dirigeva verso Caccamo. I delinquenti
vengono fermati ad un posto di blocco dai carabinieri ed è
sequestrata loro una gran quantità di armi. Dopo qualche ora sono
rilasciati e non viene sporta denuncia.
Il 28 luglio 1946 cade
assassinato dalla mafia il compagno Pino Camilleri, sindaco
socialista di Naro e dirigente contadino; nello stesso mese cade il
compagno Guarino, sindaco di Favara; il 22 ottobre, ad Alia, in
provincia di Palermo, i compagni Giovanni Castiglione e Girolamo
Scaccia, dirigenti contadini della zona, vengono uccisi da una bomba
lanciata nella sede della Camera del Lavoro; il 21 dicembre dello
stesso anno cade Nicola Azoti, segretario della Federterra di
Baucina. Nonostante i delitti e le repressioni, il movimento
contadino diviene più forte e irresistibile, si sviluppano le
cooperative agricole e l'avanzata travolgen' te delle masse contadine
sm feudi incolti impaurisce gli agrari che concedono i primi ettari
di terra. Le elezioni amministrative segnano un'altra grave sconfitta
degli agrari, con la conquista, da parte del nostro partito e del
partito comunista, di parecchi comuni, come Ganci, centri
tradizionalmente dominati dalla mafia e dai baroni.
Portella della
Ginestra
I crimini politici
riprendono, quindi, con più frequenza e più efferatezza: il 4
gennaio 1947, con raffiche di mitra, viene trucidato il compagno
Accursio Miraglia, segretario della Camera del Lavoro di Sciacca. Il
delitto commosse tutta l'Italia, sollevando un'ondata di proteste che
spinse la polizia a denunciare gli autori e i mandanti
dell’assassinio. Fra i mandanti, denunciati ed arrestati, erano il
barone Francesco Pasciuta e il feudatario Gaetano Vella Parlapiano,
entrambi di Ribera, che affidarono la loro difesa agli onorevoli
Girolamo Bellavista e Romano Battaglia, del partito liberale italiano
(quest’ultimo è oggi candidato nella lista del partito monarchico
popolare). Subito dopo, i responsabili furono tutti liberati, ed
anche questa denuncia fu archiviata per l'intervento dell’ispettore
di pubblica sicurezza Ettore Messana.
Si arriva così, il 1.
maggio 1947, alla strage di Portella delle Ginestre, che lo stesse
maggiore dei carabinieri Angrisani, inviato sul posto, definì
«azione terroristica da attribuire ad elementi reazionari in
combutta con la mafia». Sono note le fasi del processe (svoltosi
solo contro gli affi liati alla banda Giuliano, men tre i mafiosi e i
mandanti cir colano ancora impuniti) chi mise in luce i legami tra
banditi e gli uomini politic che ispirarono il sanguinosi eccidio.
Gli attentati e le stragi
continuano frequenti durante tutto il 1947. Sono prese
particolarmente di mira le sezioni socialiste e comuniste e le Camere
del lavoro di Montelepre, Partinico, Monreale e Carini, oggetto della
rabbiosa reazione degli agrari per la sconfitta subita nelle elezioni
regionali del 20 aprile 1947, che diedero una grande vittoria alle
forze popolari.
La serie impressionante
degli assassini di dirigenti sindacali rimasti tutti impuniti, nel
1948 con l'uccisione del compagno Epifanio Li Puma, segretario della
Federterra di Petralia Soprana, che non aveva dato ascolto alle
intimazioni e alle minacce dei mafiosi affinché smettesse l'attività
sindacale. Il 2 marzo 1948 (si avvicinano le elezioni politiche
nazionali), in campagna, mentre zappava con i suoi figli, il compagno
Li Puma viene falciato da colpi di fucile dei sicari della mafia e
degli agrari. Anche questo assassinio viene archiviato.
Dopo pochi giorni, un
altro impressionante omicidio allunga la mostruosa catena dei delitti
politici. Il 10 marzo Placido Rizzotto, che aveva guidato i
socialisti e i contadini del Corleonese nella lotta contro il feudo,
non fa più ritorno a casa, e solo più tardi però i particolari
dell'assassinio, quando, nel dicembre 1949, su indicazione del
mafioso Pasquale Criscione, arrestato insieme ad altri mafiosi come
responsabili dell'assassinio, furono rinvenuti in una fossa profonda
70 metri, i resti del cadavere. Il processo contro Criscione e gli
altri gabellotti del feudo Dragone che la lotta dei contadini,
guidati dal Rizzotto, aveva fatto scorporare, si concluse con
l'assoluzione per insufficienza di prove degli imputati. Particolare
significativo: durante il processo, al compagno Taormina, che
sostenne l'accusa contro gli assassini, furono incendiate alcune case
di campagna.
Il 3 aprile dello stesso
anno, a Camporeale, cadde sotto raffiche di mitra, Calogero
Cangelosi, dirigente contadino, anche lui socialista, minacciato di
morte pochi giorni prima se non avesse desistito dalla sua attività
sindacale e se non si fosse allontanato dal paese, emigrando in
America. Come mandanti responsabili dell'assassinio Cangelosi vengono
indicati pubblicamente il deputato liberale, on. Girolamo Bellavista
e il capo mafia di Camporeali Vanni Sacco. Nessuno di loro fu mai
arrestato, e per l'uccisione di Cangelosi, come per tutti gli altri
compagni assassinati, giustizia dev'essere ancora fatta.
ENZO AGNELLO
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