18.8.17

Sicilia 1944-55. Tutti impuniti i mafiosi, assassini dei sindacalisti socialisti (“Avanti!”, 22/5/1955)

L'articolo, pubblicato qualche giorno dopo l'assassinio di Salvatore Carnevale e firmato Enzo Agnello, mette in fila le uccisioni dei dirigenti contadini socialisti nella Sicilia che lottava contro il feudo: Passafiume, Camilleri, Guarino, Castiglione, Scaccia, Azoti, Miraglia, Li Puma, Rizzotto, Cangelosi. Un elenco cui presto si aggiungerà il nome di Salvatore Carnevale. È una storia su cui ancora oggi vale la pena di meditare. (S.L.L.)
La foto che corredava l'articolo dell' "Avanti!"

PALERMO, 21. — Salvatore Carnevale appartiene anch’egli ormai, alla lunga schiera di martiri socialisti caduti nella lotta per la libertà e la giustizia, per un mondo più umano, più civile, per una Sicilia più progredita c democratica.
Lo ricordo durante un’assemblea di contadini a Sciara, con lo sguardo vivo e intelligente, con parole semplici ed efficaci, accompagnate da un continuo gesticolare, incitare i compagni all’azione e mantenersi uniti. Lo ricordo al recente congresso della Federazione, un po’ impacciato per la presenza di tanti compagni qualificati, riferire con orgoglio sulle lotte e i successi conseguiti dai lavoratori e dai partito nel suo paese, nonostante le intimidazioni della polizia e le minacce della mafia...
Ora che il compagno Carnevale è caduto sotto le fucilate dei sicari mafiosi, ancora una volta si tenta di coprire con l’impunità i responsabili, così come è avvenuto finora per tutti i delitti e assassini politici compiuti in Sicilia nel dopoguerra.
La lunga e dolorosa cronaca di questi misfatti, come nel periodo dei fasci siciliani, coincide sempre con l'intensificarsi delle lotte contadine e con lo svilupparsi dei partiti dei lavoratori, e le vittime, come allora, sono per lo più dirigenti socialisti, colpevoli di aver guidato i contadini alla riscossa. Come i pionieri del socialismo siciliano, da Lorenzo Papepinto, ucciso nel 1911 da sicari degli agrari, a Nicola Alongi, Barbato, Verro, così i nuovi martiri socialisti sono stati uccisi per aver portato a luminose conquiste le masse siciliane, e nessuno degli assassini è stato mai colpito dalla giustizia.
Nell'immediato dopoguerra il 16 settembre 1944, la reazione agraria e mafiosa, annidata, allora, nelle file separatiste, si manifestò nell'isola con l'attentato ai compagni Girolamo Li Causi e Michele Pantaleone, avvenuto a Villalba, in provincia di Caltanissetta, paese del capo mafia don Calogero Vizzini e roccaforte mafiosa. Come è noto, il compagno Li Causi fu gravemente ferito e se non vi fu una strage si dovette al coraggio del compagno Pantaleone, che con altri compagni disperse i mafiosi.
Come responsabili dell’attentato, i carabinieri denunciarono don Calò e il nipote Beniamino Farina, sindaco di Villalba, dirigente democristiano, all'autorità giudiziaria, la quale rubricava il reato come «strage». Nonostante questa grave imputazione, gli attentatori rimasero sempre indisturbati. Sono note, ma è bene ricordarle, le vicende del processo che, istruito a Caltanissetta, fu trasferito a Cosenza, per legittima suspicione. Durante il viaggio «si smarrirono» i fascicoli processuali, che furono ritrovati dopo una denuncia presentata dal compagno avvocato Sorgi, difensore di Li Causi, e che «spariron » per una seconda volta. Quando, finalmente, dopo quattro anni, nell’aprile del 1949, fu emesso il marciato di cattura contro don Calò e il Farina, esso fu revocato dopo 24 ore, e la condanna, infine, inflitta loro il 30 novembre 1949 dalla Corte d'Assise di Cosenza non fu mai scontata.
Sicuri dell'impunità loro assicurata dai pubblici poteri, i banditi e i mafiosi poterono spadroneggiare in Sicilia dal 1944 al 1946 (mentre l'Alto commissario e l'Ispettorato generale di pubblica sicurezza divenivano centri di loschi affari e luoghi di protezione per i fuorilegge) al servizio del blocco agrario che, attraverso il separatismo, tentò di fare della Sicilia la quarantanovesima stella americana.
Nel 1946 si iniziò contro il movimento contadino l'offensiva metodica e ordinata della mafia e degli agrari (passati nelle file della democrazia cristiana) che si protrarrà intensa fino al 18 aprile del 1948, senza che mai — come abbiamo detto — i mandanti e i responsabili dei delitti fossero puniti.

Elenco sanguinoso
Il primo giugno 1946, a Trabia, nel centro del paese, il dirigente sindacale Nunzio Passafuime viene ucciso a colpi di pistola partiti da una macchina che, a grande velocità, si dirigeva verso Caccamo. I delinquenti vengono fermati ad un posto di blocco dai carabinieri ed è sequestrata loro una gran quantità di armi. Dopo qualche ora sono rilasciati e non viene sporta denuncia.
Il 28 luglio 1946 cade assassinato dalla mafia il compagno Pino Camilleri, sindaco socialista di Naro e dirigente contadino; nello stesso mese cade il compagno Guarino, sindaco di Favara; il 22 ottobre, ad Alia, in provincia di Palermo, i compagni Giovanni Castiglione e Girolamo Scaccia, dirigenti contadini della zona, vengono uccisi da una bomba lanciata nella sede della Camera del Lavoro; il 21 dicembre dello stesso anno cade Nicola Azoti, segretario della Federterra di Baucina. Nonostante i delitti e le repressioni, il movimento contadino diviene più forte e irresistibile, si sviluppano le cooperative agricole e l'avanzata travolgen' te delle masse contadine sm feudi incolti impaurisce gli agrari che concedono i primi ettari di terra. Le elezioni amministrative segnano un'altra grave sconfitta degli agrari, con la conquista, da parte del nostro partito e del partito comunista, di parecchi comuni, come Ganci, centri tradizionalmente dominati dalla mafia e dai baroni.

Portella della Ginestra
I crimini politici riprendono, quindi, con più frequenza e più efferatezza: il 4 gennaio 1947, con raffiche di mitra, viene trucidato il compagno Accursio Miraglia, segretario della Camera del Lavoro di Sciacca. Il delitto commosse tutta l'Italia, sollevando un'ondata di proteste che spinse la polizia a denunciare gli autori e i mandanti dell’assassinio. Fra i mandanti, denunciati ed arrestati, erano il barone Francesco Pasciuta e il feudatario Gaetano Vella Parlapiano, entrambi di Ribera, che affidarono la loro difesa agli onorevoli Girolamo Bellavista e Romano Battaglia, del partito liberale italiano (quest’ultimo è oggi candidato nella lista del partito monarchico popolare). Subito dopo, i responsabili furono tutti liberati, ed anche questa denuncia fu archiviata per l'intervento dell’ispettore di pubblica sicurezza Ettore Messana.
Si arriva così, il 1. maggio 1947, alla strage di Portella delle Ginestre, che lo stesse maggiore dei carabinieri Angrisani, inviato sul posto, definì «azione terroristica da attribuire ad elementi reazionari in combutta con la mafia». Sono note le fasi del processe (svoltosi solo contro gli affi liati alla banda Giuliano, men tre i mafiosi e i mandanti cir colano ancora impuniti) chi mise in luce i legami tra banditi e gli uomini politic che ispirarono il sanguinosi eccidio.
Gli attentati e le stragi continuano frequenti durante tutto il 1947. Sono prese particolarmente di mira le sezioni socialiste e comuniste e le Camere del lavoro di Montelepre, Partinico, Monreale e Carini, oggetto della rabbiosa reazione degli agrari per la sconfitta subita nelle elezioni regionali del 20 aprile 1947, che diedero una grande vittoria alle forze popolari.
La serie impressionante degli assassini di dirigenti sindacali rimasti tutti impuniti, nel 1948 con l'uccisione del compagno Epifanio Li Puma, segretario della Federterra di Petralia Soprana, che non aveva dato ascolto alle intimazioni e alle minacce dei mafiosi affinché smettesse l'attività sindacale. Il 2 marzo 1948 (si avvicinano le elezioni politiche nazionali), in campagna, mentre zappava con i suoi figli, il compagno Li Puma viene falciato da colpi di fucile dei sicari della mafia e degli agrari. Anche questo assassinio viene archiviato.
Dopo pochi giorni, un altro impressionante omicidio allunga la mostruosa catena dei delitti politici. Il 10 marzo Placido Rizzotto, che aveva guidato i socialisti e i contadini del Corleonese nella lotta contro il feudo, non fa più ritorno a casa, e solo più tardi però i particolari dell'assassinio, quando, nel dicembre 1949, su indicazione del mafioso Pasquale Criscione, arrestato insieme ad altri mafiosi come responsabili dell'assassinio, furono rinvenuti in una fossa profonda 70 metri, i resti del cadavere. Il processo contro Criscione e gli altri gabellotti del feudo Dragone che la lotta dei contadini, guidati dal Rizzotto, aveva fatto scorporare, si concluse con l'assoluzione per insufficienza di prove degli imputati. Particolare significativo: durante il processo, al compagno Taormina, che sostenne l'accusa contro gli assassini, furono incendiate alcune case di campagna.
Il 3 aprile dello stesso anno, a Camporeale, cadde sotto raffiche di mitra, Calogero Cangelosi, dirigente contadino, anche lui socialista, minacciato di morte pochi giorni prima se non avesse desistito dalla sua attività sindacale e se non si fosse allontanato dal paese, emigrando in America. Come mandanti responsabili dell'assassinio Cangelosi vengono indicati pubblicamente il deputato liberale, on. Girolamo Bellavista e il capo mafia di Camporeali Vanni Sacco. Nessuno di loro fu mai arrestato, e per l'uccisione di Cangelosi, come per tutti gli altri compagni assassinati, giustizia dev'essere ancora fatta.


ENZO AGNELLO

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