19.8.17

Tre dèi nel casino. Storia di un'opera murale attribuita a Michelangelo Merisi (Franco Miracco)

L'attribuzione al Caravaggio di una pittura murale in Roma nel casino di villa Ludovisi, l'unica conosciuta di tutta la sua carriera, non sembra più essere oggetto di controversie. Dal tempo in cui Franco Miracco scrisse per un pubblico non specialistico il breve articolo che qui riprendo sono trascorsi più di trent'anni  e nel frattempo un importante studio di Maurizio Calvesi su arte e alchimia è intervenuto a indagare i significati del dipinto. Il testo di Miracco, tuttavia, può dare un'idea del dibattito degli anni Ottanta e contiene alcuni acuti scandagli. (S.L.L.) 

«Non ho più dubbi: per me quel murale è proprio di Caravaggio». Mina Gregori, storica dell'arte della scuola di Roberto Longhi, curatrice della mostra di Capodimonte, ha deciso di far pendere la bilancia tutta da una parte mettendo sul piatto il suo peso di grande specialista della pittura di Michelangelo Merisi. C'è una controversia, infatti, che dura almeno da 16 anni, sull'attribuzione del bellissimo affresco (in realtà un olio su muro) dipinto sul soffitto dello studio del cardinale Del Monte nel casino di Villa Ludovisi a Roma, in via Lombardia: chi dipinse quei tre dei, «Giove, Nettuno e Plutone», sulla volta di un piccolo corridoio, sospesi nel vuoto misteriosi e possenti?
La storia comincia nel 1969 quando, durante un restauro, rispuntò fuori quel murale a cui nessuno aveva mai dato tanta importanza. Ci fu allora qualcuno che si ricordò di un passo delle «Vite» di Giovan Pietro Bellori, scrittore d'arte del Seicento: «Tiensi ancora in Roma di sua mano», si legge nella vita di Caravaggio, «"Giove, Nettuno e Plutone" nel giardino Ludovisi a Porta Pinciana, nel casino che fu del Cardinal Del Monte il quale essendo studioso di medicamenti chimici, vi adornò il camerino della sua distilleria, appropiando questi agli elementi col globo del mondo nel mezzo di loro... Questi dei sono coloriti a olio nella volta, non avendo Michele mai toccato pennello e fresco».
Tutto chiaro, no? No! Non tutti i critici infatti hanno creduto ciecamente alle parole del Bellori. Dice Giuliano Briganti, storico dell'arte culturalmente affine a Mina Gregori: «Sono stanco di tutto questo sfrenato attribuzionismo, anche perché sono ostile alle attribuzioni proclamate con tanta certezza. E questo vale anche per il Caravaggio di Villa Ludovisi. Anzi, mi spiego: è una pittura che vidi molto tempo fa, quando c'era chi credeva a un Caravaggio e chi invece lo negava. Era molto malridotta, molto rovinata, sicuramente con delle ridipinture, forse con interventi successivi. Però il taglio di quell'immagine mi colpì. É un'idea molto particolare, eccezionale. Lì c'è un'invenzione straordinaria. Per esempio, la faccia di Nettuno è molto caravaggesca, tutta quella pittura è piena di idee caravaggesche. Insomma, sono più per il sì che per il no».
Mina Gregori, invece, ha deciso di rompere ogni indugio; e siccome sul tema la sua autorità è tanta, c'è da prendere molto sul serio ciò che dice quando afferma con sicurezza che quell'immagine mitologica e allegorica è stata dipinta proprio da Caravaggio: «I corpi potenti e muscolosi», risponde Mina Gregori, «la posa trionfante di Plutone, Furio di Nettuno che sembra sopraggiungere in quell'istante, come suggerisce la foga del cavallo... Quegli dei si apprestano a compiere un'opera di significato primordiale, la cui ampiezza cosmica è indicata proprio dal volo vorticoso di Giove e dal cielo carico di nubi contro il quale ondeggiano candidi drappi».
Ma qual è il significato vero di questa rappresentazione profana? Mina Gregori si attiene ai dati. «La sfera al centro rappresenta il mondo fisico, con la Terra nel suo mezzo, e poi il Sole e i quattro segni dello zodiaco, i Pesci, l'Ariete, il Toro e i Gemelli. Poi ci sono i tre dei: Nettuno sul cavallo marino, Plutone con Cerbero, il cane a tre teste, e Giove seduto in posa insolita, di scorcio, sull'aquila... E si noti poi il gesto che fa Giove, quasi cercasse di far ruotare la sfera...».
Basta questo ad attribuire il murale a Caravaggio? La spiegazione è affascinante: Michelangelo Merisi con quel dipinto avrebbe voluto rappresentare le teorie del Paracelso, il filosofo alchimista del Cinquecento che voleva trovare la pietra filosofale. Quel dipinto, insomma, non è che una raffinata metafora della Grande Opera alchemica. È questa la pista che affascina gli studiosi: il fratello di Francesco Maria Del Monte committente del dipinto, infatti, era un certo Guidobaldo, amico di Galileo. Non si può escludere, perciò, un Caravaggio influenzato dal suo amico Guidobaldo, decenni prima dei processi per eresia, pittore clandestino già intrigato nelle teorie copernicane e galileiane.
Ma gli aristocratici proprietari del dipinto sembrano non voler credere alla clamorosa attribuzione, e non amano gli sguardi dei curiosi. Intanto l'opera è in pessimo stato di conservazione e nell'edificio ha sede un'agenzia di pubblicità. Non sarebbe utile un occhio di riguardo per questo quasi certo Caravaggio?

L'EUROPEO/1 GIUGNO 1985


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