L'attribuzione al Caravaggio di una pittura murale in Roma nel casino di villa Ludovisi, l'unica conosciuta di tutta la sua carriera, non sembra più essere oggetto di controversie. Dal tempo in cui Franco Miracco scrisse per un pubblico non specialistico il breve articolo che qui riprendo sono trascorsi più di trent'anni e nel frattempo un importante studio di Maurizio Calvesi su arte e alchimia è intervenuto a indagare i significati del dipinto. Il testo di Miracco, tuttavia, può dare un'idea del dibattito degli anni Ottanta e contiene alcuni acuti scandagli. (S.L.L.)
«Non ho più dubbi: per
me quel murale è proprio di Caravaggio». Mina Gregori, storica
dell'arte della scuola di Roberto Longhi, curatrice della mostra di
Capodimonte, ha deciso di far pendere la bilancia tutta da una parte
mettendo sul piatto il suo peso di grande specialista della pittura
di Michelangelo Merisi. C'è una controversia, infatti, che dura
almeno da 16 anni, sull'attribuzione del bellissimo affresco (in
realtà un olio su muro) dipinto sul soffitto dello studio del
cardinale Del Monte nel casino di Villa Ludovisi a Roma, in via
Lombardia: chi dipinse quei tre dei, «Giove, Nettuno e Plutone»,
sulla volta di un piccolo corridoio, sospesi nel vuoto misteriosi e
possenti?
La storia comincia nel
1969 quando, durante un restauro, rispuntò fuori quel murale a cui
nessuno aveva mai dato tanta importanza. Ci fu allora qualcuno che si
ricordò di un passo delle «Vite» di Giovan Pietro Bellori,
scrittore d'arte del Seicento: «Tiensi ancora in Roma di sua mano»,
si legge nella vita di Caravaggio, «"Giove, Nettuno e Plutone"
nel giardino Ludovisi a Porta Pinciana, nel casino che fu del
Cardinal Del Monte il quale essendo studioso di medicamenti chimici,
vi adornò il camerino della sua distilleria, appropiando questi agli
elementi col globo del mondo nel mezzo di loro... Questi dei sono
coloriti a olio nella volta, non avendo Michele mai toccato pennello
e fresco».
Tutto chiaro, no? No! Non
tutti i critici infatti hanno creduto ciecamente alle parole del
Bellori. Dice Giuliano Briganti, storico dell'arte culturalmente
affine a Mina Gregori: «Sono stanco di tutto questo sfrenato
attribuzionismo, anche perché sono ostile alle attribuzioni
proclamate con tanta certezza. E questo vale anche per il Caravaggio
di Villa Ludovisi. Anzi, mi spiego: è una pittura che vidi molto
tempo fa, quando c'era chi credeva a un Caravaggio e chi invece lo
negava. Era molto malridotta, molto rovinata, sicuramente con delle
ridipinture, forse con interventi successivi. Però il taglio di
quell'immagine mi colpì. É un'idea molto particolare, eccezionale.
Lì c'è un'invenzione straordinaria. Per esempio, la faccia di
Nettuno è molto caravaggesca, tutta quella pittura è piena di idee
caravaggesche. Insomma, sono più per il sì che per il no».
Mina Gregori, invece, ha
deciso di rompere ogni indugio; e siccome sul tema la sua autorità è
tanta, c'è da prendere molto sul serio ciò che dice quando afferma
con sicurezza che quell'immagine mitologica e allegorica è stata
dipinta proprio da Caravaggio: «I corpi potenti e muscolosi»,
risponde Mina Gregori, «la posa trionfante di Plutone, Furio di
Nettuno che sembra sopraggiungere in quell'istante, come suggerisce
la foga del cavallo... Quegli dei si apprestano a compiere un'opera
di significato primordiale, la cui ampiezza cosmica è indicata
proprio dal volo vorticoso di Giove e dal cielo carico di nubi contro
il quale ondeggiano candidi drappi».
Ma qual è il significato
vero di questa rappresentazione profana? Mina Gregori si attiene ai
dati. «La sfera al centro rappresenta il mondo fisico, con la Terra
nel suo mezzo, e poi il Sole e i quattro segni dello zodiaco, i
Pesci, l'Ariete, il Toro e i Gemelli. Poi ci sono i tre dei: Nettuno
sul cavallo marino, Plutone con Cerbero, il cane a tre teste, e Giove
seduto in posa insolita, di scorcio, sull'aquila... E si noti poi il
gesto che fa Giove, quasi cercasse di far ruotare la sfera...».
Basta questo ad
attribuire il murale a Caravaggio? La spiegazione è affascinante:
Michelangelo Merisi con quel dipinto avrebbe voluto rappresentare le
teorie del Paracelso, il filosofo alchimista del Cinquecento che
voleva trovare la pietra filosofale. Quel dipinto, insomma, non è
che una raffinata metafora della Grande Opera alchemica. È questa la
pista che affascina gli studiosi: il fratello di Francesco Maria Del
Monte committente del dipinto, infatti, era un certo Guidobaldo,
amico di Galileo. Non si può escludere, perciò, un Caravaggio
influenzato dal suo amico Guidobaldo, decenni prima dei processi per
eresia, pittore clandestino già intrigato nelle teorie copernicane e
galileiane.
Ma gli aristocratici
proprietari del dipinto sembrano non voler credere alla clamorosa
attribuzione, e non amano gli sguardi dei curiosi. Intanto l'opera è
in pessimo stato di conservazione e nell'edificio ha sede un'agenzia
di pubblicità. Non sarebbe utile un occhio di riguardo per questo
quasi certo Caravaggio?
L'EUROPEO/1 GIUGNO 1985
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