26.9.17

Lo strazio e l’icona. Quando Guernica arrivò a Milano (Pablo Rossi e Giorgio Zanchetti)

Ottant’anni fa, il 26 aprile 1937, tra le 16.15 e le 19.30, gli aerei della Legione Condor tedesca, appoggiati dall’Aviazione legionaria italiana, bombardano a tappeto Guernica, centro della Biscaglia che fa parte dei Paesi Baschi. Alla fine la città è in fiamme, distrutta per metà. Si contano tra 400 e 800 morti e molti feriti. Perché questa azione spietata?
Da poco più di nove mesi in Spagna è in corso una guerra civile iniziata il 17 luglio 1936 con l’insurrezione di una parte dell’esercito guidata dal generale Francisco Franco, appoggiato dalle destre, contro la Repubblica governata dalle sinistre. Nel settembre 1936, nei Paesi Baschi i rivoltosi nazionalisti conquistano Irún e San Sebastián. Ma l’obiettivo prioritario è Madrid. La capitale, attaccata tra novembre e dicembre 1936, non cade nemmeno con le successive sanguinose battaglie del Jarama e di Guadalajara. Allora i nazionalisti attaccano la Biscaglia, ricca di industrie e risorse minerarie: pur essendo cattolica e conservatrice, si è schierata con la Repubblica. Il 31 marzo 1937 comincia l’offensiva del generale Emilio Mola, uno dei capi della rivolta, che annuncia: «Se la resa non sarà immediata raderò al suolo tutta la Biscaglia». E il 26 aprile tocca a Guernica.
Fin da gennaio la Repubblica spagnola aveva deciso di partecipare all’Exposition Internationale di Parigi: un gruppo di intellettuali spagnoli incontra Pablo Picasso a Parigi e lo convince a realizzare una grande opera di propaganda per il padiglione progettato da Sert e Lacasa, decorato con interventi di Sánchez, Renau, Miró e Calder. Alla fine di aprile Guernica diverrà il tema del quadro.
Siamo all’inizio di quella stagione tragica dell’arte del XX secolo che culminerà il 18 e il 19 luglio 1937 con la doppia inaugurazione, a Monaco, della Grosse Deutsche Kunstausstellung – la mostra dell’arte ufficiale nazista – e dell’esposizione dell’Entartete Kunst, la cosiddetta arte degenerata, che raggruppa senza distinzioni, in una sorta di abiura o di rogo simbolico, tutte le produzioni dell’avanguardia nei primi decenni del secolo. Dal 25 maggio al 25 novembre, all’Exposition Internationale des Arts et Techniques di Parigi si affronteranno, lungo i due lati del Champ de Mars, il padiglione tedesco di Albert Speer e il padiglione sovietico di Boris Iofan con le figure ciclopiche in acciaio de L’operaio e la kolchoziana modellate da Vera Mukhina.
Sconvolto dai reportage da Guernica e dalle prime immagini delle sue rovine sul quotidiano comunista «Ce Soir», Picasso sviluppa in forma completamente nuova alcuni spunti delle incisioni satiriche Sogno e menzogna di Franco, che assumono ora un valore di ben più stringente attualità. Da questi primi disegni – rinunciando simbolicamente al colore – nasce la grande composizione di Guernica, appuntata su una tela di 349 × 777 centimetri e poi sviluppata in un crescendo di brutale sintesi delle forme e di distillazione del suo contenuto drammatico tra l’11 maggio e il 4 giugno. Dora Maar, compagna di Picasso in quegli anni, ne ha fissato in una serie di scatti fotografici l’evoluzione inarrestabile e violenta da un insieme descrittivo ancora leggibile a icona che travalica ogni aspetto retorico e ogni simbolo attraverso l’implacabile tragicità dello stile. In un rapido centone di fonti visive – che corrono da Raffaello a David, fino a Goya – Picasso delinea quattro figure femminili ploranti e il corpo di un guerriero caduto, sotto gli occhi allucinati di due enigmatici animali simbolici: il toro e il cavallo straziato, che rappresentano al tempo stesso la forza del popolo spagnolo e la violenza bestiale della guerra, la sofferenza e il furore apocalittico del bombardamento nazista.
Il braccio del caduto, col pugno levato verso il cielo nelle prime prove, giace a terra abbandonato nell’opera finita; nell’altra mano è stretto il moncone di una spada spezzata. L’inaudito dramma urbano delle pareti divelte e delle case sventrate, impudicamente aperte sulla strada, è reso attraverso lo slittamento incoerente tra spazio esterno e spazio domestico: il sole, ancora presente nei primi stati del quadro, diventa infine una lampada elettrica. Una madre grida di dolore sul cadavere del suo bambino, un’altra donna si piega e corre fra le rovine, una terza leva al cielo le braccia nella casa incendiata. Su tutti si protende il gesto dell’ultima figura che illumina sconsolata la scena, consegnandola alla verità della storia.
Renato Guttuso ricorderà nel 1981 la rivelazione e il perdurante valore di questo «segno magico che univa impegno civile e ragione poetica (…). Guernica arrivò su una rivista che sfogliai nello studio di Malaparte. Poi su una cartolina inviatami da Cesare Brandi da New York, e che portai addosso per anni. Infine potei vedere il grande dipinto tra le rovine della Sala delle Cariatidi, nel Palazzo Reale di Milano». Dopo Parigi Guernica parte nel 1938 per una tournée in Scandinavia e in Gran Bretagna, quindi nell’aprile 1939 si sposta negli Usa per raccogliere denaro per i rifugiati spagnoli. Il 15 novembre 1939 giunge al Museum of Modern Art (Moma) di New York, dove rimarrà fino al 1953, trasformandosi in icona dell’arte moderna.
Nell’autunno del 1953 a Milano si prepara una importante mostra di Picasso. Nel comitato organizzatore c’è anche il pittore Attilio Rossi, che conosce bene l’artista spagnolo perché nel 1939 Picasso, Neruda e lui avevano collaborato per salvare gli intellettuali spagnoli dopo il crollo della Repubblica. Nel comitato inizia un serrato dibattito perché Rossi sostiene che Guernica deve assolutamente esserci alla mostra di Milano. Nonostante lo scetticismo degli altri, si reca da Picasso a Vallauris e lo convince al prestito, mostrandogli le fotografie della drammatica Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, devastata dai bombardamenti del 1943, e spiegandogli che Guernica sarà esposto proprio lì. Dopo 14 anni il quadro lascia il Moma per l’Europa e viene esposto per la prima e unica volta in Italia negli ultimi mesi del 1953. Da Milano Guernica va in Brasile, poi torna in Europa. Nel 1957 rientra al Moma e solo nel 1981 raggiunge Madrid, dove lo si può ammirare al Museo Reina Sofia.


“La Lettura Corriere della Sera”, 19 marzo 2017

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