3.10.17

Hammett. Quel tubetto di tabacco (Alfredo Giuliani)

Hamphrey Bogart nei panni di Sam Spade
Nel secondo capitolo del Falcone maltese (1930), il più noto dei cinque romanzi di Dashiell Hammett, il sonno dell' investigatore Sam Spade è interrotto alle due di notte da una telefonata. Nel buio sentiamo la voce di Spade: “...Morto?... Sì... Un quarto d' ora. Grazie”. A questo punto l'uomo accende la luce e lo vediamo in pigiama seduto sulla sponda del letto, con le sopracciglia aggrottate. Fissa il telefono mentre afferra cartine e tabacco. Sappiamo già dal primo capitolo che Spade usa arrotolarsi le sigarette. Ma questo a cui stiamo per assistere ora è il più minuzioso, pedantesco, esasperante arrotolìo di sigaretta mai descritto in un romanzo; dura sedici righe. Benché impazienti di sapere chi è morto (ne abbiamo un presentimento), incliniamo a pensare che Spade sta riflettendo e che forse la calma deliberata con cui si dedica a fabbricarsi il tubetto di tabacco è un modo di controllare l' emozione. Dopo di che, Spade si veste con cura e Hammett ci comunica l' elenco e il colore, e talvolta anche la foggia, di tutti gli indumenti che indossa, dalla canottiera al cappello (per fortuna a metà della vestizione Sam chiama un tassì).
Perché? In Donna al buio (1933: questa settimana in classifica), che non ha la struttura di un romanzo, come pompa l' editore, ma quella tipica di un racconto, la protagonista Louise, nel mezzo di dure esperienze, si trova a pranzo in un ristorante con l'avvocato che l'ha tolta di prigione e con un cronista di nera. In un testo scabro, tutto azione, di cui dovete indovinare da esigue tracce gli antefatti essenziali, troverete strano che l'autore vi fornisca un pignolo elenco dei cibi ordinati da ognuno dei tre. È un modo rozzamente indiretto e sbrigativo di suggerirci un tratto di carattere e lo stato d' animo dei personaggi? Fate voi. Lo stile rude e popolare di Hammett si adatta a un mondo di sopraffazione e violenza, è realista e insieme sordamente romantico, ha un alto senso della finzione epica. La chiave di vetro (1931), dove tutti sono furfanti o assassini o complici del Leviatano, è un classico del genere hard-boiled. Fa buon uso romanzesco dei cattivi sentimenti e crea una scuola, una maniera che dura da più di cinquant' anni.


“la Repubblica”, 4 giugno 1988  

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