4.10.17

Il ladro gentiluomo (Giuseppe Scaraffia)

In Miti minori Giuseppe Scaraffia, un francesista che spesso sceglie per le sue indagini percorsi tematici (è autore di due interessanti repertori sul dandy e sulla femme fatal), insegue - all'interno delle storie “di genere” (la letteratura popolare, il cinema, i serial televisivi) - soprattutto di quelle del filone “giallo” - miti non riconducibili a un solo personaggio ma presenti in varie forme in quella produzione narrativa: luoghi, oggetti, pratiche, tipi umani (o extraumani come “il mostro” o “il lupo mannaro”). Non è un gran libro: non pochi dei circa cinquanta capitoletti non sfuggono all'impressione di una banalità pretenziosa; ma qualche caratterizzazione gli riesce bene. Così in questa del “ladro gentiluomo” che tocca il suo apice nella figura di Arsenio Lupin. (S.L.L.)

La mano affusolata, che sfiora garbatamente la cassaforte, ha le unghie curate. Tra qualche ora si poserà nuovamente sulla vana corazza d acciaio, ma sarà velata da un morbido guanto nero.
Nessun ostacolo può arrestare il ladro gentiluomo. Allo spettatore è facile individuarlo. È sempre quello vestito con la maggiore raffinatezza, ma anche al buio resta inconfondibile la garbata ironia della sua voce. Tra tutti i sospettabili è l’unico che non abbassa mai gli occhi, che non smarrisce mai il controllo di sé.
Nessun prestigio sociale riesce a intimidirlo, nessuna porta è definitivamente chiusa per lui. L’agio infinito, con cui volteggia nella ricca società che frequenta, presuppone in lui una discendenza morale dai nobili predatori dei secoli trascorsi. «Azioni illegali e legali si trovano unite nel criminale-gentiluomo, come se fosse un individuo assolutamente unitario», osserva Siegfried Kracauer. La regola suprema del suo comportamento è la sfida silenziosamente lanciata alle vigilatissime ricchezze dei parvenu. Galante, spiritoso e squisito, il ladro gentiluomo è l’erede inconfessato di un altro grande mito letterario, la Primula Rossa creata dalla Baronessa Orczy, il frivolo lord inglese dedito, sotto mentite spoglie, al salvataggio degli aristocratici prigionieri dei sanculotti.
In un secolo dominato, come l'Ottocento, dalla potenza del denaro, il nuovo eroe prosegue la missione della Primula depredando sistematicamente, e per il solo gusto di farlo, la nuova, ancora rozza borghesia usurpatrice.
Nessuna serratura può resistergli, perché egli possiede la chiave universale della legittimità. Dopo una breve resistenza le combinazioni e le sbarre riconoscono il loro legittimo proprietario. Le rocambolesche imprese cui si dedica nella notte sono l’eco, la testimonianza di quelle guerresche, da cui emanava la legittimità dell’aristocrazia. Le sostituzioni dell’oggetto sottratto con un abile falso ribadiscono la cecità dei derubati, la loro incapacità di distinguere un’autenticità indipendente dal valore venale.
Nel messaggio irridente, lasciato sul luogo del delitto, si cela il motto di uno stemma insidiato dal progresso, ma non ancora domato. Quindi, in una tacita celebrazione, il furto apparente riassume in sé l’evocazione di un passato glorioso e la giusta vendetta.
La sua inesauribile galanteria, eco ancora una volta di quella della sua classe, serve a ribadire il primato delle virtù aristocratiche — godimento dei piaceri, ardimento e fedeltà al sovrano — sulla stolida accumulazione inaugurata dal capitalismo.
I cuori rubati non vengono quindi investiti in una legittima unione, ma allegramente sprecati in poche, indimenticabili ore.
Tutto gli appartiene. E, se irride ai cittadini, proclamando pubblicamente i suoi piani dalla tribuna di un giornale, è perché lo considera semplicemente il suo foglio personale. Gli infiniti travestimenti cui, come la Primula Rossa, indulge sono l’impronta rovesciata dell’affievolimento della sua identità aristocratica, una debolezza strategicamente trasformata in forza. Il dandy campeggiante in abito da sera sulle copertine della serie di Arsène Lupin, opera dello scrittore belga Maurice Leblanc, sorride sarcasticamente sotto il monocolo, ma anche l’inappuntabile frac, in cui si riconoscono i viveur della Belle Epoque, è solo il suo ultimo camuffamento.
Infatti l’abito da sera, indossato insistentemente da un altro mito del xix secolo, il vampiro, annuncia al tempo stesso l’imminenza della fine. I magici invitati appaiono forse per l’ultima volta alla festa dell’umanità, nell’intervallo concesso dalla notte alla coesistenza dei contrari e all’ingresso dell’irrazionale. Come il vampiro succhia, anche il ladro gentiluomo ruba per continuare a esistere. Se talvolta restituisce il bottino a qualche fascinosa signora è perché gli basta dimostrare l’appartenenza reale del tesoro sottratto.
I due travestimenti del personaggio, la sobria mascherina e l’aderente tuta nera, che lascia emergere solo gli occhi, mettono in risalto il lampo cupo dello sguardo. Quei neri tessuti aderenti sono l’ultima scorza d’un’armatura consumata dai secoli, interiorizzata al punto da aderire plasticamente al corpo o ridursi, nel caso della maschera, a una semplice citazione.
Per mantenersi snello, Arsène Lupin frequenta ogni venerdì il bagno turco e non esita ad abbronzarsi artificialmente con le prime lampade solari. Una cospicua parte del bottino evapora nelle nuvole di Guerlain, in cui è abituato a muoversi. Nei suoi soggiorni al Savoy di Londra, al Ritz di Parigi o al Danieli di Venezia, può portare solo fluidi pigiami di seta bianco avorio.
Il borghesissimo commissario non riuscirà mai ad arrestarlo, malgrado il suo cipiglio. Inseguito dai poliziotti, l’inafferrabile dandy non esita ad avventurarsi nelle fogne di Parigi, senza lasciar mai scivolare per terra il lucido cilindro.
Laggiù, nel regno sotterraneo dell’inconscio e del passato, dove fognatura e catacomba si confondono, sovrapponendosi inestricabilmente, nessuno potrà mai raggiungerlo.
Il delinquente sublime prosegue, come in Caccia al ladro di Hitchcock, la sua corsa spericolata nel tempo, insidiata solo dal progressivo involgarimento di una società in cui sempre meno persone sono disposte a farsi abbagliare dal fascino ormai desueto di un’eleganza suprema.

Miti minori, Sellerio, 1995

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