26.10.17

La lucidità di Pasolini (Francesco De Gregori)

Stupisce che ancora oggi si tenda a guardare la vita di Pasolini attraverso la sua fine, drammatica e spettacolare quanto si vuole ma certo non voluta, non cercata e forse nemmeno così «simbolica» come fin dal primo momento si volle dire. Riferirsi alla vita di Pasolini attraverso l’imbuto della sua morte rischia di attenuare la portata di quella che fu la sua vitalità generosa, la sua geniale capacità di donarsi al suo tempo, finisce per trasformare un episodio di cronaca nera - per quanto ambiguo ed irrisolto possa essere - in un segno del destino, in una vocazione esistenziale. Mi sono imbattuto quest’estate a Graz in una mostra di quadri e disegni di Pasolini intitolata - con disastroso stravolgimento del titolo di una sua raccolta di poesie - «Organizzar il trasumanar». In questa mostra che a quanto mi risulta non verrà in Italia (e ciò mi sembra, a parte ogni altra considerazione, scandaloso) tutta l’opera di Pasolini - non solo quella pittorica - sembra doversi inquadrare in una prospettiva di morte annunciata, ai predestinazione letale, di fascinosa cognizione dell'esito finale. Contrastano con tutto ciò le foto pubblicate nel catalogo: Pasolini che gioiosamente ritrae Maria Callas su una spiaggia, la riproduzione di un quadro con una conchiglia incollata sopra (Ninetto Davoli dovette impazzire per trovargliela). Pasolini che usa, al posto dei colori, l’inchiostro, la terra, la colla, il gesso, il vino. E al posto dei pennelli le mani e le dita. E lui quasi buttato sul foglio disteso a terra: il suo corpo ostinatamente vivo gettato nella lotta senza mediazioni.

"l'Unità", 28 ottobre 1995

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