29.10.17

Panzieri. 1964 (Franco Fortini)

Era necessario vedere il modo tenuto da Raniero Panzieri per morire. Per rammentare che la lotta delle classi ha molti modi di fare le sue vittime.
Panzieri, quando io l’ho conosciuto, era un funzionario del PSI che non dava a vedere di avvertire fastidio per il sottilissimo e un po’ inutile intrico di distinzioni ideologiche e politiche in che si compiacevano molti della sua formazione. E poteva dar noia la verve intellettuale, il paradosso e il sofisma che a un tratto considerazioni di tattica politica tendevano a spegnere. Ma da quando le sue posizioni e l’odio - ricambiato - di alcuni dirigenti socialisti e comunisti lo ebbero messo ai margini o fuori del PSI e, cercando lavoro, se ne fu venuto a Torino, Raniero si trasformò nell’uomo che abbiamo conosciuto e ricordiamo.
Di destini come quello di un Panzieri - noi abbiamo bisogno. Lasciamo alla ipocrisia di molti, capaci anche di dirsi marxisti, la valutazione dei meriti intellettuali o politici; grandi, e ce ne accorgeremo. Le teste di quei molti non potranno capire mai, socialisti o comunisti «moderni» come sono, cioè educati alla scuola dei valori del capitalismo, che Panzieri, per noi, molto più di quel che egli è stato, è quel che egli non è stato.
Egli è stato anzitutto il diverso dagli altri, il diverso da quelli. Chi cerca le proprie amicizie tra gli invisibili diviene presto invisibile. Questo ha saputo Panzieri attuare inflessibilmente.
Non importa che il nome di Raniero venga ricordato. Le nostre memorie sono già troppo affollate. Egli ha lasciato degli scritti, tutti lasceremo degli scritti; ma la nostra verità, se una verità abbiamo attinto, è stata detta quasi per caso, in margine.


Da L'ospite ingrato. Testi e note per versi ironici, De Donato, 1966

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