4.10.17

San Bernardino da Siena. Le parole sono bombarde (Giampaolo Dossena)

Perugia - L'Oratorio di San Bernardino
Non so se San Bernardino da Siena sia un santo ancora in voga, oggetto di devozioni particolari. Come autore della letteratura italiana, sembra ridotto da tempo a un rilievo di secondo o terzo piano: le antologie scolastiche gli dedicano poche pagine. Ma è un personaggio straordinario: verso il 1425 è l'uomo più famoso d' Italia, e nel Quattrocento letterario è l'unico grande scrittore, insieme al Boiardo. Andando per generi, fra i predicatori San Bernardino da Siena è un gigante, in confronto a Gerolamo Savonarola e a Bernardino da Feltre.
Forse sono poche le persone che han voglia di dedicare qualche settimana a leggere San Bernardino da Siena. In ogni caso, oggi l'occasione c' è: Rusconi pubblica in due volumi di complessive 1.422 pagine il più famoso ciclo di San Bernardino: Prediche volgari sul Campo di Siena, 1427. Il commento di Carlo Delcorno è più ricco di riferimenti storici che di spiegazioni linguistiche, forse sarebbe stato utile un glossario, ma non è giusto fare i sofistici. Un San Bernardino così non l'avevamo mai avuto, adesso lo abbiamo, e dobbiamo tenercelo caro.
Dedicando qualche settimana a San Bernardino da Siena, oggi non risulta facile apprezzare il suo stile, come predicatore. Egli segue i moduli consueti: una citazioni biblica, analizzata in vari modi, con ragionamenti suddivisi in paragrafi e sottoparagrafi, premesse, riprese, riassunti. Non sono cose alle quali ci si possa più abituare. Sembra più facile fissare l'attenzione su certe parti delle prediche, in cui esce allo scoperto il temperamento del predicatore e lo stile del letterato. Il temperamento del San Bernardino predicatore è violentissimo, da inquisitore domenicano. Questa affermazione è erronea. Fermiamoci un momento. San Bernardino era francescano. Molti pensano che i francescani fossero buoni, come Guglielmo di Baskerville, e che i domenicani fossero cattivi, come Bernardo Gui che continua a torturare e bruciare streghe ed eretici mentre Guglielmo ha abbandonato le pratiche crudeli e assurde dell'Inquisizione.
Le cose sono andate un po' più lentamente di quanto ci portino a pensare le semplificazioni storiche e romanzesche. Cent'anni dopo le vicende del Nome della rosa, San Bernardino è francescano ed è inquisitore, e si vanta di aver fatto bruciare molte streghe, e minaccia roghi, e li sogna, li vagheggia. San Bernardino non ha tenerezze nello stile dei Fioretti di San Francesco. San Bernardino vuol colpire i suoi ascoltatori con parole che siano colpi di balestre e di bombarde. Parla una volta della propria infanzia e si ricorda che gli piaceva giocare con balestre e con bombarde. San Bernardino non ama gli animali. C'è un cane che passa per il Campo durante una predica e lui urla: cacciatelo, dategli con una pianella! San Bernardino vede Siena come un orrore, paragonabile alla New York di Andrew H. Vachss (il cui notevole romanzo, Oltraggio, è stato recentemente tradotto dalla nuova casa Interno Giallo). L'orrenda Siena, piaga schifosa di tutti i vizi, sta in un'Italia che non è da meno: se avessi dei figli, dice San Bernardino, non vorrei che vivessero in questo paese: prima che compiano tre anni qualcuno ne abuserebbe.
Ma, appunto, San Bernardino non è un cittadino rassegnato di Siena 1427 o di New York anni 80, né un disadattato in fase terminale. È uno che reagisce. Con violenza. Ha idee precise sulla corruzione mercantile e bancaria, sugli ebrei, sui sodomiti, sulle meretrici, sull'ingiustizia della Giustizia. Ci dà notizie precise sugli amministratori comunali che tolgono l'approvvigionamento idrico alle carceri per darlo ai bordelli.
Generalmente le antologie scolastiche privilegiano, per dar un'idea del Bernardino scrittore, gli esempi, apologhi, novellette, che sono in effetti esercizi di stile narrativo. Forse altri predicatori erano più bravi, in questo. Forse le mezze pagine che colpiscono di più i lettori d'oggi (ammesso che ci siano) sono quelle in cui San Bernardino non racconta, bensì descrive: descrive certi vestiti, certe pettinature. In ogni caso chi abbia gusti analoghi a quelli, per dire, di Giorgio Manganelli, trova in San Bernardino una lingua ricchissima di parole belle e mostruose. E, per volare alto sulla noia delle parti didattiche, sono sempre straordinarie le schegge bibliche, di Isaia o di Giobbe. Queste sono le cose a cui non sono più abituati gli ascoltatori di prediche odierne. E men che mai sono abituati a sentirsele tirare in faccia nel latino della vecchia Bibbia, lingua meravigliosa. Tra l'altro, spesso San Bernardino parlava latino, e qualche volta non traduceva. Sapeva che lo capivano. Come avrebbero ancora potuto capirlo i nostri nonni, i vostri bisnonni. I nipoti e bisnipoti probabilmente non capiscono più neanche lacrymarum valle. Per finire, San Bernardino adorava i giochi di parole, lo onomatopee, certe mimiche da guittaccio. Chi apprezzerà ancora questi trucchi tradizionali della predicazione francescana? Ma quanta cattiveria c'è anche in queste ironie e autoironie! Una delle pagine più memorabili è quella in cui prende in giro se stesso, raccontando quando da ragazzo si mise in testa di fare l'eremita. Ce l'aveva anche con gli eremiti, i padri spirituali, i pellegrinaggi. Non gli andava bene niente.


“la Repubblica”, 17 marzo 1990  

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