13.11.17

Flaiano e Maccari. Attenti a quei due (Luciano Lucignani)

Mino Maccari, Ricordo di Flaiano
In queste Lettere a Flaiano di Mino Maccari (Edizioni Pananti, pagg. 234, lire 48.000, a cura di Daniele Bacci e di Diana Ruesch) non c' è una pagina, si può dire, senza un motto di spirito, una battuta, un gioco di parole, un messaggio irriverente. Neppure quando, verso la fine del 1969, Flaiano cominciò a stare male (morì nel 1972), Maccari rinunciò al suo tono scherzoso ("Lo stesso giorno che il ricoverato palpeggerà le natiche dell' infermiera di turno, arriverà la notizia tanto attesa: dimissioni dall'Ospedale, ritorno alla vita libera, alla piena salute..."). Non era cinismo, ma un modo affettuoso di scherzare per tenere su l'amico convalescente.
Maccari è stato anche scrittore, ma i suoi veri modi d'espressione erano la pittura e soprattutto il disegno; le sue vignette, uscite settimanalmente sul “Mondo”, il mitico settimanale diretto da Pannunzio, di cui Flaiano era redattore capo, avevano il carattere di brevi raccontini di costume. Maccari era stato fascista, aveva partecipato alla marcia su Roma e su questi suoi trascorsi giovanili torna spesso nelle sue lettere, scherzandoci sopra: con autodenunce, inviti di iscriversi al fascio, annunci di improvvise difficoltà in merito ("Quello stronzo del Duce, sobillato da quel maiale di Farinacci, s'è messo in testa che sei ebreo e non vuol dar corso alla pratica... Ti consiglio di farti fotografare il prepuzio, per dimostrare che non sei circonciso").
Il nessun rispetto che aveva per se stesso, lo nutriva anche per gli altri, in particolare per tutte quelle figure della società artistica e letteraria: accademici, impegnati, comunisti, fondatori di premi letterari, che ai suoi occhi incarnavano la retorica seriosa di quel tempo. "Quando tira scirocco", scrive da Montignoso, vicino Lucca, "giunge fin qua l'odore del puzzo dei piedi di Guttuso"; e anche "Diploma di scrittor Stakanovista/ Dié a Moravia il Partito Comunista/ A Piovene lo Strega è stato dato/ Come si sa, Piovene sul bagnato".
Fondatore del “Selvaggio”, che per vent' anni aveva diretto, scritto, illustrato e impaginato, dell' “Antipatico” e di “Circolare Sinistra”, Maccari inventava continuamente nuovi giornali: “Il Rimbambito”, “Il Disonesto”, “Il Superfluo Illustrato”, alcuni dei quali mai usciti. Questo dei giornali era un argomento che intrigava Flaiano. A una lettera di Maccari in cui gli proponeva di impadronirsi del potere per mettere mano "alla totale distruzione del nostro paese", Flaiano rispondeva che questo era "il programma democristiano" e lanciava l' idea di fare un giornale libero. "Tu dirai: Libero un corno! E i soldi? Io posso risponderti che un giornale, una volta libero, è libero di schierarsi con chi vuole. Capito? Dunque, un giornale 'libero' che aspetta una buona offerta, per poi venire meno agli impegni... A lungo andare, qui, un mascalzone finisce col farsi rispettare e noi, grazie a Dio, siamo in due".
Maccari era nato dodici anni prima di Flaiano e gli sarebbe sopravvissuto per altri diciassette, ma la differenza d'età non aveva impedito il nascere di un'amicizia che sarebbe durata fino alla morte di Flaiano, nel 1972. Li avvicinava, più che la predilezione per certi aspetti della vita e dell' arte, il disprezzo per certi altri, il gusto di sprecare il proprio talento, l' inguaribile vizio di non prendersi sul serio, la mancanza di rispetto per chiunque. Lo stesso atteggiamento che, con leggere sfumature di diversità, tenevano altri intellettuali romani, come il gruppo del Caffè Rosati di via Veneto, Sandro De Feo, Vincenzo Talarico e Ercole Patti, e come il pittore e disegnatore Amerigo Bartoli, tutti collaboratori del “Mondo”. Tutti inesauribili creatori di definizioni e di battute divenute famose e ormai attribuibili indifferentemente all' uno o all' altro. Maccari scriveva lettere (ma anche cartoline, biglietti, falsi telegrammi, anche più volte nello stesso giorno) alle quali Flaiano rispondeva raramente; De Feo, Talarico e Patti si vedevano tutte le sere e poi si telefonavano la mattina appena alzati. C'era, in tutti, una brama di comunicare, di stare insieme, che rasentava la mania e di cui oggi non c' è più traccia. Avevano punti d'incontro fissi, dei veri e propri santuari, come la Libreria Rossetti, nella parte alta di via Veneto o la trattoria "Cesaretto", in via della Croce. Spesso, la sera dopo cena, studiavano con attenzione l'elenco degli spettacoli cinematografici; di ogni film volevano sapere chi lo aveva diretto, quali erano gli interpreti, chi era stato l'operatore, chi lo aveva prodotto e se aveva vinto qualche premio. E tutto questo per decidere quale film non andare a vedere.
Ognuno di loro aveva le sue piccole, innocenti abitudini. Maccari scriveva a nome di assurde società inventate (la "Inchiostri Associati", la "Pedinamenti e Ricatti"), la "Sederconsorzi") e si firmava nei modi più impensati, con umorismo goliardico (Teocrito Subisci, Acquafresca Vinopuro, o Involontario di guerra). Flaiano non scriveva molte lettere, ma quelle poche le imbucava dopo aver disegnato sulla busta dei francobolli di fantasia, di stati inesistenti o di anniversari ipotetici (cosa che non impediva alle lettere di arrivare regolarmente, con tanto di timbro postale). Patti narrava, con dovizia di particolari, storie boccaccesche che lo avevano per protagonista e alle quali nessuno credeva. Ma De Feo batteva tutti, dando, a richiesta, dimostrazione del suo metodo per allontanare i seccatori. Dopo aver scambiato poche battute, infilava nella risposta frasi del tipo "ma lei è un gran coglione", dette però con tanta rapidità che l'interlocutore non era mai troppo sicuro di averle sentite. Comunque, nel dubbio, salutava e se ne andava. Insomma, chi più chi meno, questi nostri carissimi amici erano dei grandi giocherelloni. Un modo come un altro, diceva Flaiano, per reagire alla plumbea noia che gravava su Roma, città da Basso Impero.
Se fossero vivi oggi, mi chiedo, che cosa farebbero e direbbero? Nello Ajello, che per questo libro di Lettere a Flaiano - arricchito di bellissime tavole, anche a colori, di Maccari - ha scritto una prefazione tenera e venata di nostalgia è, per quanto posso conoscerlo, fatto della stessa pasta, amico e frequentatore di entrambi, mittente e destinatario. La sola cosa che non si dovrebbe perdonare (ma uso il condizionale) ai curatori della raccolta è di aver omesso un centinaio di lettere, per eccessive ragioni di prudenza, secondo me. Perché, per esempio, non aver incluso quel biglietto inviato da Maccari a Flaiano quando, ancora convalescente, quest'ultimo si era rifugiato nel Tevere Residence di Roma e che diceva testualmente: "A Ennio Flaiano, Tevere Residence, Roma. Tua moglie non ti tradisce. Un amico". Santo Cielo, ma dove va a finire, allora, la mancanza di rispetto?


“la Repubblica”, 2 gennaio 1992  

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