13.11.17

Un partigiano del mio paese. 74 anni dopo i nipoti ritrovano il luogo ove i nazifascisti lo trucidarono (Canicattì Web)

Salvatore Cani, i partigiano ucciso dai nazifascisti in Val Bormida
Su “Canicattì Web”, trovo una notizia firmata Redazione e raccolta da Giovanni Blanda che, per più di una ragione, mi commuove.
Del partigiano di cui si parla, mio compaesano, avevo sentito parlare da ragazzino come di un generico morto in guerra al mio amico più caro dell'epoca, il quale mi è rimasto carissimo anche se ormai capita assai di rado di vederci: Totò (Salvatore) Casuccio. 
Totò è figlio di una sorella del caduto in Val Bormida, Salvatore Cani. Della sua mamma non ricordo il nome, ma la bellezza, i capelli biondi e le fette di pane e marmellata che talora mi offriva. E ancora di più ricordo la nonna di Totò, madre del partigiano Salvatore, la “zza Ramunna”, vestita a lutto dalla morte di lui, che aveva casa a poche decine di metri dalla mia, in uno spiazzo che si apriva lungo la via Umberto, accanto a quella di Filippina la Raia. 
Totò, a quanto pare, ha avuto un ruolo importante nel rintracciare, più di 70 anni dopo, il luogo della morte di quel suo zio che non aveva conosciuto. Fa parte da sempre del suo carattere il non arrendersi alle difficoltà quando si è assegnato una missione.
Il ricordo di questo partigiano del mio paese che sento in qualche modo vicino mi inorgoglisce un po' e sono contento che le sue ceneri siano sepolte nel Savonese, nei luoghi più cari a Sandro Pertini, il partigiano che abbiamo avuto la fortuna di avere come Presidente e che da quelle parti crebbe e svolse le sue prime battaglie per la libertà di tutti. (S.L.L.)
In visita alla cascina Bergamut in Val Bormida, ove fu ucciso il partigiano Cani.
Il primo a destra, a fianco della targa commemorativa, è il nipote Totò Casuccio
Riescono a individuare e a visitare dopo 74 anni il luogo del savonese dove il loro zio partigiano è stato trucidato dai nazifascisti. È durata anni di affannose ricerche da parte dei nipoti Salvatore e Giovanni Casuccio l’individuazione in Val Bormida (SV) della Cascina Bergamut dove il loro zio, fratello della loro mamma, ha donato la sua vita, insieme ad altri partigiani, per la libertà e la democrazia della nostra patria.
Cani Salvatore di Giuseppe e Giordano Raimonda, nato a Campobello di Licata il 31 ottobre 1920 è, a pieno titolo, uno dei primi partigiani caduti per la libertà. L’armistizio dell’otto settembre lo raggiunse mentre era in servizio a Savona in Liguria, là dove subito dopo l’armistizio si formarono quattro nuclei partigiani. Salvatore, figlio di contadini e lui stesso contadino, non esitò a schierarsi col Distaccamento Stella Rossa del Comandante Angelo Bevilacqua, operante inizialmente nella zona di Santa Giulia (SV) e poi in quella di Gottasecca (CN). Già il 10 dicembre del 1943 il Distaccamento si dovette sciogliere a causa dell’arresto di molti suoi membri e Salvatore fu costretto a transitare nel gruppo di Bormida che aveva la sua sede in una impervia località dell’alta valle Bormida a 900 metri di altitudine nella Cascina Bergamotti; una di quelle tradizionali cascine disposte su due piani, al pianterreno la cucina e al primo piano la camere con i letti a castello. Qui era ospitato il gruppo di partigiani di cui faceva parte Salvatore.
Era la fine del 1943, un anno di grandi stravolgimenti e di grandi speranze. La sera di San Silvestro i contadini di Bormida mandarono su alla cascina una torta e alcune bottiglie di vino affinché i dieci partigiani ivi ospitati accogliessero il nuovo anno in un clima che avesse la parvenza di una vita normale, lontana per un attimo dalle difficoltà causate dalle guerra; si fece festa sino all’alba. Era però nell’aria un vago presagio di imminente pericolo, tant’è che il Commissario politico Molinari riunì i suoi uomini per comunicare loro che da quella stessa sera sarebbe iniziato il servizio di guardia.
Il giorno di Capodanno trascorse tranquillo; a sera la sentinella Barberis di Osiglia montò di guardia. La notte era fredda e buia, albeggiava quasi e tutto sembrava sotto controllo quando il partigiano a guardia intravvide in lontananza la sagoma scura di una lunga fila di uomini sul sentiero che portava alla cascina. Comprese la gravità del momento e diede l’allarme sparando un colpo di pistola. Sul sentiero infatti una squadra di tedeschi, guidata da esponenti della Guardia Nazionale Repubblicana in borghese, cercava di raggiungere la cascina. Appena avvertito, il Commissario Molinari diede l’allerta. Svegliati di soprassalto, in una gran confusione, alcuni partigiani che dormivano completamente vestiti per il freddo pungente fecero in tempo a disperdersi nel bosco retrostante, mentre gli altri subirono l’accerchiamento. Il rumore cadenzato del crepitio delle mitragliatrici durò fin quasi alle otto quando i monti rimbombarono per una forte esplosione alla quale seguì un inquietante silenzio. Era successo che Ugo Piero, Enzo Guazzotti, Nino Bori e il nostro Salvatore Cani, dopo aver eroicamente sostenuto e fronteggiato l’attacco, furono catturati e uccisi. Non ancora sazi di vendetta, i nazisti si accanirono sui loro corpi buttandoli nel fienile al quale appiccarono il fuoco. Completamente carbonizzati, i resti mortali dei quattro caduti furono recuperati alcuni giorni dopo e pietosamente ricomposti dalla gente del posto nel cimitero di Bormida (SV). Una stele in bronzo ed una lapide in legno apposta sui resti della cascina riporta i nomi dei quattro Caduti a memoria del loro sacrificio.
Dopo qualche anno i resti delle salme sono state riesumate e traslate nel “Sacrario dei Partigiani” all’interno del cimitero di Savona. In data 3 marzo 1956 è pervenuto al Comune di Campobello di Licata l’atto di morte di Salvatore Cani dove viene dichiarato che il partigiano siciliano è sepolto nel Campo M, fila 6a tomba n.19 nel cimitero della città ligure.

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