15.11.17

Honoré de Balzac. L'eleganza e la vita (Cristiana Garbari)

Voleva essere un dandy. Si sforzava continuamente di esserlo con risultati disdicevoli. Se nella letteratura l’occhio si era fatto corpo viscerale, crudele, Honoré de Balzac, lo si sa, nella vita era tutt’altro. «Lo sfarzo stravagante del suo abbigliamento: l’enorme bastone da passeggio tempestato di turchesi, i bottoni d’oro ricercatamente cesellati, la teoria interminabile di panciotti nuovi e di guanti (un palo diverso per ogni giorno dell’anno) riuscivano solamente a suscitare i commenti spesso mordaci dei suol amici», dice la pluricitata monografia sul dandismo della Moers. Balzac non era, quindi, un dandy eppure scriveva di moda e aveva una vera passione per l’eleganza tanto da pubblicare a puntate su “La Mode” il suo «Trattato della vita elegante», uscito quest’anno in edizione Savelli, a cura di Gilda Piersanti, come livre de poche cioè come libro così sottile che lo si può leggere in treno tra un viaggio e l’altro di un qualsiasi peregrinare quotidiano.
Ennesima pubblicazione su un tema che ormai spopola ma allo stesso tempo interessante riferimento per capire un autore così amato come lo è Balzac, e spieghiamo perché. Il «trattato» lo pubblica nel 1830 quando non si era ancora fatto un nome come cronista della hight society parigina, ma faceva il giornalista di «costume», si creava alberi genealogici ambigui, imitava il dandismo di certi suoi amici ed era abbagliato dai luccichii del Café de Paris. È proprio nel ’30 (anno in cui Stendhal scrive Il rosso e il nero e amoreggia, lui sì, col concetto di dandy) quando inizia il «traité», che intendeva (forse non senza ironia) come chiave di interpretazione filosofica della moda, che Balzac ha un debito consistente con il sarto: una fortuna spesa per avere dei risultati scadenti. Lo notava il capitano Gronow «(era) l’essere più sugnoso e comune... con la faccia larga e rubina, le cascatene di doppiomento e i capelli unti e irti... vestiva col gusto più pacchiano che si possa immaginare, portava gemme scintillanti sullo sparato sporco e ostentava alle dita sudicie anelli di diamanti». Intanto, sul «traité», scriveva dell’importanza delle toilette, della cravatta in rapporto alla società, dell’ozio, della gastronomia, del sigaro. Componeva una ferrea scala di pretendenti al titolo di dandy che, partendo dallo «zero social» (il lavoratore, l’inelegante) arrivava all’«oisif», l’ozioso.
In un punto non ben chiaro poneva lo scrittore, l’artista: sospeso tra le categorie. A differenza degli aforismi baudeleriani o di quelli piuttosto geometrici di D’Aurevilly, Balzac si ostina a comporre una filosofia, una giustificazione. E qui si svela: Balzac non si guarda allo specchio, non riesce a costruire e ricostruire la propria immagine, è il suo occhio che si fa corpo.
È il suo essere psicologo, sezionatore attento della alterità, degli sbavamenti di tutto ciò che sta fuori di lui, ma è intorno a lui: il grande affresco di Parigi che sta diventando metropoli. È questo bisogno di teorizzare un’alterità con una freddezza vitale che non era la sua personale, che non lo fa essere dandy ma molto più complesso. Parla di un equilibrio geometrico che per lui non esiste dove l’eleganza, in teoria, fa coppia con la vita. |
E lui, come racconta affettuosamente Gauthier «(si parla di pere) Balzac ne divorò cinque o sei, lasciando che il succo gli scorresse sul mento, riteneva che questi frutti gli fossero benefici e ne mangiava in tale quantità sia per igiene che per golosità... il carattere gli piaceva più dello stile e preferiva la fisionomia alla bellezza».
Il traité sembra allora una finzione, un molto ironico, oppure ingenuo, una piccola ombra che compare in più di un grande artista e lo rende fastidiosamente umano, specchio del lettore, scostamento del velo, entrata nella quotidianità. Balzac è anche questo. Ma non bisogna nemmeno dimenticare che questo «trattato della vita elegante» è anche la partenza del suo occhio inquieto, Balzac sta facendosi la mano, appunta, memorizza, allena lo spirito d’osservazione che scoppierà nella «comédie» e nei molti famosi personaggi, loro sì, tutti incredibilmente dandies...


“il manifesto”, ritaglio senza data, probabilmente 1982

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