16.11.17

Miti minori. La doccia (Giuseppe Scaraffia)

Gli abiti si separano dal corpo, lasciandolo emergere nella sua nudità. La mano fa scorrere la manopola e una pioggia d’acqua cade sulle membra della bagnante. Quando le gocce hanno ormai imperlato anche i capelli, rilassando il volto, una mano armata spalanca bruscamente la tenda della doccia, tramutando l’espressione sensuale di soddisfazione in una smorfia di terrore. Il vapore è lacerato dalle grida della vittima, che scivola sotto i colpi, striando di sangue l’abitacolo. L’acqua che continua a scendere, quando ormai la bagnante è solo un cadavere afflosciato sul fondo, si tinge di rosso.
Se la scena più nota è quella ambientata nel motel di Psycho di Alfred Hitchcock, si tratta di una sequenza ormai classica, ripetuta infinite volte nelle pellicole con una serie di varianti. Basta che l’acqua carezzi la pelle nuda per far emergere il fantasma dell’aggressione letale. Eppure l’enfatico sottofondo musicale da messa isterica che ritma in un crescendo l’esecuzione, dovrebbe essere illuminante quanto la lama brandita da l’assassino. L’uccisore, a sua volta, viene ripreso solo nell’atto omicida o altrimenti in controluce o di spalle, disegnando una silhouette umana indeterminata. Emergono cosi, suggeriti dalle sfumature sacrali della colonna sonora, alcuni tratti in comune con l’antico rito sacrificale. Anche lì la vittima doveva essere spruzzata, prima di essere immolata con il coltello. «Tremendamente ambigua» secondo Jean-Louis Dura «l’acqua resta il segno addolcito ma sicuro della morte». L’animale poteva bere, prima di essere asperso e sgozzato. «La bestia viene mantenuta che infila porterà ad accettare la sua posizione di vittima».
Quindi il delitto è il travestimento, l’eco di un atto sacrificale che si perde nella notte dei tempi. Non a caso sovente l’aggressione viene compiuta da un maniaco e cioè da un’individuo posseduto da un’oscura divinità. Spogliandosi e purificandosi, la vittima si prepara, senza saperlo, al sacrificio. Nel momento esatto in cui i tratti distesi del viso annunciano il raggiungimento di una pace interiore, isolata dal mondo esterno, il pugnale traccia sul corpo i segni della morte.
La vittima, nello spasimo dell’agonia e del terrore, sembra perdere i connotati sessuali sottolineati dalla nudità. Però quasi sempre la scena si basa su un agguato maschile a un essere femminile. Il fantasma materno aleggiante in Psycho allude a una punizione per l’impudicizia della morta. Le vittime, in effetti, non hanno mai chiuso a chiave la porta del bagno e l’uccisore approfitta, per raggiungerle, della loro distrazione o della loro rilassatezza. Si tratta sempre di donne stanche, che sono uscite dal cerchio loro concesso della dimora, per lavorare o per divertirsi, rientrandovi soltanto per riposarsi. Il braccio levato dell’assassino, confondendosi con quello del millenario sacerdote, tenta quindi di fare retrocedere nel tempo la donna, equiparandola, nel ruolo sacrificale, agli animali, dalla cui prossimità s’è voluta emancipare, per avvicinarsi arbitrariamente all’uomo. L’omicida, proclamando la sua potestà di vita e di morte sulla ribelle, fa regredire l’ambiziosa allo stato di oggetto inanimato nell’immobilità della morte, che stempera nel dolore ogni attrattiva sessuale. 
Anche se il maniaco viene catturato, la sua scia sanguinosa ha ormai disegnato un monito incancellabile. Le donne non devono illudersi, in ogni istante possono essere ricondotte allo stato primitivo, di preda indifesa dell'uomo. Chiudendo a chiave la porta della doccia, come in molti film consiglia sorridendo il salvatore, la donna deve circoscrivere la propria libertà, ammettendo la fragilità dei suoi confini. [...]

da Miti minori, Sellerio, 1995

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