1.11.17

Storia dei re di Britannia. La Nuova Troia e il padre di re Artù (Clara Valenziano)

È uno dei più antichi testi di storia della Britannia. Quando fu scritto, nel XII secolo, ebbe un successo enorme: fu copiato e ricopiato negli scriptoria dei monasteri (nelle biblioteche europee se ne conservano tuttora circa duecento manoscritti). È un libro del tutto inaffidabile dal punto di vista storico, ma molto divertente, pieno di avventure, di viaggi, di battaglie epiche: da questo testo prese avvio il filone delle leggende dei cavalieri di re Artù e del Graal. Si chiama Historia regum Britanniae. Lo scrisse a Oxford Goffredo di Monmouth; tra poco apparirà in italiano a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini (Storia dei re di Britannia, Guanda editore, pagg. 278,lire 26.000). Goffredo era un canonico agostiniano innamorato di Virgilio, di Omero, di Cesare, di Tacito, dei quali imita con straordinaria bravura stili e situazioni: pie trasmigrazioni sui mari in cerca di una nuova patria, battaglie di tipo omerico con duelli tra singoli eroi, efficientissime manovre di legionari, parole schiette dei comandanti prima della battaglia, discorsi eloquenti e appassionati e prediche noiose di santi uomini. Il lettore viene coinvolto in avventure improbabili, trascinato in epoche vaghe; e, ogni volta, il canonico puntigliosamente precisa: “Questo succedeva mentre in Giudea era re David... in quegli anni veniva fondata Roma... era il tempo in cui nasceva Nostro Signore. Fu Bruto a fondare la Britannia”. Chi pensa all'uccisore di Cesare è fuori strada: questo è un Bruto eponimo che si svelerebbe subito come tale se si chiamasse Brito. È un troiano dei Castelli romani, di quelli nati ad Alba Longa: un nipotino di Enea. Prima che nascesse, gli era stato vaticinato che avrebbe ucciso la madre e il padre. La madre la sistema subito facendola morire di parto; il padre lo elimina quando è quindicenne, per un incidente di caccia. Macchiato di tanta colpa, gli tocca andar ramingo per il mondo. Il giovane Bruto arriva in Grecia, dove trova un gruppo di troiani schiavi di un re. Li libera dal tiranno e decide di cercare con loro una nuova patria. Ma se i romani possono vantarsi di discendere dall'illustre stirpe di Dardano, i britanni li battono di molto: sono figli del Mediterraneo classico; Bruto, infatti, porta con sé come moglie la figlia del tiranno greco. La nave dei profughi parte e la donna, in piedi sulla poppa, fissa la riva che sparisce all'orizzonte e piange la patria e i genitori perduti. La nave procede per giorni e giorni, spinta da venti propizi, poi arriva a un'isola deserta dove sorge un tempio di Diana. Bruto sacrifica alla dea e le chiede: “O potente dea della foresta, terrore dei cinghiali selvatici, dove troveremo una patria?”. E Diana risponde:“Oltre il tramonto del Sole, oltre i regni di Gallia, c' è nell'Oceano un'isola abitata un tempo dai giganti: quella sarà la nuova Troia della tua progenie”. La nave riparte, costeggia l'Africa, supera le Colonne d'Ercole, penetra in un mare sconosciuto abitato da mostri marini e infine approda a una spiaggia dove hanno trovato rifugio altri troiani guidati da un capo dalla statura gigantesca, Corineo. Costoro si uniscono alla spedizione di Bruto.
Fin qui il viaggio si è svolto in un' atmosfera virgiliana: la nave sembra procedere come avvolta in una leggera caligine, in uno senario silenzioso, sacro. Con la comparsa di Corineo ecco il fracasso: il gigante è rumoroso e spaccone. Quando i profughi, approdati in Aquitania, vengono aggrediti da un popolo ostile, Corineo entra in azione. Con un' ascia bipenne tagliava in due dall'alto in basso tutti gli aquitani che gli venivano a tiro. Li terrorizzava con le sue grida: “Vigliacchi, Smidollati, Fatevi sotto”. Correva di qua e di là, e a uno amputava la mano con il braccio, a un altro spiccava le costole dal busto, a un terzo mozzava la testa con un sol fendente, a un quarto staccava le gambe dal corpo. Tutti si buttavano su di lui che si batteva contro tutti.
I troiani saccheggiano il paese, risalgono a bordo, riprendono il mare e arrivano nell'isola di Albione che, però, contrariamente a quel che aveva profetizzato Diana, era ancora abitata dai giganti. A farli fuori ci pensa Corineo. L'isola è ora libera e disponibile: i profughi sorteggiano tra loro le terre, cominciano a coltivare i campi e a costruire le case; Bruto, dopo aver annunciato che dal suo nome l'isola si chiamerà Britannia, fonda sul Tamigi una città a cui dà il nome di Nuova Troia. E quando sarebbe stata fondata questa antichissima Londra? Quando in Giudea regnava il sacerdote Elia. Seguono le avventure della seconda generazione (che è contemporanea di Omero, il quale veniva stimato un insigne retore e poeta). La terza generazione (in quel tempo Saul regnava in Giudea) vede un re che, oltre a essere un malvagio tiranno, è anche un sodomita. Gli succede sul trono Ebrauco (David era il re di Giudea) che ebbe venti mogli, venti figli e trenta figlie: le figlie le mandò spose ai troiani d'Italia.
Tra i successivi re, va ricordato Bladud, che restò vittima del proprio ingegno: si costruì un paio d'ali e morì mentre tentava di sorvolare Nuova Troia. Il figlio di Bladud è un personaggio che Shakespeare ha reso famoso: è il vecchio re Lear (Leir), che aveva tre figlie. Shakespeare non ha inventato nulla, né la trama del dramma né il carattere di re Lear che, nel racconto di Goffredo, così lamenta la perduta dignità regale: “O decreti irrevocabili del Fato, costanti nella vostra immutabile rotta, perché farmi toccare la vetta di una felicità così precaria? Il ricordo della letizia perduta mi è più penoso del tormento dell' infelicità presente. Fortuna, sei dunque sdegnata con me? Verrà mai il giorno della vendetta su quelli che, allo stremo della vita, mi hanno voltato le spalle?”.
In Goffredo la storia ha però un epilogo diverso: Leir riconquista il regno e, alla sua morte, gli succede Cordelia. Questa regna fino a quando i figli delle sorelle, diventati grandi, la fanno prigioniera e la buttano in carcere dove lei, disperata, si uccide. (Questo avveniva mentre Roma veniva fondata dai gemelli Romolo e Remo). L' episodio successivo è una variante dell'incursione dei galli a Roma nel 390 a.C. Era un britanno il capo dei galli, era il fratello del re di Britannia e si chiamava Brennio, uomo di bell'aspetto, abile nell'arte della caccia e dell'uccellagione. Conquistò tutta la Gallia, entrò in Italia e mise a ferro e a fuoco Roma: i romani riscattarono la città con oro e argento e Brennio si ritirò. Ed eccoci a Giulio Cesare, il quale, dopo aver conquistato la Gallia, naviga lungo le coste settentrionali. Volto lo sguardo all'isola dei britanni chiese chi l'abitasse. Saputolo esclamò: “Per Ercole, romani e britanni appartengono alla medesima stirpe, entrambi discendono dai troiani. Non voglio recare offesa all' antica nobiltà di Priamo versando sangue fraterno”. Perciò chiede al re di Britannia, Cassibellauno, di sottomettersi pacificamente; ma Cassibellauno (che è un personaggio storico) s'indigna e, col valore e l'astuzia, mette in fuga Cesare, la cui spada magica resta in mano ai britanni. Poi diventa re Cimbelino (in quei giorni nasceva Nostro Signore Gesù Cristo) e i romani conquistano la Britannia. E qui, stranamente, nessuno degli eroi della Resistenza né Carataco che tenne in scacco Roma per otto anni, né la fiera regina Boudicca, molto famosi nelle leggende gallesi, sono ricordati. Nella storia di Goffredo il re dei britanni è Alvirago, che combatte con sorte alterna contro l'imperatore Claudio finché viene concluso un trattato di pace suggellato da un matrimonio: Alvirago sposa la figlia dell'imperatore romano e, in onore di Claudio (Gloio), viene fondata la città di Gloucester. Successivamente sul trono imperiale sale un britanno. Settimio Severo aveva due figli, racconta Goffredo: Geta nato da madre romana, e Bassiano figlio di una britanna. Alla morte di Settimio Severo i romani eleggono Geta, i britanni Bassiano. Si viene a uno scontro e vince Bassiano (nella realtà i figli di Settimio Severo, Geta e Caracalla, erano nati da una siriana).
Alla morte di Bassiano segue un periodo nero ma non del tutto per i cristiani di Britannia: “Tutti i fedeli furono trucidati affinché in fitta schiera e a gara si affrettassero a raggiungere gli ameni regni celesti, loro dimora naturale”. Poi, di nuovo, un britanno diventa imperatore. Il romano Costanzio viene in Britannia e sposa Elena, la figlia del re, e da loro nasce Costantino: “A quel tempo a Roma regnava il dittatore Massenzio e molti romani avevano cercato rifugio in Britannia. Tutti costoro dicevano a Costantino: 'Fino a quando, o Costantino, sopporterai la nostra sciagura?'. Questi si lasciò persuadere, marciò contro Roma e la conquistò. Arriva il momento che i romani devono abbandonare l'isola: c'è una straziante scena d'addio. Ed ecco che cominciano ad arrivare gruppetti di sassoni, molto ammirati per il loro aspetto fisico (erano stranieri di alta statura e di straordinaria bellezza). Il guaio è che a poco a poco di sassoni ne arrivano tanti e si comportano da conquistatori. Seguono battaglie furibonde. Ma il grande cambiamento, nel racconto, è che ora tutto si fa a forza di magia: anzi, su preghiera del vescovo di Lincoln, uomo di grande prudenza e religiosità, Goffredo interrompe la sua Historia per raccogliere le profezie del mago Merlino.
Quando la storia riprende, il filo conduttore è appunto la prima profezia di Merlino: il drago bianco (i sassoni) sconfiggerà il drago rosso (i britanni), il sangue scorrerà a fiumi, la vera fede sarà cancellata; ma arriverà il cinghiale di Cornovaglia (re Artù) che schiaccerà sotto i piedi il drago bianco, diventerà signore delle foreste della Gallia, e la casa di Romolo avrà timore del suo furore. Artù vince i sassoni, accoglie alla sua corte i cavalieri più raffinati (le dame disdegnavano di concedere il proprio amore a un cavaliere che non avesse dato prova di coraggio in almeno tre battaglie), poi va alla conquista dell'Europa. Ma l'imperatore Lucio Tiberio gli manda i suoi ambasciatori con l'ordine di presentarsi a Roma a metà agosto dell'anno successivo: dovrà accettare dal Senato il castigo che ha meritato per essersi impadronito della Gallia romana. Purtroppo, un contrattempo impedisce ad Artù di presentarsi all'appuntamento: gli era arrivata la notizia che la moglie, la regina Gahumana (Ginevra nelle versioni successive) viveva in esecrabile lussuria col nipote. Artù torna in Britannia, sconfigge il nipote, manda Gahumana in un convento e sparisce misteriosamente, ad Avalon. Era l' anno 542.


“la Repubblica”, 19 aprile 1989  

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