23.12.17

Il ritorno di Carmen, un mito moderno (Giovanni Raboni)

Maria Callas nei panni di Carmen
«Fortunatamente la condizione patologica di questa poveretta, schiava della carne senza tregua e senza pietà, è un caso molto raro. Solo che serve più a risvegliare la sollecitudine dei medici che a interessare onesti spettatori, venuti a teatro con le loro mogli e le loro figlie». Scrivendo questo giudizio, nel marzo 1875, il critico del giornale parigino “Le Siècle” certo non si rendeva conto d’aver assistito alla nascita d’un mito: quello di Carmen.
Da allora la fortuna di questo personaggio sulle scene di tutto il mondo non ha conosciuto tregua; qualcuno ha perfino calcolato che la gitana è già stata pugnalata almeno cinquemila volte. In questi ultimi anni però Carmen ha avuto molta fortuna anche fuori dei grandi teatri d’opera tradizionali. Tutto è cominciato due anni fa, per la storia (ma c’era già stata la famosa Carmen Jones di Otto Preminger, e perfino una Carmen con Charlie Chaplin ed Edna Purviance), quando il famoso regista inglese Peter Brook l’ha trasportata in un teatro malridotto della periferia parigina, Les Bouffes du Nord, in una sala di 500 posti, facendola interpretare a quattro cantanti con una orchestra di 15 elementi (presto sarà pronta anche la versione tv). Nel 1982 c’è stata invece la prima rappresentazione dell’opera al teatro «Ponte del cielo» di Pechino, interpretata in cinese dalla cantante Miao Ging,
Quest’anno c’è stato invece Prénom: Carmen, il film di Jean-Luc Godard che ha ottenuto un Leone d’Oro molto discusso alla Biennale di Venezia, Carmen era la ventenne Marutschka Detmer. La musica del film, invece, si rifà ai quartetti di Beethoven e l’aria di Bizet viene solo fischiettata da un personaggio. A dicembre uscirà in Italia Carmen flamenco, il film-balletto spagnolo di Carlos Saura, già premiato a Cannes, con Antonio Gades. A gennaio dovrebbe arrivare il film-opera di Francesco Rosi, commissionato dalla Gaumont, che si dice sia costato una decina di miliardi, Carmen è Giulia Migenes, una newyorkese di 30 anni. A giugno, a Spoleto, si potrà vedere il balletto di Antonio Gades, ispirato al film di Saura; Carmen sarà Cristina Hoyos. Infine, per chi preferisce la satira un po’ piccante, è uscita in questi giorni anche in Italia una Carmen a fumetti, un po’ fatale e un po’ sozzona, opera di uno dei nuovi disegnatori francesi, Georges Pichard.
Quali sono i motivi di questa popolarità? Qualche cinico ne ha trovato uno: sull’opera, dice, non si pagano più diritti d’autore. In Francia infatti i diritti scadono 50 anni dopo la morte dell’autore. In questo caso non è Prosper Mérimée, autore del racconto, morto nel 1870, e nemmeno Georges Bizet, autore dell’opera morto nel 1875, ma il più longevo dei suoi due librettisti, Ludovic Halévy, morto nel 1908. Aggiungendo sei anni e mezzo, come prevede la stessa legge, per la prima guerra mondiale, e otto e mezzo per la seconda, si arriva alla metà degli anni Settanta: proprio quando hanno cominciato a moltiplicarsi le nuove Carmen.
Questa spiegazione, naturalmente, non è soddisfacente. Se la storia della zingara andalusa ci viene riproposta di continuo, vuol dire che il pubblico la richiede. «La storia della donna fatale è sempre piaciuta», dice Enzo Siciliano, «e in particolare, non so perché, agli uomini di spettacolo. Basta pensare a tutti i libri e i film sull’argomento. Certo, tra le donne fatali, Carmen è la più affascinante».
Eppure il racconto Carmen, pubblicato nel 1845 sulla “Revue des Deux Mondes” non suscitò grande interesse. Fu ripubblicato sette anni dopo, poi sparì dalla circolazione per molti anni. L’autore, Prosper Mérimée, era un intellettuale quarantenne, ispettore ai monumenti e alle antichità, un uomo freddo, ironico, molto mondano. Diceva che lo spunto gli era stato dato da un episodio narratogli dalla contessa de Montijo, un’aristocratica che lui aveva conosciuto in occasione del suo primo viaggio in Spagna, nel 1830. Glielo aveva raccontato mentre lui teneva sulle ginocchia sua figlia Eugénie, più tardi destinata a sposare Napoleone III.
Molti indizi però fanno pensare che il ventiduenne Mérimée, spedito in Spagna da suo padre dopo un amore infelice, avesse conosciuto direttamente una o più Carmen. Una di queste, per esempio, abitava con la madre in una capanna e prediceva il destino: lui la ritrasse in un acquerello. In un capitolo aggiunto al racconto, del resto, Mérimée lascia capire qualcosa di più: «Si dice che non sia mai successo», afferma, «che una gitana sia stata attratta da un uomo che non era della sua razza. Mi sembra che ci siano molte esagerazioni negli elogi che si fanno della loro castità. Anzitutto molte gitane sono brutte, e sono quindi come quella di cui Ovidio dice: "Casta quam nemo rogavit”. Quelle graziose in realtà sono come tutte le spagnole: molto esigenti nelle loro scelte».
Coloro che conoscono Carmen solo attraverso l’opera non sanno che nel secondo capitolo Mérimée racconta il suo incontro con Carmen, a Cordova: «Una sera, all’ora in cui non si vede più niente, fumavo appoggiato al parapetto quando una donna... venne a sedersi accanto a me». Mérimée attacca discorso, le offre un gelato e l’accompagna a casa sua per farsi leggere le carte. Qui però viene interrotto dall’arrivo di don José, amante di lei, ed è costretto a partire. Qualche mese dopo, ripassando da Cordova, sa che don José è in prigione, condannato a morte. Lo va a trovare e questi gli racconta il suo amore per Carmen, che lo ha convinto a disertare dall’esercito per unirsi ai contrabbandieri, ma ha continuato a tradirlo costringendolo a ucciderla.
Mérimée racconta questa vicenda passionale in modo veloce e distaccato. Uno scrittore francese, Henri de Montherlant, Io commenta così: «Mérimée, che era certamente un uomo di spirito (tutti i francesi lo sono), non vuol far vedere che lo è. Mérimée, che era psicologo (tutti i francesi lo sono), non ci parla della psicologia di Carmen. Crediamo che stia per spiegarcela, quando don José la uccide: la uccide in dieci righe, e il libro è finito prima di cominciare».
«Il fascino del racconto, invece, sta proprio in questa apparente freddezza», dice Enzo Siciliano. «C’è un rapporto strano, ambiguo, tra autore e personaggio. Dietro questa scrittura apparentemente trasparente agiscono forze oscure. Tanto è vero che Carmen ha influenzato molti scrittori negli anni successivi. Nonostante le immense differenze di stile, vedo ricomparire il personaggio in Un amore, di Buzzati e nella Noia di Alberto Moravia. De1 resto sappiamo che Moravia ama molto Mérimée».
La vera Carmen, però, è nata con l’opera lirica. Meilhac e Halévy, che avevano scritto per Offenbach La bella Eletta r La Vie Parisienne, decisero, quasi 30 anni dopo l’uscita del racconto, di proporre un’opera su questo tema a un compositore di 27 anni, Georges Bizet. Questi era triste, malato, sempre indeciso tra Mozart e Beethoven, tra Rossini e Wagner, non aveva ancora conosciuto il successo; viveva in un sobborgo vicino a Parigi, Bougival, e la moglie lo tradiva con un amico, il pianista Delaborde. Bizet dovette lottare molto con i librettisti che cercavano di rendere più accettabile il personaggio della zingara prostituta e scrisse addirittura il testo della famosa Habanera.
Il personaggio di Carmen cambiò profondamente. Era contrabbandiera ma non ladra, non era più sposata (come nel racconto, con lo zingaro Garcia il guercio) e quindi non era più adultera, e soprattutto non andava a letto con tutti gli ufficiali e gli stranieri che le capitava di incontrare. Nonostante questo, dopo la prima del 3 marzo 1875, cui assistettero Gounod, Massenet, Dumas figlio, lo scandalo fu grande. La stampa definì la protagonista «una creatura abietta». Bizet morì qualche tempo dopo, senza aver conosciuto il successo.
L’opera però piacque subito ai musicisti: a Wagner, a Brahms, a Puccini, e a Federico Nietzsche, che trascorse a Genova l’inverno 1881-82; era già malato e scrisse che quella musica lo aveva addirittura guarito. Si servì di Bizet nella sua polemica contro Wagner: il compositore tedesco, diceva, era forse più grande, ma la sua musica era pomposa, oscura, sembrava sempre alludere ad altri significati. Bizet invece era riuscito a rappresentare l’amore: «Finalmente l'amore, tradotto di nuovo nella natura! L’amore come destino, come fatalità: cinica, ingenua, crudele, e appunto in questo, natura...».
«Secondo me Nietzsche aveva colto un aspetto molto importante», dice il critico musicale Mario Bortolotto. «Carmen è un personaggio unico nel mondo dell’opera lirica. Non si può definire né buona né cattiva, è costruita, per così dire, con un metallo diverso, è estranea al mondo morale. I librettisti di Bizet hanno censurato il testo di Mérimée, ma non hanno potuto censurare la musica. Qualcuno ha fatto il parallelo tra Carmen e don Giovanni, un personaggio che si ribella anche lui alle convenzioni. Mozart però cerca di riportarlo all’ordine: don Giovanni è un dissoluto che deve pentirsi, che deve essere punito. Nella morte di Carmen, invece, non c'è espiazione, non c’è pentimento, c’è il compimento di un destino, che è una cosa ben diversa.
«Certo per la letteratura questa non era una novità», prosegue Bortolotto. «Nella letteratura è facile trovare un personaggio ambiguo, difficilmente catalogabile. Nell’opera no: i ruoli sono attribuiti una volta per tutte. L'opera, come diceva George Bernard Shaw, è quella cosa per cui il soprano si innamora del tenore e il baritono non vuole. Qui invece la mezzo soprano tradisce il tenore con un baritono!».
Carmen piace o affascina perché è una specie di protofemminista? Anna Maria Menichetti, che si occupa delle parti scritte per donne nell’opera lirica nella trasmissione del mattino dedicata alle donne, Ora D, non accetta le domande: «È femminista Carmen? Era femminista Eva? Non lo so. Carmen è attuale? Certamente. Prima di tutto perché si comporta come un uomo; cioè vuole scegliere, vuole decidere. Poi perché è una donna che non vuole rinunciare a niente. Potrebbe vivere tranquilla, fare la moglie del brigadiere, e invece rimette tutto in giuoco, perché non vuole scegliere qualcosa, vuole tutto. In questo può servirci da modello: anche se, certamente, è finita male».


L'Europeo, 15 ottobre 1983

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