30.1.18

“L'Ora”, un cane da guardia contro la mafia (Jolanda Bufalini)

Sarebbe l'ora, verrebbe da parafrasare dopo la lettura di Era L'Ora (a cura di Michele Figurelli e Franco Nicastro, XL, 2012) che, attraverso le testimonianze di chi vi lavorò (o anche di chi, come Roberto Lagalla, partecipava al «rito» pomeridiano in edicola: «è uscito l'Ora?») racconta la storia del quotidiano che ha inseminato con i suoi cronisti (diventati inviati e direttori) le maggiori testate italiane. Il volume, uscito di recente, segue una mostra e un convegno organizzati a Palermo dall'Istituto Gramsci nel 2010. Ne viene fuori il ritratto del leggendario direttore Vittorio Nisticò, e però anche un trentennio, sino all'epilogo traumatico della chiusura nel 1992, in cui la vicenda de “l'Ora” si intreccia con la storia di Sicilia e d'Italia e dunque, alla fine, si traggono dal libro spunti che vanno ben al di là della storia del giornalismo.
Direttore tosto, incazzoso, «sono caduta nelle grinfie di un nevrotico abbarbicato al suo tavolino 16 ore di fila», scriveva Giuliana Saladino. Emerge dai ricordi, ancora oggi, il terrore davanti alla porta chiusa del direttore, la gioia intima e fortissima per un apprezzamento. E l'orgoglio per essere cresciuti a quella scuola, laboratorio che sfornava al pomeriggio non più di 12-16 pagine. “L'Ora” «divenne in breve la fonte più accreditata sui fatti di mafia, il mito della controinformazione si identificava in sostanza con una informazione completa e corretta», scrive Vincenzo Vasile. Roberto Ciuni: «Il giornalismo palermitano non si scomodava per assistere alla guerriglia dietro casa: pigro, codino, metteva un ruffiano S.E. davanti ai nomi dei ministri, prefetti, sottosegretari, magistrati, generali, ambasciatori». C'è il tributo di sangue dei giornalisti uccisi, Cosimo Cristina (maggio 1960), Mauro De Mauro (settembre 1970), Giovanni Spampinato (delitto fascista, ottobre 1972) ma la prima avvisaglia della guerra fu una bomba al tritolo che squassò la sede del quotidiano nel 1958, quando era in corso la prima inchiesta fra mafia e politica. Il titolo dell'edizione straordinaria fu: «La mafia ci minaccia l'inchiesta continua». Allora come ora le inchieste vere disturbavano il manovratore. Nisticò non era un eretico, era stato nominato da Amerigo Terenzi, editore dei giornali del Pci, con l'accordo dei vertici del partito. Eppure (annota nelle memorie) dopo la bomba, ebbe «una sensazione spiacevole di isolamento rispetto alle forze siciliane dello schieramento amico».

Un'avventura di libertà giornalistica
A cosa si deve l'alchimia che produsse quei vent' anni (1954-1975) di una straordinaria avventura di libertà giornalistica? Marcello Sorgi: «La sua impazienza cominciava dal primo mattino, quando ancora non erano disponibili a Palermo i giornali nazionali, e si informava al telefono delle aperture, dei commenti e delle articolazioni delle prime pagine. Non si è mai accontentato dell'orizzonte locale». C'è il rapporto forte con il Pci e con il progetto di cambiamento che in Sicilia significava, alla Togliatti, prima di tutto autonomia. Ma Nisticò sa che da giornalista deve rispondere prima di tutto ai lettori («dovevamo essere i cani da guardia dei cittadini, specialmente di quelli che non hanno voce», Francesco La Licata. «Garantisti verso tutti non verso i potenti», Vincenzo Vasile). Il 1958 non è solo l'anno della bomba, è anche l'anno della rivolta milazziana che esclude la Dc dal governo regionale. Per il giornale è un passaggio delicatissimo, nella maggioranza trasversale ci sono anche contiguità mafiose. Ma, sul piano politico, racconta Nisticò (Accadeva in Sicilia, Sellerio 2001): «L'Ora aveva precorso a modo suo, cioè facendo giornalismo, perché le idee politiche non fanno da sole un giornale e d'altro canto io stesso, per quanto affascinato dalla politica, non riuscivo a viverla, se non in una dimensione giornalistica».
La dimensione giornalistica gli consente di sfamare una curiosità onnivora: l'aristocrazia palermitana, la mondanità; le vacanze all'estero dei redattori servono per raccontare, in un giornale povero, il mondo. Cerca la collaborazione di intellettuali dai caratteri e dalle idee anche opposte: Sciascia e Danilo Dolci, Nino Sorgi e Francesco Renda, Giuliana Saladino, Marcello Cimino, Gioacchino Lanza Tomasi, Italo Calvino. Le foto d'archivio mostrano Claudia Cardinale in redazione, al tempo in cui Visconti girava a Palermo il Gattopardo. Sguinzaglia i fotoreporter (Scafidi, Petyx, Letizia Battaglia, Lo Bianco) perché senza la foto il pezzo di nera si può anche buttare. Colleziona querele, come ricorda nel libro Etrio Fidora. Attento spasmodicamente alla concorrenza, Sergio Sergi mi ha raccontato di quando un giornale concorrente titolò: «Ho visto la madonna piangere». «E tu? - ringhiò il direttore al cronista - dov’eri?».

Praga e la Grecia dei colonnelli
Kris Mancuso ricorda come approdò agli esteri. 1968, era di nuovo inviata al festival di Sanremo, dove aveva realizzato l’ultima intervista a Luigi Tenco, appena prima del colpo di pistola. Ma c’era stato il terremoto del Belice, chiamò:«Il cronista si rifiuta di riferire di questo mondo luccicante e chiuso mentre fuori accade...». «Sei diventata pazza?». Il primo reportage fu da Praga: «Tre mesi dopo, era l’agosto 1968, guardavo sul teleschermo le sequenze della repressione della Primavera, e piangevo». Poi fu la Grecia dei colonnelli, Panagoulis, gli esuli e l’oscura persecuzione dei servizi segreti italiani per i suoi contatti con gli studenti greci a Palermo.
Ho conosciuto Nisticò come lo racconta AlbertoSpampinato, dopo, a Roma: «È diventato l’opposto del terribile direttore che scagliava il portacenere contro il malcapitato cronista. Vittorio si è addolcito, è diventato premuroso». Però era sempre direttore, riuniva a cena le persone più diverse, e domandava, interrogava. Poi, facendo volare quelle sue mani magre come di fronte a un pianoforte, sintetizzava fatti e punti di vista.
Sulla fine de “L'Ora” Nisticò se la prende con i colonnelli di Berlinguer. Poi ci sono stati i sergenti e i caporali. Alberto Stabile: «Avremmo dovuto capire per tempo che politica e editoria sono incompatibili». Vincenzo Vasile, che è stato l’ultimo direttore: «L'Ora non poteva sopravvivere in una stagione segnata dallo svilimento». Vale però la pena di riprendere un editoriale di Nisticò, citato da Michele Figurelli, in polemica con il “Giornale di Sicilia”: «Degasperiano finché De Gasperi non cadde, pelliano per la pelle fino a che Scelba non silurò Pella, nessuno potrà sorprendersi se dovesse svegliarsi filocomunista, se le sinistre tornassero al governo. Nessuna sorpresa neppure se in futuro dovessimo fare i conti con qualche piccolo Beria di casa nostra. Sarà il Giornale di Sicilia ad accusarci per la semplice ragione che, pure allora, lui sarà per Beria e noi, se Dio ci darà vita,per i diritti del popolo e per le libertà».

“l'Unità”, 11 luglio 2012

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