La straordinaria
esperienza che, una volta entrati in contatto con una cultura tanto
diversa dalla loro, vissero cronisti, soldati e religiosi, a partire
dall'arrivo in Messico di Hernàn Cortés, nel 1519, fino alla sua
definitiva conquista e colonizzazione, ha lasciato una serie cospicua
di testimonianze non ancora del tutto note al pubblico italiano. Si
tratta di fonti a volte discordanti, e comunque non sempre
attendibili, anche perché raccolte dai racconti orali resi dagli
indigeni in una lingua, il nahuatl, poco comprensibile per gli
spagnoli, oppure trascritte da codici pittografici, molti dei quali,
purtroppo, andati perduti e distrutti. E tuttavia l'eterogeneità e
problematicità di questi documenti non ha impedito a Luisa
Pranzetti, esperta di letteratura ispanoamericana e all'antropologo
Alessandro Lupo di tracciare, in un Meridiano sulla Civiltà e
religione degli Aztechi (Mondadori 2015) una sintesi efficace di una
delle civiltà più raffinate della Mesoamerica.
Diviso in tre sezioni,
relative ai miti di fondazione degli aztechi la prima, ai riti
propiziatori e di passaggio che regolavano la loro società la
seconda, al loro drammatico incontro con la cultura spagnola la
terza, il volume si articola in una serie di brani provenienti da
opere finora mai o solo parzialmente tradotte in italiano. Brani in
spagnolo (tradotti, oltre che dai due curatori, da Amanda Salvioni e
Claudia Troilo) e in nahuatl (tradotti da Alessandro Lupo, cui si
deve anche la compilazione di un prezioso glossario).
La prima impressione che
si trae dalla lettura di questo vasto materiale sapientemente
ordinato è quella di una civiltà abitata da contrasti e misteri.
Una civiltà fondata su una cosmogonia di tipo duale, che vede agire
in contemporanea l'elemento femminile e quello maschile, il cielo e
la terra, il sole e la luna, nati, secondo l'Historia de los
mexicanos por sus pinturas, dall'azione congiunta di Quetzalcoatl
(letteralmente «serpente piumato») e Tlalocateuctli:«Quetzalcoatl
prese suo figlio e lo gettò in un grande fuoco: da lì uscì, fatto
sole, per illuminare la terra; poi, spento che fu il fuoco, venne
Tlalocateuctli e gettò suo figlio nella cenere, e ne uscì fatto
luna, che per questo appare cinerea e oscura». Tutto, insomma, si
distrugge e si ricrea, tutto collabora al ciclico ritorno di stagioni
che governa il calendario azteco; tutto contribuisce a spiegare (se
mai l'orrore può essere spiegato) la necessità di quei sacrifici
umani con tanta crudezza descritti, a più riprese, nella parte
centrale del volume.
Sacrifici che indussero i
primi evangelizzatori della Mesoamerica a parlare di diavolo, ma che
non distolsero i suoi conquistatori dal compiere azioni altrettanto
efferate come il massacro dei nobili aztechi perpetrato a tradimento
durante la celebrazione di una delle loro tante feste, o la cattura
del temuto Montezuma, ignominiosamente imprigionato e privato perfino
dell'onore della sepoltura.
Non si dovette aspettare molto perché, distrutta la grandiosa città di Messico che tanto lo aveva impressionato, fatto impiccare l'ultimo, giovanissimo sovrano azteco, Cortés offrisse a Carlo V quel territorio che da allora in poi si sarebbe chiamato Nuova Spagna, e per la cui colonizzazione invocava l'arrivo di uomini che convertissero in chiese e immagini sacre i templi e gli idoli di una civiltà ormai scomparsa.
Non si dovette aspettare molto perché, distrutta la grandiosa città di Messico che tanto lo aveva impressionato, fatto impiccare l'ultimo, giovanissimo sovrano azteco, Cortés offrisse a Carlo V quel territorio che da allora in poi si sarebbe chiamato Nuova Spagna, e per la cui colonizzazione invocava l'arrivo di uomini che convertissero in chiese e immagini sacre i templi e gli idoli di una civiltà ormai scomparsa.
alias domenica - il manifesto, 12 luglio 2015
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