Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio |
Gabriele d’Annunzio? Un
“microbo” che rovina l’arte, specie quando si atteggia a
cantore della patria. È il liquidatorio giudizio di Giovanni Pascoli
riservato al più giovane e famoso poeta, al quale riconosceva grande
talento ma rimproverava gli eccessi mondani e soprattutto la
faciloneria con la quale attingeva all’opera dei suoi “colleghi”.
La stroncatura di Pascoli emerge dalla corrispondenza (1904-12) con
il giornalista milanese Augusto Guido Bianchi rinvenuta nell’archivio
del poeta a Castelvecchio dalla ricercatrice Manuela Montibelli,
autrice di uno studio consegnato all’Accademia Pascoliana di San
Mauro.
Da tempo impegnato nella
stesura dei “poemetti della patria”, di cui più volte la stampa
dell’epoca aveva offerto indiscrezioni, Pascoli spiegava all’amico
Bianchi di volerne ritardare la pubblicazione per paura degli
“imitatori” e dei “critici”. Ma c’era, soprattutto, la
speranza inconfessata che alla fine il lungo lavoro di limatura gli
avrebbe consentito di superare i versi patriottici di d’Annunzio, e
“ciò per una ragione d’alta estetica”.
L’autore del
“Fanciullino”, già nell’autunno del 1907, precisava al
giornalista di essere impegnato nella stesura dei Poemi dei
Risorgimento, “un gran poema nella forma che la modernità
soltanto permette: un poema di poemi a sé”. Ma alle insistenze di
Bianchi perché venissero anticipati alcuni versi, Pascoli oppose un
deciso rifiuto, facendo precise allusioni al pericolo che d’Annunzio
tentasse di utilizzarli in qualche opera da par suo: “Darne fuori
alcuno a parte, si danneggia l’effetto dell’insieme. [...] E poi
si suscitano gli imitatori che sono i microbi della putrefazione
dell’opera d’arte”. Ironia della sorte, quei “poemi” tanto
amati usciranno postumi, nel 1915, per di più incompiuti.
Il timore che d’Annunzio potesse riprendere gli stessi temi risorgimentali appare più volte nel carteggio con Bianchi. “A me ripugna di vedere la concorrenza o il concorso in simili argomenti”, affermava Pascoli nell’aprile 1907 rivendicando di essere stato il primo a scrivere un “accenno epico alle gesta di Garibaldi”, anticipando di molto d’Annunzio. Eppure la critica - si sfogava il poeta romagnolo - questo primato non glielo aveva riconosciuto, arrivando talvolta addirittura a fare illazioni sul suo conto: “Tristo destino passare per imitatore de’ suoi imitatori! E m’è già toccato altre volte. E vorrei non mi toccasse più. Ché per un poeta questo è il destino più tristo”.
Il timore che d’Annunzio potesse riprendere gli stessi temi risorgimentali appare più volte nel carteggio con Bianchi. “A me ripugna di vedere la concorrenza o il concorso in simili argomenti”, affermava Pascoli nell’aprile 1907 rivendicando di essere stato il primo a scrivere un “accenno epico alle gesta di Garibaldi”, anticipando di molto d’Annunzio. Eppure la critica - si sfogava il poeta romagnolo - questo primato non glielo aveva riconosciuto, arrivando talvolta addirittura a fare illazioni sul suo conto: “Tristo destino passare per imitatore de’ suoi imitatori! E m’è già toccato altre volte. E vorrei non mi toccasse più. Ché per un poeta questo è il destino più tristo”.
"Poesia", IX, 122, Novembre 1999
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