Luxor. La strada delle Sfingi |
Quando gli egittologi
parlano di Late Period («periodo tardo») non bisogna farsi
ingannare: si parla dei quattro secoli dal 712 al 332 a.C. In questa
fase si assiste alla graduale e definitiva perdita d’indipendenza
dell’Egitto: le gloriose tradizioni dei faraoni passati, dai
costruttori di piramidi dell’Antico Regno (III millennio a. C.) a
Ramses II (XIII secolo a. C.), sono periodicamente riportate in auge
a scopo propagandistico, ma non servono a nulla contro superpotenze
come Assiria, Persia, Macedonia e Roma.
Dopo una temporanea
dominazione libica, fino al 656 a.C. l’Egitto è governato da una
dinastia nubiana, che ambisce a riportarlo agli antichi fasti. I
Nubiani in effetti garantiscono un periodo di pace, finché l’impero
assiro invade l’Egitto nel 671, imponendo un vassallo come faraone,
Necho I di Sais (città del Delta occidentale), fondatore della 26ª
dinastia. Il Paese diventa allora campo di battaglia tra Nubia e
Assiria: con la definitiva conquista assira la preesistente dinastia
si ritira in Nubia, a fondare il regno di Meroe.
La dinastia «saitica»
continua come vassallo dell’Assiria fino alla conquista persiana
nel 525 a.C. In questo periodo l’Egitto non ha più un ruolo nella
politica internazionale, ma si limita a sopravvivere come Stato
indipendente, sebbene i sovrani saitici imitino i faraoni dell’Antico
Regno, per sottolineare la loro continuità con essi. Lanciano anche
alcune campagne militari in Asia, in cui si servono di truppe
mercenarie straniere. Carii, Fenici, Idumei popolano la cosmopolita
capitale Menfi, e i mercenari greci ottengono addirittura il permesso
di fondare sul Delta la città di Naucrati, in cui s’incontrano
tradizioni egizie ed elleniche.
Dopo il collasso
dell’Assiria nel 612 a.C. e un breve interludio babilonese, nel 525
a.C., l’Egitto diviene dominio persiano. I Persiani adottano il
titolo di faraoni, ma governano da stranieri, attraverso un satrapo.
Per la prima volta dopo 2.500 anni l’Egitto perde l’indipendenza.
La sconfitta persiana a Maratona nel 490 a.C. stimola moti di
resistenza anche in Egitto, dove prìncipi della zona del Delta si
coalizzano contro il dominio persiano. I faraoni Nectanebo I e
Nectanebo II tentano di far rinascere il regno attraverso un
grandioso programma di costruzione di templi e respingono attacchi
persiani.
Nel 343 una nuova
offensiva riporta il Paese sotto la Persia, che però esce sconfitta
dallo scontro con Alessandro Magno. Nel 332 a.C. il re macedone entra
in Egitto e fonda sul Delta la sua capitale, Alessandria. Nectanebo
II è l’ultimo egiziano a regnare: dopo di lui, e per i successivi
secoli fino al Novecento, il Paese è controllato da potenze
straniere. D’ora in poi i templi tradizionali diventano il fulcro
di rivolte di stampo nazionalista, tutte fallimentari, che aspirano a
riportare sul trono un faraone egiziano.
Alla morte di Alessandro,
nel 323, l’impero è spartito fra i suoi generali, e il suo
compagno d’armi e amico, Tolomeo figlio di Lago, riesce ad
accaparrarsi l’Egitto, fondandovi una nuova dinastia, i Lagidi o
Tolomei, che regna tre secoli. I Tolomei, che pure assumono titolo e
prerogative religiose dei faraoni, adottano un metodo di governo che
diremmo quasi coloniale. La cultura greca è d’élite, quella
egiziana è subalterna. Sotto i primi due sovrani, l’Egitto è un
impero mediterraneo di grande prestigio culturale. Poi le guerre con
la Siria, i conflitti dinastici, e soprattutto l’ascesa di Roma (a
cui Polibio aggiunge la decadenza morale dei Tolomei) indeboliscono
sempre di più la monarchia, che diventa prima protettorato, poi
regno cliente, e infine, con la morte dell’ultima sovrana,
Cleopatra, nel 30 a.C., provincia romana.
“La lettura –
Corriere della sera”, 29 ottobre 2017
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