Si è appena chiuso
l’anno nel quale convegni e pubblicazioni hanno ricordato
l’anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Lutero sul
portone della chiesa di Ognissanti del castello di Wittenberg, il 31
ottobre 1517. Senonché, come già ricordava Adriano Prosperi
(Lutero. Gli anni della fede, Mondadori), in base a un
dibattito sulla vicenda già acceso da tempo, è probabile che questo
atto fondatore non sia nemmeno mai avvenuto.
Le tesi avrebbero avuto
una circolazione inizialmente meno spettacolare, all’insegna della
ricerca di un accordo, cosa peraltro in linea con la personalità di
Martin Lutero. Una nuova, corposa biografia del riformatore tedesco,
scritta da Silvana Nitti (Lutero, Salerno, pp. 528, euro 29),
ripercorre la vicenda, affermando: «Non è da escludere la
possibilità che le tesi siano state effettivamente affisse al
portale della chiesa che era, in quanto chiesa della residenza
ufficiale dell’Elettore, fondatore e patrono dell’università,
normalmente usata per gli avvisi o per il materiale didattico; una
specie di bacheca dell’ateneo, insomma. Ma è certo che la critica
al mito del 31 ottobre 1517 (…) resta pienamente valida proprio in
quanto si tratta di un gesto niente affatto sconvolgente».
È da tempo, peraltro,
che la rivoluzione del luteranesimo viene riconsiderata alla luce del
contesto e del fatto che la cultura del fondatore fosse in realtà
ancorata nella tradizione precedente, quella che siamo soliti
chiamare «medievale». Ed è quanto fa anche Silvana Nitti
ripercorrendo con ordine la vicenda del teologo agostiniano sassone.
La causa immediata della rivolta fu la stanchezza per la riscossione
delle tasse ecclesiastiche («decime»).
Martin Lutero insorse
contro la corrotta Chiesa di Roma nel nome della libertà di
coscienza, dell’annullamento della separazione tra chierici e laici
(«sacerdozio universale»), del libero esame delle Scritture contro
l’autorità gerarchica ecclesiale, del valore simbolico (e non
reale) dell’eucarestia.
La «fede riformata» di
Lutero si precisò nel 1530 alla dieta di Augusta, nella quale, su
richiesta di Carlo V, che voleva aver chiari i limiti della Riforma,
il teologo Filippo Melantone presentò un documento, la Confessio
Augustana, in 28 punti. Il disaccordo tra l’imperatore e i
principi che avevano aderito alla Riforma si precisò nella dieta di
Smalcalda, nella quale essi presentarono una loro «protesta»
formale contro il sovrano. Dopo un periodo di scontri militari e di
trattative, si giunse alla pace di Augusta del 1555, nella quale si
stabilì il principio cuius regio, eius religio: i territori
avrebbero dovuto seguire la religione del loro rispettivo principe.
Alcuni principi tedeschi
accettarono infatti la Riforma proposta da Lutero, almeno in parte
per incamerare i beni della Chiesa. Ma repressero con durezza i
movimenti religioso-popolari e contadini (come gli anabattisti di
Thomas Müntzer) che avrebbero voluto «l’avvento del Regno dei
Cieli sulla terra», cioè inaugurando un nuovo ordine evangelico ed
egalitario.
Riformare la Chiesa in
modo da ricondurla alla purezza dell’età apostolica era stato in
effetti un vecchio sogno dei cristiani. L’adagio reformare
reformata («conferire di nuovo la forma corretta a quanto si è
deformato») era molto popolare nel medioevo almeno fin dall’XI
secolo: e molte erano state le riforme tentate, sia dalla gerarchia
sia dai fedeli, nel corso dei secoli XI-XV. Ma la situazione di
mondanità della Chiesa nel Quattrocento era divenuta insostenibile.
I movimenti popolari e
anche dottrinali del Quattrocento, soprattutto quelli guidati da John
Wycliff in Inghilterra e da Jan Hus in Boemia, erano stati
determinati dal disagio dello spettacolo d’una Chiesa corrotta da
parte di intellettuali e fedeli che l’avrebbero invece voluta
vedere povera, lontana dall’esercizio del potere mondano e della
ricchezza, aderente allo spirito del Vangelo. Ma l’Inquisizione li
aveva sempre repressi. La differenza, nel XVI secolo, fu data dal
fatto che le condizioni generali erano ormai cambiate.
La Riforma di Martin
Lutero si sviluppò dunque, rispetto ai tentativi del passato,
appoggiandosi agli stati e ai poteri costituiti, ma essa inaugurava
anche un periodo per l’Europa fatto di guerre e crisi profonde,
come mostra la lettura di Mark Greengrass, La Cristianità in
frantumi, Europa 1517-1648 (Laterza, pp. 820, euro 38). In
Inghilterra, Enrico VIII aveva accettato la Riforma sotto il profilo
disciplinare, che gli consentiva di staccare la Chiesa d’Inghilterra
dall’obbedienza al papato romano e di porla sotto il suo diretto
controllo: per il resto, però, teologia e liturgia restavano quelle
cattoliche.
Sotto i suoi successori
Giacomo I ed Elisabetta I, la Chiesa anglicana andò progressivamente
accettando influenze protestanti. Il calvinismo, fondato da Giovanni
Calvino, si andò affermando in parte della Svizzera, in Scozia (dove
nel 1560 il parlamento abolì il cattolicesimo per abbracciare il
«presbiterianesimo» di John Knox) e in Olanda.
In Svizzera, insieme a
cantoni che restavano cattolici o luterani, Ginevra fu calvinista
mentre altrove si affermarono le dottrine zwingliane e quelle di
Guillaume Farel. Le comunità valdesi aderirono alla Riforma.
Germania, Boemia, Moravia e Ungheria si divisero tra cattolici e
luterani. I gruppi riformati in Italia e in Spagna furono duramente
repressi e non incontrarono appoggio a livello popolare.
Tra la metà del XVI
secolo e quella del XVII l’Europa fu dilaniata da vere e proprie
«guerre di religione», che si sommarono a conflitti politici e
sociali. In Francia, nel 1559 un sinodo nazionale calvinista definì
quella confessione (gli aderenti alla quale assunsero il nome di
«ugonotti»), ch’era forte soprattutto nell’aristocrazia ed era
vicina anche alla corte. Dopo alterne vicende (famosa la «Notte di
San Bartolomeo», 24 agosto 1572) una vera e propria guerra civile si
concluse con l’ascesa al trono di Enrico di Borbone, capo degli
ugonotti, che – col nome di Enrico IV – si convertì al
cattolicesimo assicurando ai suoi ex-correligionari le libertà
essenziali.
La guerra «dei
Trent’anni» (1618-1648), nata come conflitto religioso, ma
complicata dall’alleanza tra la Francia e i protestanti tedeschi,
si chiuse nel 1648 con le paci di Westfalia che modellarono la mappa
religiosa europea definitiva. A parte Scozia e Irlanda, dove fra Sei
e Settecento le persecuzioni protestanti si dettero a massacri
indiscriminati contro i cattolici, eliminandoli o quasi dalla Scozia
e dall’Irlanda settentrionale. In tempi come i nostri, nei quali si
prova a ricucire il rapporto fra comunità, confessioni e Chiese che
sono state separate anche nel sangue, ricostruire questa storia è
più importante che celebrare anniversari.
il manifesto – 10
febbraio 2018
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