20.4.18

Gli scienziati e la bomba atomica. Il pentimento di Einstein (Enrico Bellone)


Nel 1939, alla vigilia della II Guerra Mondiale, Albert Einstein – atterrito dalle notizie sui progressi del Terzo Reich nelle ricerche sulla “bomba” - inviò una lettera al presidente Roosevelt per sollecitare un impegno dell'Amministrazione USA a sostegno di analoghi esperimenti da sviluppare sulla base degli studi di Enrico Fermi e Leo Szilard. Di aver scritto quella lettera, più tardi, il pacifista Einstein si pentì. Su questa pagina sui rapporti tra scienza e guerra nel 1989 “l'Unità” pubblicò un ampio articolo di Enrico Bellone, corredato dal testo della lettera di Einstein. Ho “postato” qui l'uno e l'altra. (S.L.L.)
Albert Einstein con il fisico ungherese Leo Szilard nel 1939

La Grande Paura
Questa storia infame che si tentò per anni di giustificare dicendo che i morti di Hiroshima e Nagasaki erano un prezzo da pagare affinché la guerra mondiale finisse senza ulteriori perdite di soldati americani era nata nel 1939 all'ombra di una grande paura - la paura che l'esercito hitleriano riuscisse a fabbricare la «bomba» e ad usarla contro l'Europa e gli Stati Uniti. E, come vedremo, quella paura fu uno straordinario strumento per ottenere nella comunità scientifica operante in Usa il consenso a lavorare su progetti militari. Uno strumento straordinario cosi efficace che quando i servizi segreti amencani ottennero sul finire del 1944 le prove che la Germania nazista non sarebbe mai riuscita a dotarsi di armi atomiche la notizia non venne diffusa per non creare ostacoli alla corsa americana verso la «bomba».
La storia è infame anche perché diede il via ad una proliferazione di condanne verso la scienza giudicata come la massima responsabile del rogo atomico giapponese e del futuro angoscioso della specie umana minacciata da armi sempre più potenti. Un giudizio questo che serviva e serve soltanto a coprire con facili slogan le vere responsabilità dei politici e dei militari. Vale allora la pena di ripercorrere alcune fasi di questa storia così da capire come mai Albert Einstein noto per le sue posizioni pactliste e antimilitariste firmò il 2 agosto del 1939 la memorabile lettera al presidente Roosevelt che è riportata e che raccomandava la fabbricazione della bomba atomica

Il vaso di Pandora
«Se avessi saputo che il timore (che Hitler fosse il primo ad avere la bomba) non era giustificato né io né Szilard avremmo contribuito ad aprire questo vaso di Pandora». Così scrisse Einstein nel 1955 in una lettera a un fisico tedesco. Leo Szilard, un fisico ungherese che svolse un ruolo da protagonista nella promozione dello sforzo americano verso la «bomba», era stato uno dei primi scienziati a capire la possibilità di reazioni a catena atte a liberare enormi quantità di energia.
Si deve tenere presente che nella prima metà degli anni Trenta i fisici erano notevolmente scettici in proposito. Emest Rutherford aveva disintegrato l'azoto già nel 1919 a Manchester e nel 1932 Cockroft e Walton erano riusciti a disintegrare il litio nei laboratori di Cambridge. Dal punto di vista energetico però quei risultati erano pressoché insignificanti poiché i nuclei da bombardare come bersagli erano pochissimi e le particelle usate come proiettili erano poco efficaci. Un ottimo esempio dello scetticismo su citato è dato dalla valutazione di Einstein secondo il quale i fisici sperimentali bombardavano i nuclei con gli stessi criteri di un cacciatore che sparasse «al buio contro gli uccelli in una zona dove sono rari».
Sembrava insomma che non esistesse alcun vaso di Pandora dal quale estrarre con tecniche opportune prodigiose quantità d'energia. Ebbene Leo Sziiard allora esule in Inghilterra ebbe l'idea fondamentale della reazione a catena il vaso di Pan dora insomma c era anche se non si sapeva dov era nascosto. Nel 1934 Szilard si mosse per ottenere un brevetto in tal senso cedendolo all'Ammiragliato britannico per tutelarne in qualche modo la segretezza.

Quando il vaso si apre
L'idea di Szilard restò isola ta ma non a lungo. Dopo la scoperta effettuata da Enrico Fermi e dai suoi collaboratori romani relativa all'efficacia dei neutroni lenti a Berlino nel dicembre del 1938 si fece il passo decisivo: Otto Hann e Fritz Strassmann seguendo la strada aperta da Fermi ottennero la fissione dell'uranio I risultati sperimentali furono immediatamente interpretati da Lise Meitner e Otto Frisch i quali con una telefonata informarono il grande Niels Bohr di Copenaghen. E Bohr che stava partendo per Washington dove si svolgeva un congresso di fisica teorica passò l'informazione ai colleghi che lavoravano negli Stati Uniti e tra i quali figuravano ormai anche Fermi e Szilard.
Non solo dunque esisteva un vaso di Pandora ma lo si poteva anche scoperchiare. Le difficoltà essenziali dal punto di vista della fisica teorica erano ormai in via di superamento. I veri problemi semmai erano di ordine tecnologico e la loro soluzione dipendeva dalla decisione politica di organizzare o meno grandi progetti applicativi sorretti da finanziamenti adeguati e puntati verso il raggiungimento di fini specifici.
Lo scenario internazionale era d'altra parte perfetto per alzare il sipario sulla tragedia atomica. Nel settembre del 1938 la Germania nazista s'era impadronita dei Sudeti e nel 1939 la situazione complessiva doveva sfociare nella seconda guerra mondiale. Con queste condizioni al contorno le nuove forme di conoscenza scientifica sul nucleo e sulle reazioni a catena furono la premessa per l'apertura della corsa internazionale verso la «bomba», una corsa che in pochi mesi divenne un processo inarrestabile. Nelle prime settimane del 1939 Szilard e Fermi suggerirono al preside della Columbia University di far presente all'Ammiraglio Hooper della Us Navy che esisteva la possibilità di produrre nuove armi. In Francia al College de France furono elaborati alcuni brevetti sull'energia nucleare uno dei quali era riferito a una bomba all'uranio. Nel mese di aprile del 1939 il governo inglese e quello nazista fecero più o meno contemporaneamente le prime mosse pratiche per avviare programmi di ricerca su armi nucleari e per disporre di scorte adeguate di minerali d uranio.
A questo punto prese l'avvio la sequenza di mosse che Sziard effettuò per portare Einstein alla firma della famosa lettera a Roosevelt. Molti anni dopo sembra che Einstein abbia detto: «M'hanno fatto fare il postino». E si può aggiungere che si trattò d un postino meno importante di quanto spesso si crede, come avrebbe infatti dichiarato il responsabile americano per la mobilitazione degli scienziati nello sforzo bellico Vannevar Bush «lo spettacolo era già cominciato prima ancora che la lettera fosse stata scritta».

Il dramma
Pochi anni prima di firmare la lettera a Roosevelt Einstein aveva scritto un'altrettanto famosa lettera a Sigmund Freud. Il tema della lettera i Freud datata 30 luglio 1932 era annunciato con una domanda: «C'è un modo per li berare gli uomini dalla fatalità della guerra?». Einstein sosteneva che le classi dominanti, pur essendo minoranze, erano ancora in grado attraverso la scuola la stampa e le organizzazioni religiose di «dominare e orientare i sentimenti delle masse rendendo le docili strumenti della propria politica e portandole se necessario ai massacri delle guerre. Ma perché le masse accettavano questo gioco macabro? Einstein pensava che la ragione di ciò stesse nel fatto che l'uomo alberga in sé il bisogno di odiare e di distruggere».
Si poneva allora una questione: è possibile «dirigere l'evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino più capaci di resistere alle psicosi dell'odio e della distruzione?».
Una questione del genere poteva essere vista come il frutto di una profonda ingenuità o di una naturale incompetenza di Einstein sul terreno della psicanalisi. Penso tuttavia che una simile interpretazione non sia corretta e che non sia di alcun aiuto per capire il dramma dei pacifista Einstein a scrivere una lettera al fine di difendere la necessità della bomba atomica. Una interpretazione migliore a mio avviso è quella che colloca sia la lettera a Freud sia la lettera a Roosevelt nel quadro delle convinzioni più profonde nutrite dal padre della relatività.
Einstein era portatore di una filosofia personale basata sui quadri concettuali della teoria generale della relatività. Alla luce di quei quadri era ragionevole assumere una posizione filosofica che lo stesso Einstein descriveva come «determinismo assoluto»: nel mondo della relatività nulla accadeva per caso, anzi in un certo senso nulla accadeva; ogni evento era già collocato nel contesto di forme rigorose di necessità, sia che si trattasse d un evento passato sia che invece si trattasse d un evento futuro. Non a caso in una delle sue ultime lettere Einstein scrisse che «per noi che crediamo nella fisica la divisione tra passato presente e futuro ha solo il valore di un ostinata illusione».
Poiché non credeva che gli eventi umani fossero in linea di principio indipendenti da gli eventi tipici della fisica o della chimica Einstein aveva una naturale inclinazione a credere che esistessero assiomi etici e che tali assiomi dovessero essere «scoperti e verificati in modo non molto diverso dagli assiomi della scienza». L'etica doveva in somma sottostare ai criteri d'ogni scienza in quanto «la verità è ciò che resiste alla prova dell'esperienza».
Sui fondamenti di questa duplice scelta per il determinismo assoluto e per un'etica radicata su assiomi scientifici Einstein non poteva che trovare nelle pagine di Spinoza un conforto di fronte a un mondo che spesso egli raffigurava come dominato da uomini cinici o spregevoli e popolato da masse ridotte in condizioni di servitù animalesca. E Spinoza in effetti tornava spesso nei suoi scritti là dove Einstein faceva prevalere la curiosità razionale del capire i fatti sull'emotività che questi ultimi potevano scatenare in chi li percepiva. Non era pertanto semplice o naturale per Einstein battersi per ideali socialisti o per far vincere la pace sulla guerra. Perché battersi se in fin dei conti ogni fatto del futuro era già determinato e se quindi in assenza d'una etica scientifica nessuna regola ottimale poteva essere fornita per gui dare la specie umana?
Il dramma einsteiniano sta va dunque in questa contraddizione: per un verso Einstein valutava il nazifascismo come una immane minaccia sul genere umano e per l'altro verso credeva che nulla propriamente potesse essere fatto per deviare il corso della storia. Non è possibile ovviamente ricostruire ciò che egli pensava mentre Leo Szilard nell'estate del 1939 voleva convincerlo a firmare la lettera a Roosevelt. Sappiamo soltanto che la firmò per poi pentirsene. E sappiamo anche che il 6 agosto del 1945 seppe delle bombe su Hiroshima e disse soltanto «Ahimè». E sappiamo poi che per tutti gli anni che gli rimasero da vivere cessò mai di lottare affinché gli uomini imparassero a convivere tra loro nel rispetto della razionalità e della democrazia. Nel ricordare la lettera del 2 agosto 1939 comunque non dobbiamo mai dimenticare che essa fu firmata da un uomo che dieci anni dopo in una lettera a un amico scrisse d'essere fortemente assorbito da problemi matematici così difficili da apparire insuperabili ciò nonostante «io non ho ancora gettato la spugna e mi ci arrovello nette e giorno. È una sorte felice quella d essere catturato fino all'ultimo respiro dal fascino del lavoro. Diversamente troppo si soffrirebbe della stoltezza e della demenza umana come vengono alla luce soprattutto nella politica».


DOCUMENTAZIONE: LA LETTERA DI EINSTEIN
E il genio scrisse al presidente
2 agosto 1939

Signor Presidente,
la lettura di alcuni recenti lavori di E Fermi e di L Szilard comunicatimi sotto forma di manoscritto mi induce a ritenere che tra breve l'uranio possa dare origine a una nuova e importante fonte di energia. Alcuni aspetti del problema prospettati in tali lavori dovrebbero consigliare all'Amministrazione la massima vigilanza e se necessario un tempestivo intervento. Ritengo quindi mio dovere richiamare la Sua attenzione su alcuni dati di fatto e suggerimenti.
Negli ultimi quattro mesi grazie agli studi di Johot in Francia e di Fermi e Szilard in America ha preso sempre più consistenza l'ipotesi che utilizzando un'adeguata massa di uranio vi si possa provocare una reazione nucleare a catena con enorme sviluppo di energia e formazione di un gran numero di nuovi elementi simili al radio non vi è dubbio che ciò si potrà realizzare tra breve.
In tal modo si potrebbe giungere alla costruzione di bombe che - è da supporre - saranno di tipo nuovo ed estremamente potenti. Uno solo di tali ordigni trasportato via mare e fatto esplodere in un porto potrebbe distruggere l'intero porto e parte del territorio circostante. D'altra parte l'impiego di queste armi potrebbe risultare ostacolato dal loro eccessivo peso che ne renderebbe impossibile il trasporto con aerei.
Negli Stali Uniti esistono solo modeste quantità di minerali a bassa percentuale di uranio; minerali più ricchi si trovano in Canada e nella ex Cecoslovacchia benché i più cospicui giacimenti uraniferi siano nel Congo belga.
Alla luce delle precedenti considerazioni Ella converrà con me, signor Presidente, sull'opportunità di stabilire un collegamento permanente tra il governo e il gruppo di fisici che in America lavorano alla reazione a catena, collegamento che potrebbe essere facilitato dalla nomina di un responsabile di Sua fiducia autorizzato ad agire anche in veste non ufficiale. A tale persona dovrebbero essere affidati fra l'altro i seguenti compiti:
a) mantenersi in contatto con i Dipartimenti interessati per tenerli al corrente di eventuali sviluppi e suggerire al governo misure atte ad assicurare la fornitura di uranio;
b) accelerare il lavoro di ricerca nel settore attualmente svolto nei limiti di bilancio dei laboratori universitari sollecitando all'occorrenza forme di finanziamento volontario da parte di privati disposti a contribuire alla causa e assicurandosi altresì la cooperazione di laboratori industriali dotati delle attrezzature necessarie.
Mi si dice che la Germania subito dopo l'occupazione della Cecoslovacchia ha posto l'embargo sull'uranio proveniente da questo paese, il che non stupisce quando si pensi che il figlio del sottosegretario di Stato tedesco von Weizsacker é membro del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino dove sono attualmente in corso esperimenti con uranio analoghi a quelli svolti in America.
Distintamente
Albert Einstein

l'Unità, mercoledì 2 agosto 1989

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