Nel 1939, alla vigilia della II Guerra Mondiale, Albert Einstein –
atterrito dalle notizie sui progressi del Terzo Reich nelle ricerche
sulla “bomba” - inviò una lettera al presidente Roosevelt per
sollecitare un impegno dell'Amministrazione USA a sostegno di
analoghi esperimenti da sviluppare sulla base degli studi di Enrico
Fermi e Leo Szilard. Di aver scritto quella lettera, più tardi, il
pacifista Einstein si pentì. Su questa pagina sui rapporti tra
scienza e guerra nel 1989 “l'Unità” pubblicò un ampio articolo
di Enrico Bellone, corredato dal testo della lettera di Einstein. Ho
“postato” qui l'uno e l'altra. (S.L.L.)
Albert Einstein con il fisico ungherese Leo Szilard nel 1939 |
La Grande Paura
Questa storia infame che
si tentò per anni di giustificare dicendo che i morti di Hiroshima e
Nagasaki erano un prezzo da pagare affinché la guerra mondiale
finisse senza ulteriori perdite di soldati americani era nata nel
1939 all'ombra di una grande paura - la paura che l'esercito
hitleriano riuscisse a fabbricare la «bomba» e ad usarla contro
l'Europa e gli Stati Uniti. E, come vedremo, quella paura fu uno
straordinario strumento per ottenere nella comunità scientifica
operante in Usa il consenso a lavorare su progetti militari. Uno
strumento straordinario cosi efficace che quando i servizi segreti
amencani ottennero sul finire del 1944 le prove che la Germania
nazista non sarebbe mai riuscita a dotarsi di armi atomiche la
notizia non venne diffusa per non creare ostacoli alla corsa
americana verso la «bomba».
La storia è infame anche
perché diede il via ad una proliferazione di condanne verso la
scienza giudicata come la massima responsabile del rogo atomico
giapponese e del futuro angoscioso della specie umana minacciata da
armi sempre più potenti. Un giudizio questo che serviva e serve
soltanto a coprire con facili slogan le vere responsabilità dei
politici e dei militari. Vale allora la pena di ripercorrere alcune
fasi di questa storia così da capire come mai Albert Einstein noto
per le sue posizioni pactliste e antimilitariste firmò il 2 agosto
del 1939 la memorabile lettera al presidente Roosevelt che è
riportata e che raccomandava la fabbricazione della bomba atomica
Il vaso di Pandora
«Se avessi saputo che il
timore (che Hitler fosse il primo ad avere la bomba) non era
giustificato né io né Szilard avremmo contribuito ad aprire questo
vaso di Pandora». Così scrisse Einstein nel 1955 in una lettera a
un fisico tedesco. Leo Szilard, un fisico ungherese che svolse un
ruolo da protagonista nella promozione dello sforzo americano verso
la «bomba», era stato uno dei primi scienziati a capire la
possibilità di reazioni a catena atte a liberare enormi quantità di
energia.
Si deve tenere presente
che nella prima metà degli anni Trenta i fisici erano notevolmente
scettici in proposito. Emest Rutherford aveva disintegrato l'azoto
già nel 1919 a Manchester e nel 1932 Cockroft e Walton erano
riusciti a disintegrare il litio nei laboratori di Cambridge. Dal
punto di vista energetico però quei risultati erano pressoché
insignificanti poiché i nuclei da bombardare come bersagli erano
pochissimi e le particelle usate come proiettili erano poco efficaci.
Un ottimo esempio dello scetticismo su citato è dato dalla
valutazione di Einstein secondo il quale i fisici sperimentali
bombardavano i nuclei con gli stessi criteri di un cacciatore che
sparasse «al buio contro gli uccelli in una zona dove sono rari».
Sembrava insomma che non
esistesse alcun vaso di Pandora dal quale estrarre con tecniche
opportune prodigiose quantità d'energia. Ebbene Leo Sziiard allora
esule in Inghilterra ebbe l'idea fondamentale della reazione a catena
il vaso di Pan dora insomma c era anche se non si sapeva dov era
nascosto. Nel 1934 Szilard si mosse per ottenere un brevetto in tal
senso cedendolo all'Ammiragliato britannico per tutelarne in qualche
modo la segretezza.
Quando il vaso si
apre
L'idea di Szilard restò
isola ta ma non a lungo. Dopo la scoperta effettuata da Enrico Fermi
e dai suoi collaboratori romani relativa all'efficacia dei neutroni
lenti a Berlino nel dicembre del 1938 si fece il passo decisivo: Otto
Hann e Fritz Strassmann seguendo la strada aperta da Fermi ottennero
la fissione dell'uranio I risultati sperimentali furono
immediatamente interpretati da Lise Meitner e Otto Frisch i quali con
una telefonata informarono il grande Niels Bohr di Copenaghen. E Bohr
che stava partendo per Washington dove si svolgeva un congresso di
fisica teorica passò l'informazione ai colleghi che lavoravano negli
Stati Uniti e tra i quali figuravano ormai anche Fermi e Szilard.
Non solo dunque esisteva
un vaso di Pandora ma lo si poteva anche scoperchiare. Le difficoltà
essenziali dal punto di vista della fisica teorica erano ormai in via
di superamento. I veri problemi semmai erano di ordine tecnologico e
la loro soluzione dipendeva dalla decisione politica di organizzare o
meno grandi progetti applicativi sorretti da finanziamenti adeguati e
puntati verso il raggiungimento di fini specifici.
Lo scenario
internazionale era d'altra parte perfetto per alzare il sipario sulla
tragedia atomica. Nel settembre del 1938 la Germania nazista s'era
impadronita dei Sudeti e nel 1939 la situazione complessiva doveva
sfociare nella seconda guerra mondiale. Con queste condizioni al
contorno le nuove forme di conoscenza scientifica sul nucleo e sulle
reazioni a catena furono la premessa per l'apertura della corsa
internazionale verso la «bomba», una corsa che in pochi mesi
divenne un processo inarrestabile. Nelle prime settimane del 1939
Szilard e Fermi suggerirono al preside della Columbia University di
far presente all'Ammiraglio Hooper della Us Navy che esisteva la
possibilità di produrre nuove armi. In Francia al College de France
furono elaborati alcuni brevetti sull'energia nucleare uno dei quali
era riferito a una bomba all'uranio. Nel mese di aprile del 1939 il
governo inglese e quello nazista fecero più o meno
contemporaneamente le prime mosse pratiche per avviare programmi di
ricerca su armi nucleari e per disporre di scorte adeguate di
minerali d uranio.
A questo punto prese
l'avvio la sequenza di mosse che Sziard effettuò per portare
Einstein alla firma della famosa lettera a Roosevelt. Molti anni dopo
sembra che Einstein abbia detto: «M'hanno fatto fare il postino». E
si può aggiungere che si trattò d un postino meno importante di
quanto spesso si crede, come avrebbe infatti dichiarato il
responsabile americano per la mobilitazione degli scienziati nello
sforzo bellico Vannevar Bush «lo spettacolo era già cominciato
prima ancora che la lettera fosse stata scritta».
Il dramma
Pochi anni prima di
firmare la lettera a Roosevelt Einstein aveva scritto un'altrettanto
famosa lettera a Sigmund Freud. Il tema della lettera i Freud datata
30 luglio 1932 era annunciato con una domanda: «C'è un modo per li
berare gli uomini dalla fatalità della guerra?». Einstein sosteneva
che le classi dominanti, pur essendo minoranze, erano ancora in grado
attraverso la scuola la stampa e le organizzazioni religiose di
«dominare e orientare i sentimenti delle masse rendendo le docili
strumenti della propria politica e portandole se necessario ai
massacri delle guerre. Ma perché le masse accettavano questo gioco
macabro? Einstein pensava che la ragione di ciò stesse nel fatto che
l'uomo alberga in sé il bisogno di odiare e di distruggere».
Si poneva allora una
questione: è possibile «dirigere l'evoluzione psichica degli uomini
in modo che diventino più capaci di resistere alle psicosi dell'odio
e della distruzione?».
Una questione del genere
poteva essere vista come il frutto di una profonda ingenuità o di
una naturale incompetenza di Einstein sul terreno della psicanalisi.
Penso tuttavia che una simile interpretazione non sia corretta e che
non sia di alcun aiuto per capire il dramma dei pacifista Einstein a
scrivere una lettera al fine di difendere la necessità della bomba
atomica. Una interpretazione migliore a mio avviso è quella che
colloca sia la lettera a Freud sia la lettera a Roosevelt nel quadro
delle convinzioni più profonde nutrite dal padre della relatività.
Einstein era portatore di
una filosofia personale basata sui quadri concettuali della teoria
generale della relatività. Alla luce di quei quadri era ragionevole
assumere una posizione filosofica che lo stesso Einstein descriveva
come «determinismo assoluto»: nel mondo della relatività nulla
accadeva per caso, anzi in un certo senso nulla accadeva; ogni evento
era già collocato nel contesto di forme rigorose di necessità, sia
che si trattasse d un evento passato sia che invece si trattasse d un
evento futuro. Non a caso in una delle sue ultime lettere Einstein
scrisse che «per noi che crediamo nella fisica la divisione tra
passato presente e futuro ha solo il valore di un ostinata
illusione».
Poiché non credeva che
gli eventi umani fossero in linea di principio indipendenti da gli
eventi tipici della fisica o della chimica Einstein aveva una
naturale inclinazione a credere che esistessero assiomi etici e che
tali assiomi dovessero essere «scoperti e verificati in modo non
molto diverso dagli assiomi della scienza». L'etica doveva in somma
sottostare ai criteri d'ogni scienza in quanto «la verità è ciò
che resiste alla prova dell'esperienza».
Sui fondamenti di questa
duplice scelta per il determinismo assoluto e per un'etica radicata
su assiomi scientifici Einstein non poteva che trovare nelle pagine
di Spinoza un conforto di fronte a un mondo che spesso egli
raffigurava come dominato da uomini cinici o spregevoli e popolato da
masse ridotte in condizioni di servitù animalesca. E Spinoza in
effetti tornava spesso nei suoi scritti là dove Einstein faceva
prevalere la curiosità razionale del capire i fatti sull'emotività
che questi ultimi potevano scatenare in chi li percepiva. Non era
pertanto semplice o naturale per Einstein battersi per ideali
socialisti o per far vincere la pace sulla guerra. Perché battersi
se in fin dei conti ogni fatto del futuro era già determinato e se
quindi in assenza d'una etica scientifica nessuna regola ottimale
poteva essere fornita per gui dare la specie umana?
Il dramma einsteiniano
sta va dunque in questa contraddizione: per un verso Einstein
valutava il nazifascismo come una immane minaccia sul genere umano e
per l'altro verso credeva che nulla propriamente potesse essere fatto
per deviare il corso della storia. Non è possibile ovviamente
ricostruire ciò che egli pensava mentre Leo Szilard nell'estate del
1939 voleva convincerlo a firmare la lettera a Roosevelt. Sappiamo
soltanto che la firmò per poi pentirsene. E sappiamo anche che il 6
agosto del 1945 seppe delle bombe su Hiroshima e disse soltanto
«Ahimè». E sappiamo poi che per tutti gli anni che gli rimasero da
vivere cessò mai di lottare affinché gli uomini imparassero a
convivere tra loro nel rispetto della razionalità e della
democrazia. Nel ricordare la lettera del 2 agosto 1939 comunque non
dobbiamo mai dimenticare che essa fu firmata da un uomo che dieci
anni dopo in una lettera a un amico scrisse d'essere fortemente
assorbito da problemi matematici così difficili da apparire
insuperabili ciò nonostante «io non ho ancora gettato la spugna e
mi ci arrovello nette e giorno. È una sorte felice quella d essere
catturato fino all'ultimo respiro dal fascino del lavoro.
Diversamente troppo si soffrirebbe della stoltezza e della demenza
umana come vengono alla luce soprattutto nella politica».
DOCUMENTAZIONE: LA
LETTERA DI EINSTEIN
E il genio scrisse al
presidente
2 agosto 1939
Signor Presidente,
la lettura di alcuni
recenti lavori di E Fermi e di L Szilard comunicatimi sotto forma di
manoscritto mi induce a ritenere che tra breve l'uranio possa dare
origine a una nuova e importante fonte di energia. Alcuni aspetti del
problema prospettati in tali lavori dovrebbero consigliare
all'Amministrazione la massima vigilanza e se necessario un
tempestivo intervento. Ritengo quindi mio dovere richiamare la Sua
attenzione su alcuni dati di fatto e suggerimenti.
Negli ultimi quattro mesi
grazie agli studi di Johot in Francia e di Fermi e Szilard in America
ha preso sempre più consistenza l'ipotesi che utilizzando
un'adeguata massa di uranio vi si possa provocare una reazione
nucleare a catena con enorme sviluppo di energia e formazione di un
gran numero di nuovi elementi simili al radio non vi è dubbio che
ciò si potrà realizzare tra breve.
In tal modo si potrebbe
giungere alla costruzione di bombe che - è da supporre - saranno di
tipo nuovo ed estremamente potenti. Uno solo di tali ordigni
trasportato via mare e fatto esplodere in un porto potrebbe
distruggere l'intero porto e parte del territorio circostante.
D'altra parte l'impiego di queste armi potrebbe risultare ostacolato
dal loro eccessivo peso che ne renderebbe impossibile il trasporto
con aerei.
Negli Stali Uniti
esistono solo modeste quantità di minerali a bassa percentuale di
uranio; minerali più ricchi si trovano in Canada e nella ex
Cecoslovacchia benché i più cospicui giacimenti uraniferi siano nel
Congo belga.
Alla luce delle
precedenti considerazioni Ella converrà con me, signor Presidente,
sull'opportunità di stabilire un collegamento permanente tra il
governo e il gruppo di fisici che in America lavorano alla reazione a
catena, collegamento che potrebbe essere facilitato dalla nomina di
un responsabile di Sua fiducia autorizzato ad agire anche in veste
non ufficiale. A tale persona dovrebbero essere affidati fra l'altro
i seguenti compiti:
a) mantenersi in contatto
con i Dipartimenti interessati per tenerli al corrente di eventuali
sviluppi e suggerire al governo misure atte ad assicurare la
fornitura di uranio;
b) accelerare il lavoro
di ricerca nel settore attualmente svolto nei limiti di bilancio dei
laboratori universitari sollecitando all'occorrenza forme di
finanziamento volontario da parte di privati disposti a contribuire
alla causa e assicurandosi altresì la cooperazione di laboratori
industriali dotati delle attrezzature necessarie.
Mi si dice che la
Germania subito dopo l'occupazione della Cecoslovacchia ha posto
l'embargo sull'uranio proveniente da questo paese, il che non
stupisce quando si pensi che il figlio del sottosegretario di Stato
tedesco von Weizsacker é membro del Kaiser Wilhelm Institut di
Berlino dove sono attualmente in corso esperimenti con uranio
analoghi a quelli svolti in America.
Distintamente
Albert Einstein
l'Unità, mercoledì 2
agosto 1989
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