La Costituzione non
indica vaghi principi, ma obiettivi precisi e spiega come
raggiungerli.
Il dibattito
politico però ha rimosso il tema nelle sue declinazioni cruciali, l’accesso alle
cure e alla cultura
Vita dura per chi, negli
estenuanti negoziati all’inseguimento di ipotetiche alleanze di
governo, cerca col lanternino non solo qualche rada dichiarazione
programmatica, ma un’idea di Italia, una visione del futuro, un
orizzonte verso cui camminare, un traguardo.
Salvatore Settis |
Al cittadino comune non
resta che gettare un messaggio in bottiglia, pur temendo che
naufraghi in un oceano di chiacchiere. La persistente assenza di un
governo è un problema, certo. Ma molto più allarmanti sono altre
assenze, sintomo che alcuni problemi capitali sono stati tacitamente
relegati a impolverarsi in soffitta. Per esempio, l’eguaglianza.
Di eguaglianza parla
l’articolo 3 della Costituzione, e lo fa in termini tutt’altro
che generici. Non è uno slogan, un’etichetta, una predica a vuoto
destinata a restare lettera morta. È l’articolo più
rivoluzionario e radicale della nostra Costituzione, anzi vi
rappresenta il cardine dei diritti sociali e della stessa democrazia.
E non perché annunci l’avvento di un’eguaglianza già attuata,
ma perché la addita come imprescindibile obiettivo dell’azione di
governo. L’articolo 3 dichiara che “tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali”, ma non si ferma qui, anzi quel
che aggiunge è ancor più importante, e non ha precedenti in altre
Costituzioni. “La Repubblica ha il compito di rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti
i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”. L’eguaglianza fra i cittadini è qui affermata attraverso
la loro dignità sociale. La dignità, raggiunta mediante il lavoro,
è identificata con il pieno sviluppo della persona. Dignità,
sviluppo della persona e lavoro convergono per creare equilibrio fra
i diritti del singolo e i suoi “doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale” (art. 2). La democrazia secondo la
Costituzione è dunque “effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”, e il suo protagonista è il cittadino-lavoratore: perciò
l’art. 4 garantisce il diritto al lavoro. Questa idea di democrazia
risulta dalla somma di dignità personale e sociale, lavoro,
eguaglianza, solidarietà. Dà forma concreta alla sovranità
popolare dell’art. 1, ed è il fondamento di larga parte della
Carta: non solo gli articoli sui diritti e doveri dei cittadini e sui
rapporti etico-sociali (artt. 13-34), ma anche quelli sui rapporti
economici (artt. 35-47) e politici. Una parte, questa, che include
anche la seconda parte della Costituzione (Ordinamento della
Repubblica).
Irraggiandosi su tutta la
Costituzione, il principio di eguaglianza sostanziale introdotto
dall’art. 3 comporta il progetto di una profonda modificazione
della società. Qualcosa da cui siamo, in tempi di impoverimento
crescente, di alta disoccupazione e di crescita delle disuguaglianze,
più lontani che mai. Quel testo così rivoluzionario fu il
“capolavoro istituzionale” di Lelio Basso e Massimo Severo
Giannini, allora capo di gabinetto del ministero della Costituente,
retto da Pietro Nenni. Dal libro sull’art. 3 di Mario Dogliani e
Chiara Giorgi (nella bella serie sui principi fondamentali della
Costituzione pubblicata da Carocci) risulta anche il contributo in
Costituente di Moro, La Pira, Fanfani. Ma questa “norma-cardine del
nostro ordinamento costituzionale” (Romagnoli), che dovrebbe
ispirare ogni legge e ogni atto del Parlamento e dei governi, è
stata troppo spesso ignorata. Eppure il traguardo costituzionale
dell’eguaglianza, data la sua straordinaria, visionaria forza e
ricchezza, dovrebbe essere la stella polare di qualsiasi programma di
governo.
Per fare solo qualche
esempio: il diritto alla salute prescritto dall’art. 32 della
Costituzione è palesemente uno strumento di eguaglianza, dunque
dev’essere identicamente garantito a tutti. Ma ognun sa che vi sono
regioni (specialmente nel Sud) dove il costo pro capite della sanità
è assai più alto che in altre (Centro-Nord), mentre i servizi
offerti sono molto meno efficienti; per non dire della quota di
famiglie impoverite che, a causa delle crescenti spese (ticket etc.),
tendono a rinunciare a ogni cura (28.000 nuclei familiari in
Calabria, 69.000 in Sicilia). C’è forse un piano per correggere
questa stortura? E come rimediare alla crescente disoccupazione
giovanile (58,7 per cento in Calabria)? Il “reddito di
cittadinanza” è un rimedio ma non una risposta, e una vera
politica del lavoro e della piena occupazione è di là da venire. A
fronte di una Costituzione che individua nel lavoro l’ingrediente
essenziale della dignità della persona e della democrazia, quali
sono i progetti dei partiti? Per fare solo un altro esempio: anche la
cultura, e in particolare l’istruzione scolastica, è secondo la
Costituzione un ingranaggio irrinunciabile della dignità personale,
dello sviluppo della persona, e dunque della democrazia. Ma che cosa
si intende fare per invertire la rotta di una crescente
disuguaglianza di classe favorita da una scuola che è stata
battezzata “buona” proprio nel momento in cui da cattiva
diventava pessima? E da cosa nascerà l’innovazione e lo sviluppo
(dunque anche l’occupazione), se l’Italia investe in ricerca
l’1,3 per cento del Pil, contro il 3,3 per cento della Svezia, il
3,1 per cento dell’Austria, il 2,9 per cento della Germania? E se
l’università è mortificata da pessimi criteri di valutazione
della ricerca, strangolata dalla persistente carenza di fondi,
umiliata dalla precarizzazione crescente dell’insegnamento?
L’eguaglianza non è un
traguardo facile, ma ignorarlo vuol dire calpestare quella stessa
Costituzione che i cittadini hanno difeso nel referendum del 4
dicembre 2016. Quel voto, e così quello del 4 marzo di quest’anno,
chiedono radicali cambiamenti, ma in quale direzione? Per uscire
dalla palude bastano volti nuovi, nuove alleanze, nuovi slogan? Da
questo Parlamento e dal futuro governo dovremmo esigere la competenza
e l’immaginazione necessarie a indicare un traguardo degno della
nostra Costituzione e della nostra storia. Un futuro per
cittadini-lavoratori che nella dignità della loro persona e nella
solidarietà riconoscano l’alfabeto della democrazia e la speranza
per le nuove generazioni.
Il Fatto 19.4.18
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