8.4.18

Raffaello tifava Roma “antiqua” (Francesco Paolo Di Teodoro, Vincenzo Farinella)


Riprendo da un recente domenicale del “Sole 24 Ore” uno stralcio della voce Raffaello nel Dizionario Biografico degli Italiani, che la Treccani va pubblicando. Esso documenta la passione per l'antichità che orientò il lavoro di Raffaello Sanzio soprattutto negli ultimi anni della sua vita. (S.L.L.)
Raffaello Sanzio, La Loggia di Psiche alla farnesina, particolare
Negli ultimi anni di attività Raffaello si era imbarcato nella sua impresa antiquaria più ambiziosa: la ricostruzione grafica, in pianta, in alzato e in sezione, dei principali monumenti delle quattordici regioni di Roma antica. Un progetto grandioso, sostanzialmente sfumato alla morte dell’Urbinate (con grande rimpianto degli umanisti), basato sullo scrutinio delle fonti letterarie classiche, su rilevamenti topografici e su vere e proprie indagini archeologiche condotte ad hoc.
Il 1519 è anche la data più verosimile per la prima redazione della cosiddetta Lettera a Leone X sull’architettura classica, a opera di Raffaello con il supporto letterario di Baldassarre Castiglione (l’autografo di Baldassarre, già nell’Archivio privato dei conti Castiglioni, acquisito dallo Stato italiano, dal 2016 si conserva presso l’Archivio di Stato di Mantova). Al 1519-20 è databile, invece, una seconda redazione [...]
La Lettera va collegata al progetto della ricostruzione grafica di Roma antica, affidato dal pontefice all’artista. L’umanista ferrarese Celio Calcagnini, a Roma dall’ottobre 1519, in una missiva a Jacob Ziegler esaltava Raffaello come «pictorum omnium princeps», celebrando in particolare la sua ricostruzione di Roma antica.
In base al suo contenuto la Lettera a Leone X si può dividere in tre parti. Una prima, introduttiva, è inerente alle antichità («reliquie») di Roma e alla necessità di preservarle, una seconda costituisce un’ecfrasi storico-architettonica sull’esempio di quella presente nella Vita di Brunelleschi di Antonio di Tuccio Manetti, e una terza, decisamente più tecnica, che tratta del rilievo della città antica e degli edifici, per il tramite di uno strumento dotato di bussola magnetica, nonché della rappresentazione in pianta, alzato o «parete de fora» e sezione o «parete de dentro» di alcune architetture esemplari. In tal modo, per la prima volta, viene codificata una tecnica rappresentativa propria dell’architetto, quella delle proiezioni ortogonali. Non solo: i tre «modi» coincidono con la terna vitruviana ichnographia, orthographia, scaenographia (Vitr., I, 2, 2) e ben possono essere interpretati quali recupero del modo di disegnare degli antichi.
Nelle ultime opere di Raffaello si coglie sempre più prepotente l’ambizione di porsi su un piano di emulazione nei confronti dei risultati, da molti ritenuti inarrivabili, conseguiti dagli artisti antichi: le decorazioni dell’appartamento del cardinale Bibbiena, della loggia di Psiche alla Farnesina e delle logge Vaticane rivelarono agli occhi dei committenti, degli umanisti e dei letterati presenti a Roma gli esiti sorprendenti conseguiti da un artista moderno che, come un nuovo Apelle, aveva riscoperto i segreti del linguaggio figurativo classico.
Il 20 gennaio 1520 Alfonso I d’Este si lamentò aspramente per il comportamento irrispettoso di Raffaello, a proposito del dipinto bacchico tante volte promesso e mai consegnato per il «camerino d’alabastro»; il 20 marzo una lettera da Roma di Alfonso Paolucci al signore di Ferrara lo informava che l’artista aveva preparato per il duca «tre o quatro» studi di camini che non fanno fumo (abilità che Raffaello aveva dimostrato nella progettazione di quelli di villa Madama).
Secondo la testimonianza del diario di Marcantonio Michiel, Raffaello morì la notte tra il 6 e il 7 aprile, a causa di una febbre «continua e acuta, che già octo giorni l’assaltò», come si apprende da una sconfortata lettera di Paolucci al duca di Ferrara : «Dolse la morte sua precipue alli litterati, per non haver potuto fornire la descrittione e pittura di Roma antiqua che ’l faceva, che era cosa bellissima [...]. Morse a hore 3 di notte di Venerdì Santo venendo il Sabato, giorno della sua Natività» (M. Michiel, Diarii, in Cicogna, 1860, p. 410).
Il 7 aprile 1520 Raffaello venne sepolto nella tomba che aveva acquistato al Pantheon, facendo restaurare un’edicola di quell’antico monumento che era stato decisivo, fin dagli anni fiorentini, per la messa a punto del proprio linguaggio architettonico: lo stesso giorno Pandolfo Pico scrisse a Isabella d’Este, informandola della morte di Raffaello, «lasciando questa corte in grandissima et universale mestitia per la perdita della speranza de grandissime cose che se expectavano da lui, quale havere bono honorato questa etade». L’epitaffio in distici elegiaci, composto per l’artista dal Tebaldeo o da Bembo, esalta la forza creatrice di Raffaello, tanto che la Natura, mentre era in vita, temette di esser vinta da lui e quando morì temette, invece, di morire anch’essa («Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci / rerum magna parens, et moriente mori»).
Il 12 aprile, in una lettera a Michelangelo, dove si ricorda la morte del «povero» Raffaello, «dil che credo vi habbi despiaciuto assai», Sebastiano del Piombo chiese un intervento presso il cardinale Giulio de’ Medici perché gli fosse affidata la decorazione della Sala di Costantino, «del che e’ garzoni de Raffaello [Giulio Romano e Giovan Francesco Penni] bravano molto e voleno depingerla a olio».
Nel maggio gli eredi di Raffaello al lavoro nella Sala di Costantino si offrirono di eseguire il dipinto lungamente atteso da Alfonso I d’Este, ma il duca di Ferrara comunicò che «non havendo noi potuto haver la pictura nostra di sua mano, non la volemo far fare in Roma».

Il Sole 24 Ore Domenica, 7 gennaio 2018

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