18.4.18

Tre gomitoli. Come convivere con il Labirinto (Umberto Ecco)


Il testo che segue, parte della prefazione al volume di Paolo Santarcangeli, Il Libro dei Labirinti (Frassinelli, 1984), uscì come anticipazione sul quotidiano “la Repubblica” (S.L.L.)
Hever Castle (UK), Labirinto

I nostri modi di pensare il labirinto seguono percorsi tortuosi. Tanto per cominciare, vi sono diversi tipi di labirinto. Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per comodità di discorso vorrei identificare tre modelli fondamentali. Il primo è il labirinto detto "unicursale": a vederlo dall'alto sembra un intrico indescrivibile e a percorrerlo si è presi dall'angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il suo percorso è generabile con un algoritmo molto semplice, perché esso altro non è che un gomitolo a due capi, e chi vi entra da una parte non potrà che uscire dall'altra. Questo è il labirinto classico che non avrebbe bisogno di filo d'Arianna perché è esso stesso il filo d'Arianna di se stesso. Per questo al centro vi dovrà essere il Minotauro, per rendere l'intera vicenda meno monotona. Il problema posto da questo labirinto non è "da quale parte uscirò?" bensì "uscirò?", ovvero, "uscirò vivo?". Questo labirinto è immagine di un cosmo difficile da vivere, ma tutto sommato ordinato (c'è una mente che lo ha concepito). Il secondo tipo di labirinto manieristico: se sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un filo, ma se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi trovate tra le mani un filo, ma una struttura ad albero, con infinite ramificazioni, il novantanove per cento delle quali porta a un punto morto (solo un corno di un solo dilemma binario porta all'uscita). Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare all'infinito sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una regola che consenta di individuare l'uscita. In teoria la regola c'è, perché il labirinto manieristico, anche se ha un interno assai complesso, ha un dentro e un fuori. Terzo viene il rizoma, o la rete infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro punto e la successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non vi è più un esterno o un interno: in altri termini, il rizoma può proliferare all'infinito. Inoltre potremmo immaginarlo come una palla di burro, senza confini, all'interno della quale posso perforare senza troppa fatica una parete che separa due condotti creando per ciò stesso un nuovo condotto. Il che equivale a dire che nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribuiscono a complicare il problema. Se anche una Mente può aver pensato il rizoma, non ne avrà però pensata e stabilita in anticipo la struttura. Il rizoma è come un libro in cui ogni lettura cambi l' ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l'idea di rizoma è assai recente, quella di un libro di tal fatta è molto più antica, e la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i cabalisti rimaneva ferma la fede in una struttura finale del libro che avrebbe dovuto adeguare il progetto iniziale della creazione. Ora possiamo dire che tutto il Pensiero della Ragione, dalla Grecia sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come pensiero di una Legge o di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del Labirinto. Il labirinto veniva evocato dall'immaginazione, mentre il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo. Naturalmente, quanto più il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo, tanto più l'immaginazione mistica - ovvero il Pensiero del Mistero - lo riproponeva - e la storia del pensiero ermetico, dalla Cabbala attraverso il Rinascimento, sino ai giorni nostri, è presente a testimoniarlo. Da un lato la Razionalità, che voleva ridurre la complessità del Labirinto, dall'altro la cosiddetta Sapienza, che voleva conservare immutata la complessità dell'Irrazionale. Una caratteristica di molto pensiero contemporaneo è invece quella di elaborare tecniche di Ragionevolezza per muoversi nel labirinto, senza rimuoverne l'immagine, senza volerlo ridurre a un ordine definitivo, e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi percorsi praticabili. Agli opposti ideali dei Distruttori del Labirinto e delle Vittime (magari complici) del Labirinto, possiamo contrapporre una scienza media che si propone di convivere umanamente col e nel labirinto.

“la Repubblica”, 14 novembre 1984

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