Il testo che segue, parte
della prefazione al volume di Paolo Santarcangeli, Il Libro dei
Labirinti (Frassinelli, 1984),
uscì come anticipazione sul quotidiano “la Repubblica” (S.L.L.)
Hever Castle (UK), Labirinto |
I nostri modi di pensare
il labirinto seguono percorsi tortuosi. Tanto per cominciare, vi sono
diversi tipi di labirinto. Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per
comodità di discorso vorrei identificare tre modelli fondamentali.
Il primo è il labirinto detto "unicursale": a vederlo
dall'alto sembra un intrico indescrivibile e a percorrerlo si è
presi dall'angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il
suo percorso è generabile con un algoritmo molto semplice, perché
esso altro non è che un gomitolo a due capi, e chi vi entra da una
parte non potrà che uscire dall'altra. Questo è il labirinto
classico che non avrebbe bisogno di filo d'Arianna perché è esso
stesso il filo d'Arianna di se stesso. Per questo al centro vi dovrà
essere il Minotauro, per rendere l'intera vicenda meno monotona. Il
problema posto da questo labirinto non è "da quale parte
uscirò?" bensì "uscirò?", ovvero, "uscirò
vivo?". Questo labirinto è immagine di un cosmo difficile da
vivere, ma tutto sommato ordinato (c'è una mente che lo ha
concepito). Il secondo tipo di labirinto manieristico: se
sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un
filo, ma se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi
trovate tra le mani un filo, ma una struttura ad albero, con infinite
ramificazioni, il novantanove per cento delle quali porta a un punto
morto (solo un corno di un solo dilemma binario porta all'uscita).
Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare all'infinito
sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una
regola che consenta di individuare l'uscita. In teoria la regola c'è, perché il labirinto manieristico, anche se ha un interno assai
complesso, ha un dentro e un fuori. Terzo viene il rizoma, o la rete
infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro punto e la
successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non vi
è più un esterno o un interno: in altri termini, il rizoma può
proliferare all'infinito. Inoltre potremmo immaginarlo come una
palla di burro, senza confini, all'interno della quale posso
perforare senza troppa fatica una parete che separa due condotti
creando per ciò stesso un nuovo condotto. Il che equivale a dire che
nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia
contribuiscono a complicare il problema. Se anche una Mente può aver
pensato il rizoma, non ne avrà però pensata e stabilita in anticipo
la struttura. Il rizoma è come un libro in cui ogni lettura cambi l'
ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l'idea di rizoma
è assai recente, quella di un libro di tal fatta è molto più
antica, e la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i
cabalisti rimaneva ferma la fede in una struttura finale del libro
che avrebbe dovuto adeguare il progetto iniziale della creazione. Ora
possiamo dire che tutto il Pensiero della Ragione, dalla Grecia
sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come pensiero di una
Legge o di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del
Labirinto. Il labirinto veniva evocato dall'immaginazione, mentre il
Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo. Naturalmente, quanto
più il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo, tanto più l'immaginazione mistica - ovvero il Pensiero del Mistero - lo
riproponeva - e la storia del pensiero ermetico, dalla Cabbala
attraverso il Rinascimento, sino ai giorni nostri, è presente a
testimoniarlo. Da un lato la Razionalità, che voleva ridurre la
complessità del Labirinto, dall'altro la cosiddetta Sapienza, che
voleva conservare immutata la complessità dell'Irrazionale. Una
caratteristica di molto pensiero contemporaneo è invece quella di
elaborare tecniche di Ragionevolezza per muoversi nel labirinto,
senza rimuoverne l'immagine, senza volerlo ridurre a un ordine
definitivo, e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi
percorsi praticabili. Agli opposti ideali dei Distruttori del
Labirinto e delle Vittime (magari complici) del Labirinto, possiamo
contrapporre una scienza media che si propone di convivere umanamente
col e nel labirinto.
“la Repubblica”, 14
novembre 1984
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