Oggi annegano meno
migranti. Muoiono altrove, tra lager libici e piste nel deserto che
non portano da nessuna parte. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore,
da ogni senso di umanità.
È vero, in un anno gli
sbarchi dei migranti nelle spiagge del sud, in massima parte in
Sicilia, sono diminuiti del 34% rispetto al 2016. Lo affermano le Ong
e il Ministero degli interni italiano. E così il ministro Minniti,
l’uomo del Daspo urbano e dello slogan «percezione
dell’insicurezza uguale insicurezza», e cioè percezione uguale
realtà, può essere contento. E magari lui e Gentiloni potranno
strappare alla Ue – a parole – qualche milione in più per
pattugliare il Mediterraneo e un po’ di rifugiati da distribuire in
Europa. Evviva.
Come ci sono riusciti, il
Presidente del consiglio e il suo ministro? È semplice: delegando
alla Libia il controllo e la detenzione dei migranti che si mettono
in marcia verso l’Italia dall’Eritrea, dalla Somalia, dal Gambia,
dalla Nigeria e così via. Nel 2016, poco meno di 180mila, oggi meno
di 150mila. E quelli che non arrivano che fine hanno fatto? Nessuno
lo sa. Ciò che invece sappiamo è che i campi di detenzione in Libia
sono «infernali» (secondo la denuncia delle Nazioni Unite, di Oxfam
ecc.). I migranti vi sono ammassati come bestiame, derubati e
picchiati. Talvolta uccisi. Le donne violentate. E poi, se
sopravvivono, rimandati nei paesi d’origine o, meglio, abbandonati
nel deserto. Lo faceva già Gheddafi con i soldi stanziati da Prodi,
Amato, Berlusconi ecc. Lo fa il governo Serraj e lo fanno le bande di
armigeri che si spartiscono la Libia, dopo la guerra voluta da
Cameron e Sarkozy, con il beneplacito di Napolitano, Berlusconi,
Bersani ecc.
Ma gli accordi
dell’infaticabile Minniti sono qualcosa di profondamente diverso.
Prima, apparentemente e di malavoglia, la priorità era umanitaria. I
migranti si imbarcavano e bisognava salvarli, di fronte al mondo –
anche se qualche volta la Guardia costiera era distratta, la Marina
nicchiava, i maltesi non collaboravano e Frontex, l’infame agenzia
di frontiera, si opponeva. E così 30mila donne, bambini e uomini
sono annegati in vent’anni. Ma oggi, grazie a Minniti, ne annegano
meno, in assoluto. Infatti, muoiono altrove, tra lager libici e piste
nel deserto che non portano da nessuna parte. Lontano dagli occhi,
lontano dal cuore, da ogni senso di umanità.
E così, la sorte di
questa gente non interessa a nessuno. Alcuni la approvano
calorosamente (Salvini, Berlusconi, Grillo), altri con un’ipocrisia
che lascia senza fiato («No ai taxi del mare», «No al business
dell’immigrazione», proclama Di Maio), altri piangono lacrime
false (il Pd). E non parliamo dell’Europa, che elogia Minniti e poi
si inchina al fascista Orbàn e agli altri Gauleiter dell’est.
Per ottenere questo bel
risultato c’è voluta una certa intelligenza strategica, bisogna
ammetterlo. Inizialmente, si sono diffamate le Ong che operavano nel
Mediterraneo. Poi si sono avviate inchieste sul «business
umanitario», in cui non è mai saltata fuori una prova.
Minniti ha operato a
tenaglia, imponendo un codice di condotta alle Ong – in sostanza
obbligandole ad accettare i suoi voleri – e contemporaneamente si è
accordato con i libici, concedendo soldi, armi, motovedette ecc. in
cambio della sparizione dei migranti dal nostro bel mare azzurro.
Tutto quello che è
seguito perfeziona il modello. Ogni tanto un solerte procuratore
sequestra una nave, con l’incredibile motivazione che non si è
subordinata al voleri dei libici, i quali sparano addosso a chi salva
i migranti. Da parte sua Minniti – vista l’inesistenza di Alfano
– si è autonominato ministro operativo degli esteri e organizza,
su mandato di Gentiloni, inverosimili spedizioni nell’Africa
profonda, in Niger, con l’obiettivo di lottare contro il
terrorismo, in altri termini per bloccare i migranti alla partenza.
Questa storia del Niger
sarebbe comica se non fosse immersa in una realtà tragica. Nel 2017,
Gentiloni dichiarava di voler fermare gli scafisti in Niger (in
Niger, un paese che non ha sbocchi al mare?). Veniva così approntata
una missione di 400 uomini, con blindati e armi pesanti, e 40
venivano inviati a preparare il terreno. Poi, poco alla volta non se
ne è saputo più nulla. Prima si è data la colpa a Macron, che non
avrebbe voluto gli italiani tra i piedi in quello che di fatto è uno
spazio coloniale francese. Poi, alcuni ministri nigerini hanno
dichiarato di non aver richiesto la presenza degli italiani. Infine,
il silenzio su tutta la vicenda, dopo ridicole smentite del Ministero
della difesa.
La cosa più probabile è
che, in questo momento, i 40 soldati dell’unità logistica in Niger
si struggano di nostalgia per l’Italia lontana, la pizza e la
pasta, mentre il vento soffia e li ricopre di sabbia.
Ma c’è poco da ridere.
Le strade e le piste che portano da villaggi, slum e periferie
dell’Africa verso il nostro mondo sono disseminate di morti, così
come il fondo del mare (dal 2,5 al 5% di chi si imbarca, dal 2016 a
oggi, secondo diverse stime). Ma questo non importa ai nostri leader
che si disputano il favore del popolo. Che volete che siano 5, 10 o
30mila morti stranieri, davanti ai milioni che ci hanno votato,
immagino che pensino Salvini, Di Maio, Berlusconi e Renzi. Ma sì,
aiutiamoli a casa loro. Copriamoci gli occhi, non guardiamo, pensiamo
alle prossime elezioni.
alias il manifesto, 5 maggio 2018
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