12.5.18

Francesco parla, ma la Chiesa è silenziosa (Marco Garzonio)


Colpisce l’afasia della Chiesa dopo il voto e in presenza delle difficoltà nel formare un governo. Come stupisce che il silenzio non faccia notizia. Non si tratta di rimpiangere tempi in cui i vescovi impartivano benedizioni (o condanne). Ma una Chiesa che fatica a parlare alle persone e ai soggetti politici contribuisce ad un deficit di dialogo, valutazione responsabile dei problemi e delle soluzioni.
Intendiamoci: il Papa parla, eccome. Basta seguirne Magistero, catechesi del mercoledì, omelie a Santa Marta, discorsi nelle periferie romane, visite a luoghi simbolo di personaggi sino a ieri derubricati a ruolo di testimonianze personali e sospette: don Milani, don Mazzolari, don Tonino Bello. Ma la visione di Francesco su lavoro, dignità delle persone, guasti del mercato, giustizia sociale, accoglienza e integrazione, alla base non ha mediazioni e rilanci.
L’eco di Bergoglio sui media è inversamente proporzionale alla presa effettiva sulla catena istituzionale e pastorale, sull’ingaggio di vescovi, parroci e fedeli. L’effetto è uno scollamento tra Magistero e comportamenti individuali e di indirizzo politico-sociale. Due esempi. La Settimana Sociale dei Cattolici aveva lanciato proposte su dei temi al centro della contesa politica e fonti di rabbia diffusa, quali precariato e patto generazionale; l’intento era che i delegati avviassero nelle Diocesi una riflessione condivisa. Ma la mobilitazione capillare non c’è stata. Secondo esempio. Elezioni alla Regione Lombardia. La Lega ha vinto, non si sa se grazie anche ai simboli religiosi esibiti da Salvini a Milano. E su 450 mila voti al centrosinistra i tre candidati espressione del mondo cattolico hanno avuto 15 mila preferenze: il 3 per cento.
L’afasia ha tante spiegazioni. In parte, per paradosso, è da ricondurre allo stesso Bergoglio. Il Papa dall’inizio ha parlato di periferie del mondo e mostrato una visione generale che non privilegia Italia ed Europa. A Strasburgo infatti sono echeggiate le sue critiche ai modi di vivere, pensare, agire degli europei su banche, sbarchi, pace, rispetto della persona. Quanto alla Chiesa italiana, scegliendo Bassetti e Galantino ha azzerato la propensione a influenzare le vicende politiche delle gestioni Ruini e Bagnasco. Ma nelle nomine in sedi per tradizione cardinalizie Francesco pensa al futuro della Chiesa universale. Che non siano cardinali gli arcivescovi di Torino, Milano, Bologna, Palermo e la berretta rossa vada a pastori di altri Continenti è nell’ottica dei futuri elettori del successore di Bergoglio. Nelle grandi città italiane i vescovi possono fare bene il loro lavoro anche senza porpora, ma il disporre o meno di un riconoscimento ha un peso verso fedeli ed esterno.
La Chiesa paga poi per almeno due situazioni: una generale, e l’altra riferita a sue scelte. Nella diffusa delegittimazione dei corpi intermedi viene considerata non per quel che pensa, ma per i servizi che presta (vedi la campagna l’8 per mille: «Chiedilo a loro»), la funzionalità delle parrocchie (oratori estivi: a scuole chiuse, i genitori possono lavorare), le iniziative di Caritas, comunità di recupero, accoglienza. Di suo paga la passata linea «interventista». Un esempio: la bocciatura dei 101 franchi tiratori del Pd a Prodi fu preceduta dalla delegittimazione del fondatore dell’Ulivo e dei cattolici democratici provocata dal «Family day» che vide a fianco centro-destra e gerarchie.
Si profilano due sfide per la Chiesa. La prima: avere consapevolezza dell’irrilevanza pratica oggi di affermazioni e scelte tradizionali e di carattere generale; con coraggio interrogarsi a Roma e nelle Diocesi senza nascondersi dietro le componenti di fede (che nessuno sottovaluta) del tipo «è lo Spirito che conta e fa», e valutare in che modo i cristiani possono contribuire alla democrazia oggi, nei fatti. La seconda: immaginare, progettare, sperimentare modi, forme, iniziative di attenzione alla politica, perché è attraverso l’impegno responsabile in essa che si cresce, si fa storia, si misura se la fede è autentica o di convenienza o tradizione. La condizione ormai di minoranza e con privilegi decrescenti offre ai cattolici italiani un’opportunità unica d’essere creativi, di reinventarsi come cittadini oltreché come fedeli.

Corriere della sera, 29 aprile 2018

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