L’autorevole Pelican
Guide alla letteratura inglese colloca Wilkie Collins tra quei
sette o otto vittoriani di qualche genio — «grandi» o no — cui
viene riconosciuto il merito di aver dato un contributo significativo
nell’ambito del romanzo. Ma Collins «grande» non fu, o almeno non
tanto quanto il suo amico e patrono Charles Dickens, cui fu legato da
un ventennio di viaggi ed escursioni, di visite a pub, clubs e
bordelli, da progetti editoriali ed esperienze teatrali di cui furono
appassionati. Una amicizia forte, che la misoginia di entrambi favori
e rafforzò.
Il legame e insieme la
subalternità del bravo artigiano Collins al genio del maestro
Dickens furono poi sancite da T.S. Eliot in un saggio notissimo
(Wilkie Collins and Dickens, in Selected Essays,
London, 1934). Ci si è spesso chiesti se la fama di Collins non
fosse, almeno in parte, dovuta alla sua amicizia col Maestro ed al
fatto che molti dei suoi romanzi furono pubblicati a puntate proprio
sulle riviste di Dickens — “Household
Words” prima e in seguito “All the Year Round” su cui
uscì The Woman in white (tr. it. La signora in bianco,
Mondadori) a partire dal 29 novembre 1859. O se, al contrario, la
grandezza indiscussa — e fino a qualche decennio fa indiscutibile —
di Dickens non abbia gettato un'ombra eccessiva su uno scrittore di
tutto rispetto.
Certo è che la fama di
Wilkie Collins è arrivata fino a noi e per diverse buone ragioni.
Innanzitutto era un narratore eccellente, uno «story-teller» di
grande fascino e consumata esperienza, tanto che almeno due dei suoi
romanzi si leggono ancora con grande piacere: il già citato La
signora in bianco e la La pietra di luna (tr. it. da
Mondadori).
Poi era un osservatore
d’eccezione tanto che alcuni dei suoi personaggi sono tuttora
citati tra i migliori esempi di caratterizzazione.
Queste doti sono
riconoscibili anche in L’albergo stregato che gli Editori
Riuniti hanno appena tradotto per i Misteri d’Autore.
Pubblicato nel 1879, quando il suo periodo migliore era finito e la
sua vita già diventava quella di un malato irreversibile e
laudano-dipendente, questo lungo racconto è certamente un testo
minore. Ma vi si scorgono alcune «innovazioni» che influenzano non
poco la struttura del testo.
Se la caratteristica dei
romanzi più lunghi — quelli per intenderci sulla lunghezza dei tre
volumi — è quella di aver saputo abilmente introdurre il mistero
nei tranquilli interni vittoriani — come ne La signora in bianco
— e di inventare la figura dell’investigatore con il Sergeant
Cuff in La pietra di luna, ne L’albergo stregato i
termini tornano a dividersi. È vero che una misteriosa e inquietante
signora, la contessa Narona, non solo ha un nome italiano ed una
origine incerta come nella migliore tradizione gotica, ma si presenta
anche alla porta del più vittoriano dei medici di Londra, ne viola
la sacra privacy sconvolgendogli le inveterate abitudini e poi
sparisce nel nulla lasciandosi dietro una scia di domande che è un
irresistibile invito alla investigazione. Ma poi l’azione si
sdoppia: l'Inghilterra ridiventa sicura e domestica mentre il mistero
e il delitto si spostano altrove. Dove? In Italia, naturalmente, in
omaggio alla buona signora Radcliffe.
La novità? Il luogo del
delitto: che è prima un palazzo simile ad un maniero con stanze
abbandonate, lunghi corridoi e le immancabili segrete sotterranee.
Che poi si trasforma in un vero hotel, un business per turisti
danarosi e di gusti approssimativi come gli americani. Qui i tasselli
della soluzione devono infilarsi tra le prenotazioni di stanze e le
legittime preoccupazioni del direttore. Una situazione da giallo
moderno, non c'è che dire. A libro chiuso, poi, vi accorgerete anche
che il narratore vittoriano, il deus ex machina è quasi sparito: il
fuoco del racconto è mobile e si sposta, come una cinepresa, dal
medico alla fidanzata al fratello del Lord. Ma è un trucco, e non lo
si scorge che alla fine quando ci si chiede che fine abbia fatto il
medico.
Niente, è rimasto al suo
club.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, probabilmente 1985
Sarà il cinquantesimo articolo che leggo qui in meno di una settimana. E mi colpisce in positivo come accuratamente Lei si confronti coi "grandi" e come anche dai "minori" sappia cavare quello che possono offrire. Complimenti da un lettore di Martin Chuzzlewitt
RispondiElimina