Piero Violante |
“InTRASFORMAZIONE”
(http://www.intrasformazione.com) è la Rivista di Storia delle Idee
dell'omonimo Centro Studi palermitano. È patrocinata dall’Università
degli Studi di Palermo e diretta da Piero Violante, politologo e
musicologo, a lungo docente presso quella università e animatore in
vari ruoli della vita culturale palermitana.
Il I° numero del 2018,
suo settimo anno, consultabile in rete, è assai ricco e contiene tra
l'altro una sezione dedicata al Sessantotto nella capitale siciliana,
aperto da un breve scritto di Violante che è insieme rievocazione e
interpretazione e che è qui ripreso. Risalta nel racconto una figura importante
nell'orientare il pericoloso muoversi ed agitarsi di giovani in quel contesto periferico e mafioso, un “grande vecchio” come Mario
Mineo. Ed emerge il ruolo centrale a Palermo, nella prima fase del
lungo Sessantotto, dei “dottorini”, i giovani laureati spesso
avviati per tradizione o per vocazione alla carriera accademica. Si
potrebbe dire, sviluppando la metafora che Mario Mineo riferiva al
movimento studentesco, che furono proprio loro, i “dottorini”, il
motorino d'avviamento del motorino d'avviamento.
Provocatoria e degna di
discussione appare l'ipotesi interpretativa di Violante, riferita a
Palermo ma estendibile all'Italia e all'Europa: secondo lo studioso ciò che
di buono, cioè di liberatorio e progressivo, il Sessantotto produsse
viene quasi tutto prima dell'anno fatidico, in cui semmai si avvia
una sorta di “raggelamento ideologico”. Mi pare l'indicazione di
un percorso e di un lavoro di scavo da compiere. Violante peraltro, sul
tema del pre-sessantotto, ha già fornito un contributo importante di testimonianza e di analisi con lo
splendido Swinging Palermo,
Sellerio, 2015. (S.L.L.)
Una manifestazione di studenti, assistenti e professori dell'Università di Palermo a metà degli anni 60 del Novecento |
A dare la linea
sull'università fu il compagno Mario Mineo (classe 1920) al Circolo
Labriola da lui fondato e sito in un magazzino di via Costantino
Nigra, di proprietà di un'Opera Pia. Era il 20 gennaio 1968 e Mineo
ci convocò per discutere con alcuni compagni della rivista “ La
Sinistra” sullo stato dell'università (la miccia era stata accesa
già a Torino, occupazione di Palazzo Campana il 27 gennaio) ma
soprattutto sul ritardo di Palermo. Lo stanzone naturalmente spoglio
era affollatissimo: anziani professori ex comunisti ma gauchisti
oltre il Pci e giovani laureati o studenti iscritti per lo più a
Lettere, Architettura, Medicina, Matematica oltre ad un gruppo di
militanti della IV internazionale e giovani psiuppini. Una riunione
spessa di fumo che approvò la linea di Mineo che riteneva il
movimento studentesco il “motorino di avviamento” della
rivoluzione. Le perplessità furono spazzate via affermando Mineo che
qualunque agitazione lascia dei residui e che questi sono importanti
nel lungo periodo. Gli studenti non fanno lotta di classe? Lo si
vedrà dopo, mai dirlo prima.
A occupare la Facoltà di Lettere, il Palazzo Rosa, non ancora collaudata, quasi un mese dopo fummo dei dottorini convinti di un doppio gap rispetto all'arretrata, dogmatica e gerarchica università italiana: la perifericità di Palermo e il suo essere la capitale del malaffare mafioso. Periferica, mafiosa, coloniale disse Attilio Mangano, laurea sul Politecnico di Vittorini, militanza Psiup e grande amore per Tenco alla fine della sua relazione chiedendo all'Assemblea di votare l'occupazione.
A occupare la Facoltà di Lettere, il Palazzo Rosa, non ancora collaudata, quasi un mese dopo fummo dei dottorini convinti di un doppio gap rispetto all'arretrata, dogmatica e gerarchica università italiana: la perifericità di Palermo e il suo essere la capitale del malaffare mafioso. Periferica, mafiosa, coloniale disse Attilio Mangano, laurea sul Politecnico di Vittorini, militanza Psiup e grande amore per Tenco alla fine della sua relazione chiedendo all'Assemblea di votare l'occupazione.
Attilio Mangano in una foto recente |
L'aula Columba era
stracolma di studenti che in maggioranza temendo la sospensione degli
esami si opponevano. Furono tacitati dai labriolini e da quelli della
FIGC. La bagarre durò a lungo ma alla fine si occupò con uno
stretto margine e forse qualche broglio.
Essendo dottorini eravamo
anche molto astratti ma almeno in quella prima fase poco inclini al
dogmatismo. Molti di noi declinavano un marxismo " critico":
si era più vicini ai francofortesi o al giovane Lukacs o a Korsch;
altri accentuavano una venatura terzomondista a metà strada tra
Fanon e Castro. Lo sottolineo perché nella prima fase
dell'occupazione vi fu un fiorire di controseminari su Storia e
coscienza di classe di Lukacs; Il disagio della civiltà di Freud;
Psicologia di massa delfascismo di Wilhelm Reich che c'eravamo
procurati a Parigi in un'edizione “clandestina” o ancora sul
linguaggio dei giornali, sul loro modo di rappresentare ciò che si
andava definendo la “contestazione globale”, innamorati di
Barthes che Rognoni , musicologo sì ma anche e soprattutto
bordighista, aveva invitato a Palermo per parlare degli elementi di
semiologia.
Questa prima fase in cui
si era creato un dialogo con i professori " di sinistra"
come Luigi Rognoni, Armando Plebe, Gastone Canziani, Giacinto
Lentini, Massimo Ganci, “Ripio” Ambrosini, che si affannava a
spiegarci Saussure e Chomsky, fu bruciata dall'accelerazione degli
eventi nazionali (alla fine dell'articolo pubblichiamo l'organigramma
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'anno accademico 1967-'68
ndr).
Dopo marzo anche a
Palermo vi fu una crescente radicalizzazione imperniata sulla
possibilità che il movimento studentesco, non solo quello
universitario ma soprattutto quello degli studenti medi, fosse
davvero il motorino di avviamento se non per la rivoluzione almeno
per la formazione di quadri " rivoluzionari". La parola
d'ordine funzionava anche perché Mineo sosteneva che era possibile
canalizzare il malessere generazionale in una strategia complessiva
che includeva altri protagonisti sociali come gli operai dei Cantieri
Navali, e l'emergenza del Belìce. Si consuma tra il marzo e
l'ottobre del 68 a Lettere un cambio generazionale nella leadership
studentesca che emargina i dottorini o almeno i cosiddetti
"kerenskiani" in nome di una valutazione che intendeva, a
partire dall'università, cambiare la politica della sinistra
italiana, formando un soggetto alla sua sinistra. Fu l'epifania di
Corradino Mineo. Il Tema non era più l'Università ma lo Stato e la
Rivoluzione. Si bruciarono velocemente molte mediazioni cosiddette
culturali, anzi la " cultura" fu presa in ostaggio
favorendo la reazione violenta dei chierici universitari. La vittoria
della corazza ideologica in nome della lotta per i bisogni e non dei
desideri bloccò il movimento come macchina desiderante creando nuovi
stereotipi e per la comunicazione del sapere e per la dialettica
sapere/potere. Fu molto facile passare dall'analisi della crisi del
sapere all'identificazione della cultura come menzogna favorendo
percorsi abbreviati e a scartamento ridotto.
L'irrigidimento
ideologico si avviò in Francia dopo il glorioso Maggio
dell'immaginazione au pouvoir e soprattutto in Germania:
Habermas parlò di "fascismo di sinistra" e Adorno chiamò
la polizia dentro il suo sacro Istituto. Divenne ancor più marcato
in Italia, soprattutto a Roma, dopo gli scontri con la polizia del 1°
marzo a Valle Giulia. Allora si consumò l'idea movimentista
antiautoritaria per privilegiare un nuovo conformismo rivoluzionario.
E se molti chierici accademici dapprima attendisti travolti suonarono
la carica del rappel à l'ordre, nel vuoto, sorgeva in Sicilia
una curiosa cultura del territorio ma rinverdita paradossalmente
dalla semiologia. Tuttavia lo scossone libertario era stato così
forte che nonostante la forte resistenza del " Dominio" e
il raggelamento ideologico il Sessantotto ruppe valori e gerarchie
nel lungo periodo mutando il volto della società.
Così fu anche a Palermo,
dove l'Università, l'establishment culturale, gli organizzatori
della cultura dovettero cedere ad una nuova sensibilità, mentre
mutavano drammaticamente i rapporti tra i sessi, e le gerarchie
sociali sembravano allentarsi in una permissività sociale che
sostituiva un'inesistente mobilità sociale. Nel Palazzo poi,
tramontata la Dc notabiliare, i picciotti senza nome e senza storia
ribattezzati McLime, Drinkwater, Cian Chi Min, in una gustosa satira
in quell'anno elettorale, continuavano a sfigurare il volto della
città. Alcune frange cattoliche furono sferzate dal vento del 68 e a
sentire loro, almeno venti anni dopo quando era ancora "in"
inventarsi parentele di sinistra, erano stati loro i veri
protagonisti a Palermo del 68, e cioè Orlando che pubblicizzava la
sua Primavera come il Maggio francese e l'ineffabile Padre Pintacuda
di ritorno dall'America in veste di sociologo. A Giurisprudenza,
altro focolaio con Architettura e Scienze, Orlando stava allora in
una posizione defilata, suo padre era il Preside, mentre avanzava un
piccolo gruppo che faceva capo a Livio Labor: il trio Riggio,
Cocilovo, D'Antoni sulla scena politica da allora.
Ma a parte gli
spropositi, certo è che nel '68 i cattolici del dialogo vennero allo
scoperto e le giovani cattoliche si esibivano in assemblea in lunghi
esercizi di autocoscienza. Cinquanta anni dopo emerge chiaro il
paradosso del Sessantotto. Perché è insieme il luogo della
trionfale emergenza di una cultura che si era andata articolando in
nome della libertà lungo tutti gli anni Sessanta, gli anni in cui il
pendolo della storia swingò la libertà, ma anche il luogo della sua
implosione per i meccanismi ideologizzanti messi in opera e che
portarono alla violenza armata che ha svuotato la sinistra.
Ciò che di positivo
liberatorio accreditiamo al 68 - anche a Palermo - è esattamente ciò
che lo precede, l'esito di un'immaginazione critica che anche questa
città coltivarono grazie allo sperimentalismo modernizzatore dei
suoi scrittori, musicisti, artisti, intellettuali nel corso degli
anni Sessante e nei primi Settanta e che trovò la sua acme nelle
Settimane di nuova musica che si chiusero difatti il 31 dicembre 1968
con Winter Music di Cage. Una fatale coincidenza.
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