15.5.18

Sessantotto. Palermo, il motorino d'avviamento e la rivolta dei “dottorini” (Piero Violante)

Piero Violante

“InTRASFORMAZIONE” (http://www.intrasformazione.com) è la Rivista di Storia delle Idee dell'omonimo Centro Studi palermitano. È patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo e diretta da Piero Violante, politologo e musicologo, a lungo docente presso quella università e animatore in vari ruoli della vita culturale palermitana.
Il I° numero del 2018, suo settimo anno, consultabile in rete, è assai ricco e contiene tra l'altro una sezione dedicata al Sessantotto nella capitale siciliana, aperto da un breve scritto di Violante che è insieme rievocazione e interpretazione e che è qui ripreso. Risalta nel racconto una figura importante nell'orientare il pericoloso muoversi ed agitarsi di giovani in quel contesto periferico e mafioso, un “grande vecchio” come Mario Mineo. Ed emerge il ruolo centrale a Palermo, nella prima fase del lungo Sessantotto, dei “dottorini”, i giovani laureati spesso avviati per tradizione o per vocazione alla carriera accademica. Si potrebbe dire, sviluppando la metafora che Mario Mineo riferiva al movimento studentesco, che furono proprio loro, i “dottorini”, il motorino d'avviamento del motorino d'avviamento.
Provocatoria e degna di discussione appare l'ipotesi interpretativa di Violante, riferita a Palermo ma estendibile all'Italia e all'Europa: secondo lo studioso ciò che di buono, cioè di liberatorio e progressivo, il Sessantotto produsse viene quasi tutto prima dell'anno fatidico, in cui semmai si avvia una sorta di “raggelamento ideologico”. Mi pare l'indicazione di un percorso e di un lavoro di scavo da compiere. Violante peraltro, sul tema del pre-sessantotto, ha già fornito un contributo importante di testimonianza e di analisi con lo splendido Swinging Palermo, Sellerio, 2015. (S.L.L.)
Una manifestazione di studenti, assistenti e professori dell'Università di Palermo a metà degli anni 60 del Novecento
A dare la linea sull'università fu il compagno Mario Mineo (classe 1920) al Circolo Labriola da lui fondato e sito in un magazzino di via Costantino Nigra, di proprietà di un'Opera Pia. Era il 20 gennaio 1968 e Mineo ci convocò per discutere con alcuni compagni della rivista “ La Sinistra” sullo stato dell'università (la miccia era stata accesa già a Torino, occupazione di Palazzo Campana il 27 gennaio) ma soprattutto sul ritardo di Palermo. Lo stanzone naturalmente spoglio era affollatissimo: anziani professori ex comunisti ma gauchisti oltre il Pci e giovani laureati o studenti iscritti per lo più a Lettere, Architettura, Medicina, Matematica oltre ad un gruppo di militanti della IV internazionale e giovani psiuppini. Una riunione spessa di fumo che approvò la linea di Mineo che riteneva il movimento studentesco il “motorino di avviamento” della rivoluzione. Le perplessità furono spazzate via affermando Mineo che qualunque agitazione lascia dei residui e che questi sono importanti nel lungo periodo. Gli studenti non fanno lotta di classe? Lo si vedrà dopo, mai dirlo prima.
A occupare la Facoltà di Lettere, il Palazzo Rosa, non ancora collaudata, quasi un mese dopo fummo dei dottorini convinti di un doppio gap rispetto all'arretrata, dogmatica e gerarchica università italiana: la perifericità di Palermo e il suo essere la capitale del malaffare mafioso. Periferica, mafiosa, coloniale disse Attilio Mangano, laurea sul Politecnico di Vittorini, militanza Psiup e grande amore per Tenco alla fine della sua relazione chiedendo all'Assemblea di votare l'occupazione.
Attilio Mangano in una foto recente
L'aula Columba era stracolma di studenti che in maggioranza temendo la sospensione degli esami si opponevano. Furono tacitati dai labriolini e da quelli della FIGC. La bagarre durò a lungo ma alla fine si occupò con uno stretto margine e forse qualche broglio.
Essendo dottorini eravamo anche molto astratti ma almeno in quella prima fase poco inclini al dogmatismo. Molti di noi declinavano un marxismo " critico": si era più vicini ai francofortesi o al giovane Lukacs o a Korsch; altri accentuavano una venatura terzomondista a metà strada tra Fanon e Castro. Lo sottolineo perché nella prima fase dell'occupazione vi fu un fiorire di controseminari su Storia e coscienza di classe di Lukacs; Il disagio della civiltà di Freud; Psicologia di massa delfascismo di Wilhelm Reich che c'eravamo procurati a Parigi in un'edizione “clandestina” o ancora sul linguaggio dei giornali, sul loro modo di rappresentare ciò che si andava definendo la “contestazione globale”, innamorati di Barthes che Rognoni , musicologo sì ma anche e soprattutto bordighista, aveva invitato a Palermo per parlare degli elementi di semiologia.
Questa prima fase in cui si era creato un dialogo con i professori " di sinistra" come Luigi Rognoni, Armando Plebe, Gastone Canziani, Giacinto Lentini, Massimo Ganci, “Ripio” Ambrosini, che si affannava a spiegarci Saussure e Chomsky, fu bruciata dall'accelerazione degli eventi nazionali (alla fine dell'articolo pubblichiamo l'organigramma della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'anno accademico 1967-'68 ndr).
Dopo marzo anche a Palermo vi fu una crescente radicalizzazione imperniata sulla possibilità che il movimento studentesco, non solo quello universitario ma soprattutto quello degli studenti medi, fosse davvero il motorino di avviamento se non per la rivoluzione almeno per la formazione di quadri " rivoluzionari". La parola d'ordine funzionava anche perché Mineo sosteneva che era possibile canalizzare il malessere generazionale in una strategia complessiva che includeva altri protagonisti sociali come gli operai dei Cantieri Navali, e l'emergenza del Belìce. Si consuma tra il marzo e l'ottobre del 68 a Lettere un cambio generazionale nella leadership studentesca che emargina i dottorini o almeno i cosiddetti "kerenskiani" in nome di una valutazione che intendeva, a partire dall'università, cambiare la politica della sinistra italiana, formando un soggetto alla sua sinistra. Fu l'epifania di Corradino Mineo. Il Tema non era più l'Università ma lo Stato e la Rivoluzione. Si bruciarono velocemente molte mediazioni cosiddette culturali, anzi la " cultura" fu presa in ostaggio favorendo la reazione violenta dei chierici universitari. La vittoria della corazza ideologica in nome della lotta per i bisogni e non dei desideri bloccò il movimento come macchina desiderante creando nuovi stereotipi e per la comunicazione del sapere e per la dialettica sapere/potere. Fu molto facile passare dall'analisi della crisi del sapere all'identificazione della cultura come menzogna favorendo percorsi abbreviati e a scartamento ridotto.
L'irrigidimento ideologico si avviò in Francia dopo il glorioso Maggio dell'immaginazione au pouvoir e soprattutto in Germania: Habermas parlò di "fascismo di sinistra" e Adorno chiamò la polizia dentro il suo sacro Istituto. Divenne ancor più marcato in Italia, soprattutto a Roma, dopo gli scontri con la polizia del 1° marzo a Valle Giulia. Allora si consumò l'idea movimentista antiautoritaria per privilegiare un nuovo conformismo rivoluzionario. E se molti chierici accademici dapprima attendisti travolti suonarono la carica del rappel à l'ordre, nel vuoto, sorgeva in Sicilia una curiosa cultura del territorio ma rinverdita paradossalmente dalla semiologia. Tuttavia lo scossone libertario era stato così forte che nonostante la forte resistenza del " Dominio" e il raggelamento ideologico il Sessantotto ruppe valori e gerarchie nel lungo periodo mutando il volto della società.
Così fu anche a Palermo, dove l'Università, l'establishment culturale, gli organizzatori della cultura dovettero cedere ad una nuova sensibilità, mentre mutavano drammaticamente i rapporti tra i sessi, e le gerarchie sociali sembravano allentarsi in una permissività sociale che sostituiva un'inesistente mobilità sociale. Nel Palazzo poi, tramontata la Dc notabiliare, i picciotti senza nome e senza storia ribattezzati McLime, Drinkwater, Cian Chi Min, in una gustosa satira in quell'anno elettorale, continuavano a sfigurare il volto della città. Alcune frange cattoliche furono sferzate dal vento del 68 e a sentire loro, almeno venti anni dopo quando era ancora "in" inventarsi parentele di sinistra, erano stati loro i veri protagonisti a Palermo del 68, e cioè Orlando che pubblicizzava la sua Primavera come il Maggio francese e l'ineffabile Padre Pintacuda di ritorno dall'America in veste di sociologo. A Giurisprudenza, altro focolaio con Architettura e Scienze, Orlando stava allora in una posizione defilata, suo padre era il Preside, mentre avanzava un piccolo gruppo che faceva capo a Livio Labor: il trio Riggio, Cocilovo, D'Antoni sulla scena politica da allora.
Ma a parte gli spropositi, certo è che nel '68 i cattolici del dialogo vennero allo scoperto e le giovani cattoliche si esibivano in assemblea in lunghi esercizi di autocoscienza. Cinquanta anni dopo emerge chiaro il paradosso del Sessantotto. Perché è insieme il luogo della trionfale emergenza di una cultura che si era andata articolando in nome della libertà lungo tutti gli anni Sessanta, gli anni in cui il pendolo della storia swingò la libertà, ma anche il luogo della sua implosione per i meccanismi ideologizzanti messi in opera e che portarono alla violenza armata che ha svuotato la sinistra.
Ciò che di positivo liberatorio accreditiamo al 68 - anche a Palermo - è esattamente ciò che lo precede, l'esito di un'immaginazione critica che anche questa città coltivarono grazie allo sperimentalismo modernizzatore dei suoi scrittori, musicisti, artisti, intellettuali nel corso degli anni Sessante e nei primi Settanta e che trovò la sua acme nelle Settimane di nuova musica che si chiusero difatti il 31 dicembre 1968 con Winter Music di Cage. Una fatale coincidenza.

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