23.6.18

Memoria: “se fa male, la cancello”. Con manipolazioni chimiche sarà possibile cancellare l'impatto emotivo dei ricordi (Nico Pitrelli)


«Grazie a questi studi un giorno potremo liberarci per sempre delle nostre paure con una singola dose di farmaco», ha scritto recentemente sul “New York Times” Richard Friedman, direttore della clinica psicofarmacologica della Weill Cornell Medicine negli Stati Uniti. Friedman fa riferimento ai lavori dell’olandese Merel Kindt, docente di psicologia clinica sperimentale all’Università di Amsterdam, la quale, come testimoniato in un ampio resoconto pubblicato agli inizi di maggio sulla rivista “The New Republic”, sta fornendo negli ultimi anni le prove scientifiche più rilevanti a sostegno di trattamenti farmacologici in grado di fronteggiare definitivamente traumi e brutti ricordi.
Mai più paura dei ragni per chi soffre di aracnofobia. Mai più paura dell’altezza per chi soffre di acrofobia. E così via. Fino a rendere innocui i ricordi dolorosi alla base delle sindromi post-traumatiche da stress e dei disturbi d’ansia. E tutto grazie alla somministrazione del propranololo, medicinale normalmente usato per trattare l’angina pectoris e l’ipertensione arteriosa. I risultati sui volontari umani hanno destato clamore per la loro apparente efficacia.
Alcuni condividono l’entusiasmo di Friedman e sostengono che potremmo essere finalmente vicini alla “pillola dell’oblio”, riattualizzata nell’immaginario collettivo da film di successo come Eternal sunshine of the spotless mind (in italiano Se mi lasci ti cancello). Nella pellicola interpretata da Kate Winslet e Jim Carrey agiva in realtà una complicata macchina messa a punto dalla Lacuna Inc. Anche se non si trattava di una pastiglia, l’obiettivo era lo stesso: cancellare ricordi specifici dalla mente di una persona, in particolare quelli collegati alla storia d’amore dei due protagonisti.
Molti altri scienziati invitano però alla cautela, non solo perché i trattamenti sperimentati da Kindt e altri sono ancora lontani dall’entrare nella pratica clinica ordinaria, ma anche per gli interrogativi etici da essi sollevati.
Sta di fatto che, come spiega a pagina99 Andrea Lavazza, neuroeticista del Centro universitario internazionale di Arezzo e autore con Silvia Inglese di Manipolare la memoria. Scienza ed etica della rimozione dei ricordi (Mondadori Università 2013), «al di là degli annunci a volte sensazionalistici, una frontiera è stata aperta e si tratta di una frontiera importante». «Tentativi di trattamento dei disturbi post-traumatici da stress (anche se allora non si chiamavano così)», osserva Lavazza, «furono condotti dopo il primo conflitto mondiale: già allora era molto chiaro quanto i soldati potessero rimanere sconvolti dall’esperienza della guerra. All’epoca furono sviluppati protocolli basati su terapie psicologiche. L’idea di manipolazione chimica della memoria è molto più recente e si basa sull’ipotesi che è possibile rendere i ricordi dolorosi meno disturbanti o addirittura di rimuoverli».
Al filone di ricerca che privilegia la possibilità di diminuire l’intensità emotiva di un ricordo senza cancellarlo appartengono gli studi di Merel Kindt. La psicologa olandese e i suoi colleghi hanno usato il propranololo per alterare i cosiddetti processi di riconsolidamento di esperienze ad alta salienza emotiva, in una fase in cui i ricordi a esse associati sono particolarmente labili. Contrariamente a quanto si è creduto per molti anni, la memoria a lungo termine potrebbe infatti non essere immutabile nel tempo. «Oggi abbiamo prove», continua Lavazza, «che ogni qualvolta una traccia mnestica viene riattivata e portata alla consapevolezza, essa va incontro a un periodo di instabilità momentanea, durante la quale può essere rielaborata o modificata intervenendo opportunamente con molecole che interferiscono con i complessi processi neurobiologici implicati».
Lavazza è tra coloro che mettono in guardia dai facili entusiasmi. «Per prima cosa bisogna ricordare che le ricerche di Kindt sono fatte in laboratorio su pochi volontari e per il momento non sono previste applicazione mediche. Inoltre, non c’è accordo nella comunità scientifica sulla capacità da parte di molecole come il propranololo di attenuare davvero la portata emozionale dei brutti ricordi».
Tra le tecniche più attuali e promettenti finalizzate invece a rimuovere definitivamente eventi spiacevoli del passato e non a renderli semplicemente più innocui, si possono segnalare l’uso di gas anestetici o di farmaci che, bloccando alcuni gruppi di proteine, potrebbero indebolire le connessioni cerebrali che si instaurano in seguito a un trauma. Un esempio significativo di quest’approccio è descritto in un articolo pubblicato su “Science” nel 2010 frutto del lavoro di un gruppo di neuroscienziati guidati da Richard Huganir, codirettore del Brain Science Institute alla Johns Hopkins University.
La frontiera nei tentativi di cancellare o modificare la struttura dei ricordi traumatici è rappresentata dall’optogenetica, un metodo d’avanguardia in grado di attivare e disattivare specifici neuroni modificati geneticamente usando solo un impulso di luce. Tra le tante sue applicazioni, l’optogenetica consente di identificare gli specifici circuiti neurali coinvolti nei meccanismi alla base della paura cronica.
Anche gli stili di vita potrebbero infine avere un ruolo sulle modalità con cui processiamo i ricordi. Alcuni gruppi di ricerca stanno cercando di comprendere se intervenire su di essi possa produrre benefici terapeutici, come evidenziato in uno studio pubblicato sulla rivista “Cognitive Behaviour Therapy” nel 2014 in cui si mostrava che l’esercizio fisico riduceva i sintomi del disturbo post-traumatico da stress. Un altro campo d’intervento è legato al sonno, dato il suo ruolo fondamentale nell’apprendimento e nel consolidamento della memoria. L’efficacia di alcune tecniche psicoterapeutiche potrebbe ad esempio dipendere da quanto presto i pazienti si addormentano dopo il trattamento. La rimozione di paure condizionate da traumi passati avverrebbe poi più efficacemente al mattino rispetto al pomeriggio, suggerendo che potrebbero esserci dei momenti ottimali nel corso della giornata per sottoporre le persone a specifiche terapie per la rielaborazione di esperienze dolorose. Questi esempi rispecchiano fra l’altro una crescente collaborazione tra neuroscienze e psicologia sempre più auspicata da diversi addetti ai lavori.
Rimane da chiedersi se tutti questi sforzi siano accettabili sul piano etico. Secondo i critici, si corre il rischio di snaturare il concetto stesso di identità umana, basata essenzialmente sui ricordi, belli o brutti che siano. «Credo che nessuno scienziato abbia come suo obiettivo la cancellazione delle memorie», precisa Lavazza. «Lo scopo primario è comprendere meglio il funzionamento del cervello e cercare di alleviare il dolore di persone che soffrono per traumi legati a brutti ricordi. Le manipolazioni chimiche ci danno una possibilità insperata di dimenticare specifici momenti della nostra vita, pur con forti limiti, anche teorici, legati al fatto che i nostri ricordi più importanti sono fortemente intrecciati tra loro. Fino a poco tempo fa eravamo rassegnati al fatto che fosse impossibile manipolare la memoria, che di ricordare in un certo senso ci “capitasse”. Oggi cominciamo a capire che può non essere così».

“Pagina 99”, 25 giugno 2016

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