6.7.18

“Decreto Dignità, bisogna distinguere”. Una (discutibile) intervista a Stefano Fassina (Valerio Valentini)


L'intervista è degna di attenzione. L'invito a distinguere è certo utile, come è condivisibile l'aspirazione ad aprire contraddizioni nel fronte avversario; ma almeno altrettanto forte mi pare, da sinistra (e non dalle posizioni centriste di un Calenda o di un Renzi), l'esigenza di non far regali a un governo che sempre più marcatamente assume tratti di destra, di non lasciar passare l'idea che in esso vi sia del buono. Credo che - nello specifico del decreto dignità - la scelta giusta non stia nell'opporsi da posizioni liberiste e filopadronali come in sostanza fanno il Pd e Forza Italia, ma di svelarne il carattere meramente propagandistico denunciando l'assoluta insufficienza delle misure proposte per invertire davvero la tendenza, affermatasi negli ultimi trent'anni, a ridurre diritti, tutele e dignità del lavoro. Non mi trova dunque d'accordo il tono prevalente nelle dichiarazioni di Fassina, che è quello di un'apertura di credito – seppure parziale – verso le proclamazioni del ministro Di Maio.
Un po' più d'attenzione (non voglio pensare ad ignoranza) andrebbe peraltro richiesta anche all'intervistatore articolista. A Frattocchie non c'è mai stata una scuola del Pd. Nel secolo scorso non vi fu mai in Italia un Partito di questo nome. Fino al 1993, data della chiusura della storica scuola di partito del Pci, vi fu solo un Pdi (Partito democratico italiano) di qualche peso: fu questo il nome scelto e mantenuto per un paio d'anni, quando nel 1959 si riunificarono, dai monarchici di Covelli (PNM) e da quelli di Lauro (PMP). (S.L.L.)
Stefano Fassina
Roma. “C’era, ai tempi delle Frattocchie, l’analisi differenziata dell’avversario”. Ed è a quell’insegnamento che Stefano Fassina, deputato di LeU, classe 66, che la vecchia scuola del Pd ha fatto in tempo a frequentare prima della chiusura nel 1993, si rifà quando gli si chiede un giudizio sul governo grillo-leghista. “Bisogna distinguere”, dice.
«Bisogna fare un’opposizione differenziata, rinunciando a facili, liquidatori giudizi. Se la sinistra italiana si ostina a definire come fascista questo esecutivo, e dunque a schierarsi, come fa Calenda, a difesa degli interessi dei più forti formando un Fronte repubblicano, continuerà a perdere voti e consensi, continuerà ad essere vista come una forza delle élite lontana dal popolo e dalle periferie del disagio».
E dunque, se distinguere si deve, ecco che secondo Fassina “LeU dovrebbe sostenere il decreto dignità”. Quello, cioè, presentato ieri da Luigi di Maio con l’obiettivo dichiarato di contrastare il precariato.
«Mi sembra — osserva Fassina — che il decreto si muova nella giusta direzione, anche se su alcuni punti si può e si deve pretendere più coraggio. È sacrosanto, ad esempio, il contrasto contro la pubblicità al gioco d’azzardo. Ed è condivisibile pure l’introduzione delle multe alle aziende che, dopo avere ricevuto agevolazioni fiscali dallo stato, delocalizzano. Qui, però, bisognerebbe introdurre delle sanzioni per chi trasferisce la sede delle sue aziende all’estero, anche se non ha ricevuto aiuti”.
Positivo, ma perfettibile, anche l’approccio di Di Maio sulla riforma dei contratti a termine.
«L’intento è buono — riflette Fassina — ma i provvedimenti rischiano di essere controproducenti. Innanzitutto, la causale deve valere anche per il primo contratto: altrimenti al datore di lavoro converrà ogni volta cercarne uno nuovo, di lavoratore. Soprattutto in virtù del fatto che vengono introdotte le maggiorazioni sui rinnovi. Anche quelle vanno eliminate, altrimenti finiranno per disincentivare la prosecuzione del rapporto di lavoro. E dunque degli emendamenti dovremo farli”, spiega Fassina, “ma credo che dovremmo essere bendisposti, noi di LeU, verso questo decreto».
Anche a patto, quindi, di legittimare “da sinistra” un governo che, sulle questioni legate all’accoglienza e ai diritti civili sembra piuttosto orientato a destra?
«Ovvio che io non condivido quello che dice Matteo Salvini sui migranti, o Lorenzo Fontana sulla famiglia. Ma sulle questioni del lavoro, questo è un esecutivo che guarda indiscutibilmente a sinistra. Pertanto, se non riusciamo a discernere tra ciò che, nell’operato di questo esecutivo, è giusto, da ciò che invece giusto non è, alla fine regaleremo ulteriori fette di disagio sociale al Carroccio».
Per questo, quando sente Di Maio parlare della necessità di “smantellare il Jobs Act”, Fassina ammette di provare «soddisfazione, da un lato, ma soprattutto rabbia. La rabbia cioè, che nasce dal constatare che il Pd, cioè la parte politica da cui pure io provengo, ha aggravato terribilmente le condizioni dei lavoratori». Lo certificano, a giudizio del deputato di LeU, anche i dati odierni dell’Istat. Dati che, in verità, testimoniano di una disoccupazione ai minimi dal 2012.
«Ma ha ragione Di Maio — ribatte Fassina — quando dice che quei numeri certificano il record del precariato, non del lavoro».
Quanto al Pd, e alla tribolata transizione che sta vivendo, Fassina si stringe nelle spalle. Dice che non vede «alcuna seria novità all’orizzonte: solo riposizionamenti interni, senza alcuna presa di consapevolezza. E l’inspiegabile entusiasmo dei renziani di queste ore sta lì a dimostrarlo».

IL FOGLIO, 3 luglio 2018



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