7.7.18

San Francisco. Ferlinghetti a City lights (Beatrice Cassina)


Qualche volta succede che un artista, un poeta, un pensatore, riesca a fare una breccia nel muro. Qualcuno dirà che quell’apertura è un pericoloso attentato alla solidità dello status quo. Qualcun altro, incuriosito, sbircerà, un po’ perplesso, al di là del muro, per scoprire qualcosa di nuovo e forse affascinante. E qualcun altro ancora, invece, sarà solo tanto felice di trovare quell’apertura verso le nuove prospettive che stava aspettando da tempo.
Ecco, uno di questi poeti, vive a San Francisco, ha compiuto 96 anni lo scorso marzo, e si chiama Lawrence Ferlighetti. Sì, forse lo conosciamo un po’ tutti, fosse anche solo per il fatto che il suo nome è stato da subito legato alla controcultura della Beat Generation, ad Allen Ginsberg, al suo Urlo (Flowl). E anche al processo a suo carico del 1956, proprio per aver pubblicato le ‘oscenità’ contenute negli scritti di Ginsberg.
Dopo un master in letteratura inglese alla Columbia University e un dottorato alla Sorbona, era arrivato a San Francisco dove aveva incontrato, per caso, dice da sempre, Peter D. Martin, che al tempo pubblicava una piccola rivista molto politicizzata. Insieme, nel 1953, avevano aperto la microscopica libreria City Lights. All’inizio esisteva solo nel primo piccolo locale, più o meno di pianta triangolare, quello che oggi rappresenta solo l’ingresso del negozio al 261 di Columbus Avenue. Solo 500 dollari a testa e, Lawrence e Peter, erano riusciti a dare vita a un negozio che, ancora oggi, possiede una forza simile a quella di luoghi magici, e che ha resistito a Internet, Amazon, e grandi catene come Barnes and Nobeles. E oggi gode ancora di ottima salute. Diventato pacifista e tornato a casa, Ferlighetti aveva intuito come gli fosse stato insegnato a pensare secondo le convenzioni ma, grazie probabilmente anche agli anni passati in Europa e Francia, era molto cambiato e molto aperto al nuovo. Quel nuovo che però, nell’America degli anni ’50, non era visto di buon occhio. «Laurence e Peter avevano aperto il negozio perché volevano un posto dove gli scrittori potessero incontrarsi», ci racconta Elaine Katzenberger, collaboratrice di Ferlinghetti da più di trent’anni e direttore esecutivo della libreria, che ci riceve in una piccola stanza proprio sopra il negozio. «A quel tempo poi», continua Elaine, «i libri erano quasi tutti in edizioni rilegate, ogni tipo di pubblicazione era sempre e solo in ‘hard copy’ ma, la comparsa del paperback, dei tascabili, era stata davvero una rivoluzione. Soprattutto perché costavano molto meno, all’epoca 50 centesimi». Non era semplice avere letteratura di qualità in quegli anni, perché le edizioni in paperback erano generalmente vendute nelle edicole mentre le librerie avevano canoni molto rigidi. Qui era cominciata allora la vita rivoluzionaria del poeta, del pittore, dell’attivista Lawrence, insieme a quella di una microlibreria.
«Nell’America del dopoguerra, i soldati di rientro dal fronte avevano il diritto di andare al College, quindi la cultura era accessibile a una parte più grande della popolazione. Ma, anche a San Francisco, le librerie erano solo a downtown, ed erano aperte solo durante le ore lavorative dei business man. Se volevi andare in libreria in altre ore, era tutto chiuso». Erano tutti piccoli, invisibili, ma importantissimi segnali di un disagio verso quello che continuava a rimanere fermo, forse per abitudine. «Non esisteva nessuna libreria che potesse rimanere aperta al di fuori dei soliti orari e, Lawrence e gli altri scrittori e poeti, non si sentivano mai benvenuti in quelle librerie. Erano posti in cui non eri incoraggiato a sederti e a leggere. Nonostante tutto», racconta Elaine con un sorriso luminoso, «avevano avuto la ‘semplice idea’ di creare un ambiente per la grande comunità di scrittori e artisti nel periodo di grande rinascita di San Francisco». Non c’era un posto dove i poeti si potessero sentire a proprio agio? No? Perfetto, e allora quel posto l’avevano pensato Lawrence e Peter. «Qui tutti avrebbero potuto incontrarsi, raccontarsi idee e progetti, con libri e riviste sempre disponibili». Quel triangolino di entrata, pieno di libri in paperback e quindi economici, aveva cominciato a diventare una vera idea per la democratizzazione della cultura. I libri erano diventati qualcosa che sempre più gente poteva avere. «La missione di City Lights era, ed è ancora oggi, questa idea utopica di trasformare la società, creando un posto che avrebbe reso disponibili idee a tutti, in un ambiente amichevole, e dove ti saresti sentito sempre il benvenuto». Questi libri parlavano alla gente comune di quello che succedeva intorno a loro, e spesso allora la gente cominciava a vedere sotto una nuova luce cose da sempre accettate. Due anni dopo l’apertura della libreria, esattamente sessantanni fa, nel 1955, veniva aperta City Lights casa editrice. Sempre piccola, sempre coraggiosa e che, a quel punto, si sarebbe occupata di questioni politiche e sociali. «L’impeto iniziale della casa editrice è stato, come quello del negozio, il proposito che libri e idee sarebbero stati molto più accessibili a tutti, anche perché finalmente in edizione economica». Ed è rimasto ancora, più o meno, tutto così. C’è stato poi il periodo in cui tutti credevano che internet avrebbe sostituito le librerie. «Ma alla fine ho sempre creduto che fosse molta propaganda da parte di chi possedeva questa tecnologia, per convincere la gente che il libro era vecchio e questo invece era il nuovo che arrivava e che avrebbe vinto. Certo, quando c’è una sola compagnia che controlla tutto il mercato di e-books, non è una situazione troppo sana, per le case editrici, per i negozi, e anche per i lettori. Sì, c’è stato un momento in cui tutti ci siamo sentiti minacciati...».
Ma pare proprio che il potere della tecnologia non abbia vinto ed entrare in una libreria, resta ancora un’esperienza unica. «Entrare a City Lights è davvero entrare in un negozio per cercare, guardare, anche trovare qualcosa di nuovo che non stavamo cercando, conoscere qualcuno che può suggerirci qualcosa di interessante da leggere. Questa è la vera esperienza di essere un lettore. È molto diverso se sai esattamente quello che vuoi, vai Online, dicchi e compri in pochi minuti. Va bene anche quello, ma è molto diverso». E, con una risata aperta e divertita, aggiunge «Insomma, non vendiamo aspirine qui. Queste sono idee, è cultura, e qui ci sono cose da scoprire». Molte librerie, anche quelle di grandi catene, hanno chiuso, molte altre stanno chiudendo. «E forse qui è anche per gli affitti. Stanno cercando di cacciar fuori tutti a San Francisco, i proprietari vogliono chiudere le librerie per poi riaffittare e chiedere quattro volte tanto. La Bay Area ha sempre avuto una grande cultura di librerie indipendenti. Barnes and Nobles e Borders non hanno mai attecchito troppo e oggi, per fortuna, c’è davvero una specie di ‘rinascimento’ delle librerie indipendenti, un po’ dappertutto. Alcune, piccole, stanno nascendo in tutto il paese, dopo il successo delle catene e poi di Amazon, che ha creato molti problemi a tanti piccoli imprenditori. Ma ora c’è una buona ripresa».
I libri sugli scaffali nelle sale di City Lights non sono sempre di politica, ma sicuramente di quello che la gente ha bisogno di sentire per essere stimolata a farsi domande. «Credo la gente qui voglia un’esperienza diversa. Forse in scala ridotta, ma sta succedendo e qui si pubblica cultura progressista, con l’idea di consegnare al lettore gli strumenti necessari per capire il mondo. Pubblichiamo molto su studi culturali, poesia, su tutto quello che ha un messaggio sociale e politico, sul pensiero critico, su idee a cui non siamo abituati. Questo è il vero intento. Non è solo un’idea politica, ma anche un’idea estetica. Lawrence è soprattutto un poeta. La missione resta sempre la stessa: stimolare il pensiero e la critica. Quindi sì, forse stiamo facendo un lavoro rivoluzionario da sempre».
E oggi, arrivati nel XXI secolo, dove sta la controcultura, senza hippies e senza Beat Generation? «È molto simile agli anni ’50 e ’60, quando c’era una cultura molto repressiva e conformista. Abbiamo visto passare negli anni hippies, punk, tutti i tipi di persone che vivono ai margini. Ma ancora viviamo negli Stati Uniti, con una cultura capitalistica spropositata. Se hai un atteggiamento bohémien, oggi è quasi impossibile spostarsi a San Francisco. Negli Stati Uniti, il tipo di debiti che ogni ragazzo deve affrontare per avere un livello di istruzione universitaria, è davvero pesante. Entri così in una specie di macina che non si ferma più perché, appena sei laureato, devi cercare subito un lavoro per ripagare i debiti. Quindi si creano solo lavoratori che non possono apprezzare la propria vita, e la controcultura è ancora più sotto attacco. Non direttamente, ma sicuramente economicamente. Oggi, se non vuoi essere qualcuno che vive solo nel mondo del business, ma cerchi invece una vita diversa, no, adesso non puoi più permettertelo. Perciò City Lights diventa ancora più importante, anche solo per il fatto che ti fa vedere che ci sono altri modi di vivere ed essere. Spesso la gente non crede di avere più una voce che conta, perché questa è una società molto militarizzata, e la destra americana continua ad essere molto conservatrice. È quindi ancora più vero che, posti come questo, sono importanti come alternativa».
La gente arriva a City Lights da tutte le parti del mondo. E perché vogliono venire qui? «Per quello che siamo, per quello per cui abbiamo sempre lottato, forse per molti motivi diversi, ma in generale perché City Lights è sempre stata vista come un posto di integrità morale, che ha un atteggiamento politico progressista, che ha sempre mantenuto una posizione contro i poteri forti, perché è un’ottima libreria, ed è sempre stato un luogo per incontrare scrittori, poeti, gente con idee. Quando Vàclav Havel era uscito di prigione ed era diventato presidente della repubblica Ceca, una delle prime cose che ha fatto è stata venire qui. City Lights ha un significato per tante persone. Per le cose che ha fatto Lawrence, e per quello che abbiamo sempre pubblicato e che ha sempre avuto un grande valore. È una libreria, un posto che non si è venduto al capitalismo. Insomma, siamo un posto che ha una vita, una missione, e abbiamo moltissimi contatti con artisti, poeti, scrittori, movimenti... Credo che sia tutto questo, che porta la gente fin qui. Molti sentono questo posto come la propria casa, e tanti sono felici anche solo che esista. C’è una forte connessione con questo posto, è tutto molto speciale, e qualcuno qui non è neanche mai arrivato. Un ragazzo tedesco della Germania dell’est, dopo la caduta del muro, era arrivato fin qui e ci aveva raccontato che, anche dalla Germania dell’est, pensava a City Lights come qualcosa che gli dava coraggio. O forse è solo un posto magico, forse è ‘serendipity’ pura, forse è solo il fatto che ci sia Ferlinghetti, che è sicuramente una persona che... chissà come, è sempre stato nel posto giusto al momento giusto, con un gran cuore, e che è sempre stato in grado di fare accadere grandi cose intorno a sé. Chi lo sa? qualcuno lo chiama karma, e sicuramente quello di Lawrence è grande. È sempre stato pronto ad avventure, a prendere rischi. È un poeta, ha un atteggiamento da poeta, e ha una mente da poeta».
Il poeta oggi, a novantasei anni, dopo essere stato perseguitato in passato da una specie di inquisizione conformista e conservatrice, è uscito con un nuovo libro: Writing across the landscape; Travet Joumals 1960-2010 (Scritti attraverso il paesaggio; Diari di Viaggio 1960-2010), pubblicato da Liveright. Ci accompagna nei suoi tanti viaggi, dal Messico al Marocco, lungo la transiberiana, e lungo ricordi in cui ci presenta incontri con i grandi della letteratura, come Pablo Neruda, Ezra Pound, e il suo grande amico George Whitman, nella sua famosa libreria di Parigi Shakespeare and Company. Oggi Ferlinghetti si dispiace di vedere tante persone ipnotizzate dagli smartphone e, in un’intervista a Publishers Weekly, ha dichiarato «è sorprendente quanto poco la gente osservi quello che ha intorno». E anche preoccupato del destino di grandi scrittori, come Henry Miller o D.H. Lawrence. «Chi li legge oggi? Sono figure importanti, e nessuno se ne cura più». Il suo temperamento non è cambiato e, rispetto all’età che avanza, ha detto semplicemente: «Sto diventando più incisivo. So che con l’età si diventa più conservatori. Sembra. Ma io sono diventato più radicale».

“Alias il manifesto” 16 gennaio 2016

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