26.7.18

Praga la maga. La fedeltà a se stesso di Angelo Maria Ripellino (Cesare Cases)

Praga 1989
Dai “Quaderni piacentini” riprendo la prima parte della recensione a un libro splendido, a un capolavoro da (ri)leggere, che è anche ritratto di un grande studioso, poeta e scrittore, ingiustamente caduto nell'oblio. (S.L.L.)

Angelo Maria Ripellino
Libro ultrapremiato, Praga magica di Angelo Maria Ripellino (Einaudi 1973, L. 6.000). Si avrebbe voglia di battere le mani anche noi. Perché da premiare non erano soltanto lo studioso e il sia pur troppo prezioso scrittore Ripellino, ma anche l’uomo, la sua tenacia, la sua coerenza, la fedeltà a se stesso. Quando tutti flirtavano con il marxismo, leggevano la Fenomenologia, invocavano la società e la storia, esortavano al realismo, nuotavano nell’impegno, egli non si spacciava se non per quel che era: un entusiasta della poesia e dell’arte, un onnivoro lettore di opere d’avanguardia, un collezionista di metafore vertiginose. La rivoluzione russa era per lui anzitutto una rivoluzione poetica, teatrale, scenografica, e Stalin colui che l’aveva schiacciata.
Questa posizione è in lui del tutto autentica, aliena dalle teorizzazioni. Se gli piace Sklovskij è perché apparteneva a un gruppo intellettuale prestigioso, non perché Ripellino sia strutturalista. Se gli piacciono le magie e i miti, è perché sono trasmutazioni, metafore, maschere, non perché abbia particolarmente in odio la ragione. Il suo stesso saltabeccare, la capacità di afferrare e unificare ciò che vi è di più disparato ed eteroclito, il bric-à-brac della storia e della cultura, non hanno niente di programmato e di ideologico, ma sono manifestazioni della sua natura, fenomeni di vulcanismo siciliano sia pure raffreddato dal gusto araldico della scuola romana, che trasforma in degustazioni letterarie anche la morte, la carne e il diavolo. Non mai abbastanza, peraltro, perché sotto le degustazioni non traspaia un soggetto senziente e sofferente, che l’istinto di rivolta lascia coinvolgere suo malgrado in zone politiche, in modo magari irriflesso, ma sempre preferibile allo snobismo apolitico di molti suoi fratelli in ispirito.
In Praga Ripellino ha trovato un oggetto altrettanto prezioso, sensibile e sofferente, sicché anche lui talvolta non sa più se parla della città o di se stesso. In effetti, è la città medesima ad acquisire le caratteristiche di un soggetto trascendentale che parla per mille pietre, immagini e libri. Questo soggetto trascendentale è una proiezione e un potenziamento collettivo del soggetto empirico che appare ad esempio nella concezione dello concezione dello scrittore sottesa alla critica di Citati, di cui conserva le due connotazioni principali: l’onnipotenza e l'irresponsabilità. E una sorta di Golem che agisce irresistibilmente e la cui fine può sopraggiungere solo dall’esterno. Per questa ragione tale soggetto può essere ubicato solo in zone topografiche o cronologiche che hanno cessato di essere, anzi che spesso —— come la Mitteleuropa oggi tanto di moda — diventano visibili e quindi cominciano ad esistere solo quando sono finite. Recentemente, in uno scritto autobiografico, Ladislao Mittner ricordava spiritosamente che solo l’avvento della nozione di Mitteleuropa ha posto fine all’imbarazzo in cui si trovava quando doveva rispondere di che nazionalità fosse, lui che partecipava di quattro: ora poteva rispondere di essere mitteleuropeo. Il soggetto trascendentale sarà quindi, oltre alla Mitteleuropa scomparsa tra la prima e la seconda guerra mondiale, l’intellighenzia ebraica massacrata da Hitler, o il teatro russo pre- e postrivoluzionario, distrutto da Stalin, ovvero Praga, soffocata dagli stivali russi del 1968 che riappaiono continuamente in questo libro. E la legge per cui il fondamento ontologico di tali soggetti mitici sta nella loro fine fa sì che Ripellino sia costretto a vedere nell’intervento russo una cesura molto più apocalittica di quanto non ci auguriamo che sia, anche perché in seguito ai suoi coraggiosi articoli di allora egli non può più tornare a Praga, e si sa che i Golem crollano quando i loro creatori non possono più insufflar loro la parola vivificatrice. Ciò è solo apparentemente in contrasto con l’acronia propria di questo come di ogni mito. Nel libro si salta magari nella stessa pagina dalla Praga di Rodolfo il a quella dell’inizio del secolo, dal Golem di Rabbi Lòw ai robot di Capek, dalle magie di John Dee e dello Scotto agli happenings di Hasek, dai quadri dell Arcimboldo ai collages di Hoffmeister, dal carnefice Mvdlàr al Bruciacadaveri di Ladislav Fuks, uno dei tanti libri che Ripellino ha avuto il merito di farci conoscere. Poiché egli domina con invidiabile e pressoché unica competenza sia il versante ceco che quello tedesco della letteratura praghese, quindi anche il divario linguistico non importa per lui un ostacolo all’unicità e alla contemporaneità assoluta del mito. Ma unità e contemporaneità emergono nel ricordo, nella nostalgia, poiché il mondo è divenuto indegno del mito. Questo sopravvive solo come spettro. Se Praga era un fantasma perfettamente incarnato nella città di questo nome, ora gli stivali russi hanno separato le due componenti che coesistono e convivono senza identificarsi: la città morta e le fantasime che la abitavano e che tornano come puri revenants ai luoghi che frequentavano di diritto.

Quaderni piacentini, n.52, giugno 1974

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