11.9.18

Crisi dei valori? Perbacco non me n’ero accorto! (Umberto Eco, 1979)

Alla vigilia del XV Congresso del Pci, che nel 1979 sancì la fine del “compromesso storico” e della “solidarietà nazionale” ed il lancio, seppure prudente, di una nuova proposta politica. “l'alternativa democratica”, la Federazione giovanile comunista, al tempo guidata da Massimo D'Alema, come contributo al dibattito, pubblicò un corposo supplemento del suo mensile “La città futura”, diretto da Ferdinando Adornato, dal titolo La questione giovanile negli anni '70.
La parte più ghiotta dell'inserto mi pare oggi quella meno immediatamente politica, dedicata alla cosiddetta “crisi di valori”. Ad un numeroso gruppo di intellettuali fu infatti inviato il seguente questionario, a maglie assai larghe: “Oggi si parla molto di crisi dei valori. È un "discorso che ha significato, e, soprattuto, un significato progressivo? Si dovrebbero realizzare nuovi valori o mutare la gerarchia dei vecchi? Oppure bisogna rinunciare ormai ad essi? Perché, nell'odierno dibattito culturale, si assiste, spesso a una contrapposizione tra chi parla in termini di valori e chi in termini di bisogni e desideri? È una contraddizione reale, e, se è così, è storica o invece perenne?”
Il giornale proponeva “l’analisi di un valore in particolare, della sua funzione pratica passata e presente, della necessità che esso venga oggi riattualizzato, o superato”. Risposero tra gli altri Remo Bodei, Massimo Cacciari, Franco Rodano, Oscar Negt, Nadia Fusini, Umberto Cerroni, Lucio Villari. Gli interventi più interessanti mi sembrano in ogni caso quello, ottimista e costruttivo, di Lucio Lombardo Radice e quello, problematico e un po' dissacratore di Umberto Eco, che qui posto. (S.L.L.)


Francamente trovo le vostre domande abbastanza stupefacenti.
Dite: « Oggi si parla molto di crisi dei valori ».
Perbacco. A sfogliare i manuali di storia di filosofia contemporanea avevo l'impressione che se ne parlasse molto di più ieri. Per dire, Nieztsche, Freud, Spengler... Ma a parte questo. Per parlare di crisi dei valori occorre ritenere che esistano dei valori stabili, universali o eterni che il mondo contemporaneo mette o ha messo a repentaglio. E quindi vedrei con favore Comunione e Liberazione preoccuparsi di crisi dei valori e al massimo cercherei di tranquillizzarli («non è vero che Dio è morto, ha solo un male incurabile»). Ma in che senso può interrogarsi sulla crisi dei valori un giornale che si rifà a una filosofia della trasformazione storica dell’uomo, per cui i valori sono sempre in crisi (per fortuna), sempre oggetto di discussione. Naturalmente anche di ricostruzione, ma proprio per essere commisurati a situazioni diverse, e a quello sfondo profondamente «religioso» di valori naturali, respirare, mangiare, riprodursi, accoppiarsi, dormire, espellere, esprimersi mediante segni.
Su questo sfondo nascono e tramontano, che so, i valori della rivoluzione culturale cinese o della American Way of Life, e un pensiero veramente laico non entra in crisi al tramonto di questi o di altri valori, perché è esercitato appunto alla crisi permanente dei valori.
Alla luce di queste osservazioni non contrapporrei né i valori ai bisogni (vedi sopra), né i valori ai desideri, il Desiderio profilandosi in questo scorcio di secolo come un valore (sta poi a noi discutere fino a qual punto sia definibile e da anteporre ad altri valori). Alla luce di queste osservazioni, la comunicazione (su cui mi interrogate) non mi pare un valore. È un processo continuo, nel corso del quale si definiscono appunto i valori. La comunicazione passa attraverso il gioco storico dei valori. In altri termini, il simbolico passa trasversalmente tra natura e cultura e definisce entrambi per quello che valgono.
A questo punto giustifico il mio stupore iniziale; come mai questa preoccupazione per la crisi dei valori?
Come mai questa tematica che vent’anni fa la cultura marxista ufficiale avrebbe definito come «borghese»? Non mi piaceva il rigore di allora, e ne sono stato sovente vittima, ma non mi piace neppure l’indulgente pluralismo di adesso, lo dico fuori dai tempi (e fuori dai ranghi).

1 commento:

  1. Un silence pesant régnait sur toute la maison.

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