È appena uscito per
Guanda La magia in azione, un
libro in cui Antonio Skármeta, l'autore del Postino di
Neruda, da cui fu tratto
l'ultimo bellissimo film di Massimo Troisi, racconta il grande poeta
cileno e al racconto lega una originale, personalissima antologia
della sua opera. Libro da narratore più che da critico, leggero,
scorrevole, pieno di aneddoti e acute intuizioni. Ho qui ripreso una
paginetta delle prime, che mi ha commosso. Non è difficile intuire
perché. (S.L.L.)
Pablo Neruda |
Quando pubblicai il mio
primo libro con il titolo El entusiasmo (ottimismo che i miei
lettori comprenderanno se giuro che all’epoca ero giovane, magro e
avevo ancora tutti i capelli in testa) corsi a casa di Neruda a Isla
Negra per strappargli un giudizio, e magari anche un incoraggiamento.
Spronai la mia veloce Due
Cavalli e arrivai con il libro che mi palpitava tra le dita. Neruda
se lo rigirò tra le mani dandogli un’occhiata, lo sfogliò
annoiato e tirandosi su i pantaloni mi disse: «Bene, ragazzo. Nel
giro di due mesi ti farò sapere cosa ne penso».
Due settimane dopo feci
suonare a distesa tutte le campane di Isla Negra.
Il poeta aprì, e quello
che segue fu il nostro dialogo.
«Poeta, sono io.»
«Lo vedo.»
«L’ha letto?»
«Sì.»
«E cosa gliene pare?»
Neruda levò gli occhi
verso alcuni uccelli migratori, sicuramente desideroso di spiccare il
volo insieme a loro.
«È buono» disse.
Antonio Skármeta |
Venni assalito dal pudore
e dall’orgoglio. Il poeta Pablo Neruda trovava buono il mio libro.
Dovetti ancorarmi coi piedi per terra per non cominciare a levitare.
«Tuttavia» aggiunse
abbassando bruscamente lo sguardo sulla mia fronte, «ciò non
significa niente, perché tutte le opere prime degli scrittori cileni
sono buone.» Fece una pausa teatrale. «Meglio aspettare la seconda
prova.»
Anni dopo, il mio
rapporto con Neruda - in seguito a varie peripezie di natura
sentimentale e picaresca in cui lo ebbi come padrino e incredulo
testimone - divenne più concreto.
Intorno al 1969 venne
candidato alla presidenza della Repubblica e io ebbi occasione di
vederlo durante la campagna elettorale in un umile paesino nei
dintorni di Santiago. Aveva piovuto e le quasi duecento persone
venute ad ascoltare il suo discorso avevano i piedi che sprofondavano
nel fango. Era gente poverissima, e di sicuro la loro condizione non
gli aveva consentito di andare oltre i primi anni di scuola
elementare. Il poeta terminò controvoglia il suo discorso e si
accingeva a scendere dal palchetto di legno quando la gente glielo
impedì gridando: «Poesie, poesie, vogliamo poesie». Neruda si fece
pregare solo un minuto e poi prese di tasca un libro.
La scena di queste
duecento persone, intirizzite dal freddo, che probabilmente non
avevano ancora mangiato niente e che chiedevano «poesie» e ancora
«poesie», mi si è impressa fortemente nella memoria e ho deciso
che non l’avrei mai dimenticata. Forse questa è un’altra delle
modeste ragioni che mi hanno spinto a scrivere Il postino di
Neruda.
Il poeta morì nel 1973,
dieci giorni dopo il golpe militare che costò la vita a Salvador
Allende e privò per molti anni il Cile della libertà. Per una
dolorosa coincidenza il poeta e la democrazia morivano insieme. Era
quasi una metafora quella che la storia mi offriva. Decisi di
raccoglierla con devozione.
da Skármeta – Neruda, La
magia in azione, Guanda 2018
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