6.10.18

Nella Parigi dove Manzoni incontrò Dio (Francesco Merlo)

Parigi. La Chiesa di San Rocco oggi

[…] Manzoni incontrò Dio sugli stessi boulevard dove gli artisti incontravano il piacere sensuale e dove oggi non si incontra né il cielo né la terra. Chi oggi si ostina a passeggiarvi trova solo quello spaesamento urbano che a Parigi descrisse per primo Baudelaire. La casa del Manzoni stava nel tratto più elegante del boulevard des Italiens, nel piccolo universo degli incontri, dei fiocchi svolazzanti, delle esibizioni dell' equilibrista madame Saqui su una corda tesa tra due balconi.
Oggi quella Parigi è altrove, si sposta qua e là: Parigi ambulante tra «gli ambulanti che soffriggono musica» direbbe Paolo Conte. Dunque è persino difficile immaginare la casa che si affacciava sul mercatino della frutta, dal quale si alzava una nuvola di mosche e moscerini, e sul Bains Chinois, strana costruzione a pagoda ritratta nelle stampe d'epoca, sede di un bagno e di un caffè di grandissima reputazione, quasi quanto il caffè Godet, dove anche Manzoni sedeva alla ricerca di una identità non solo letteraria. Quei "salotti" sul boulevard inauguravano il modello ideale dei caffè che sono ancora le vere piazze di Parigi, mondi aperti ma gerarchizzati, raffinati e simbolici, come vorrebbe ancora essere, dall' altra parte della Senna, il famoso Flore, nel quale, diceva Italo Calvino, «servono il più costoso uovo fritto di Parigi».
Da tempo il boulevard non è più quel campo di battaglia degli scrittori e delle cortigiane dove una sera del 1842 Stendhal, rimpinzato di carne e di vino, cadde a terra morto stecchito, lo Stendhal "milanese" e italianista che dei Promessi Sposi aveva detto: «Un libro veramente troppo lodato. Senza dubbio Tommaso Grossi è migliore scrittore, o almeno ha più ingegno». Manzonianamente, col senno di poi: «Tommaso Grossi, chi era costui?». Manzoni vi abitò con la moglie Enrichetta e con la madre proprio nell'anno della conversione. In quella casa nacque sua figlia, per mano di una levatrice, perché il parto era faccenda di donne. Persino Kant aveva notato che il «vero parto» avveniva solo con l'intervento del padre: la denunzia anagrafica. Manzoni scelse il nome Giulia, quello di "maman". Per un altro conformismo, divenuto anch'esso tipicamente italiano, Manzoni volle il battesimo cattolico, imponendolo sia a se stesso, che (ancora) non credeva, sia alla moglie calvinista. E fu lui a scegliere la chiesa di san Nicola a Meulan, dov'era stato celebrato il funerale del compagno della madre, Carlo Imbonati: strana cerimonia cattolica con il padre (ancora) "libertino", la nonna che ripensava al suo Carlo, la mamma che avrebbe voluto un altro rito, e il padrino Charles Fauriel a recitare un Credo al quale non avrebbe mai creduto. La chiesa è ancora lì, isolata nella campagna, persino più bizzarra di allora, in una Parigi a 50 chilometri da Parigi. Chi oggi si mette a passeggiare seguendo l' itinerario manzoniano non ha guide, e deve andare per accenni... I luoghi manzoniani sono infatti più ideali che reali e non soltanto perché, nella immensa bibliografia, nessuno ha tracciato, quando ancora si poteva, la mappa completa della Parigi manzoniana che, a sua volta, è un altro mito fondativo di un'Italia che poi si fece mentre Parigi si disfece.
La verità è che il Manzoni parigino è solo una vaghezza culturale, un linea dritta di astrazione che va dalla Madeleine alla Bastiglia, lungo la rue Saint Honoré, oggi linea dello shopping. Sappiamo che ventenne, balbuziente e non ancora consapevolmente malato di nervi, Manzoni passava molto tempo in una libreria italiana e la madre lo prendeva in giro perché la proprietaria, la signora Fayalle - diceva - «non è certo un'amante adatta a mio figlio». La libreria si trovava al 244 di rue Saint Honoré, un numero civico che non esiste più. E non c'è più neppure l'appartamento che madre e figlio vi presero in affitto, sentendosi insieme «quasi in paradiso». Nella rue Saint Honoré è rimasta solo san Rocco, la chiesa di quel miracolo che è il solo avvenimento sul quale si è molto lavorato e speculato. Il 2 aprile 1810, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Napoleone e Maria Luisa, spaventato dai fuochi d' artificio, pigiato nella calca dove aveva perso la moglie, Manzoni sarebbe stato colto dalla sua prima crisi convulsiva e, nel tentativo di correre a casa, si sarebbe rifugiato in san Rocco mentre i monaci cantavano «O mio Dio, se tu esisti, rivelati a me...».
Oggi in questa chiesa, che pure ha inaugurato, come nostra identità, la nevropatia miracolistica, non c' è che una lapide distratta. Sui gradini riposano i turisti e, alla fine, esplorando la storia di san Rocco, risulta più evocativa la celebrazione del matrimonio del marchese de Sade. La verita è che lo stesso Manzoni inaugurò il "grattage" della Parigi libertina dalla propria vita. E il grattage del passato è un altro fondamento del carattere degli italiani che poi scoprirono l'antifascismo nel fascismo, il comunismo nel corporativismo, il liberalismo nell'estremismo del sessantotto... Così alla fine viene ricordato come luogo tipicamente manzoniano solo l'ultima casa, in rue de Seine, dove la famiglia, ormai numerosa, abitò per alcuni mesi nel 1818, tredici anni dopo il primo viaggio a Parigi, quello da "libertino".
Manzoni, già devotissimo, rimase a letto malato per quaranta giorni disturbati dai rumori del mercato, che, bellissimo, è ancora lì. Il quartiere è oggi quello del post esistenzialismo ma con una presenza ancora forte e discreta di boutique di liturgia, madonne e santi in vetrina, sartorie di abiti talari, librerie religiose tra le due grandi chiese, Saint Sulpice, e soprattutto Saint Severin dove Enrichetta pronunziò l'abiura, che è un altro paradigma italiano. Oggi Saint Severin, una delle più antiche e belle chiese di Francia, è circondata da ristoranti greci, pessimi già all'aspetto. Di fronte, chiusa da una porta di legno, c'è ancora la stradina più stretta del mondo, l'impasse Eliane-Divron, il cul-de-sac che spinse Voltaire a imporre il nome impasse a tutti i cul-de-sac di Parigi: «Chiamo impasse quel che voi chiamate cul-de-sac. Trovo che una strada non somiglia né a un culo né a un sacco. Vi prego dunque di servirvi della parola impasse che è nobile, sonora, intelligente, necessaria». Manzoni si divideva tra Saint Severin e Saint Sulpice, la cui facciata è ancora oggi sapientemente "grattata": durante la rivoluzione fecero sparire la croce, il triangolo, la barba di Dio... Dentro, anche Manzoni rimase stupito dallo strano gnomo, ora reso famoso dal Codice da Vinci. Oggi c' è un cartello severo che mette in guardia dalle «suggestioni pagane di un pessimo romanzo di successo». Ma di sicuro il bizzarro gnomo astrologico che sta tra due altari non è un simbolo cattolico. Anche questo dunque è grattage. Lo stesso che spinse Manzoni a consegnare al canonico Tosi le preziose Oeuvres di Voltaire, cento volumi con dedica originale dell'autore. Alla morte del Tosi furono trovati solo i cartoni. Oggi, dimesso e modesto, al 66 di rue de Seine c' è l'hotel Welcome, due stelle: 96 euro per una doppia, dove forse ha dormito Manzoni. Settanta la singola. Almeno cinquecento euro costa invece la camera all' Hotel Vendôme, dentro il quale è inglobato il primo appartamento parigino di Manzoni. Il permesso di soggiorno è datato 12 luglio 1805, ma è probabile che Alessandro sia arrivato in una sera di giugno e che dunque abbia fatto in tempo ad abitare nella casa che la madre aveva condiviso con Carlo Imbonati al numero 3 della piazza ottagonale che è più o meno come allora, se si esclude la torre che, proprio in quei giorni, gli operai cominciavano a costruire. Dormì dunque in una stanza col soffitto ricco di fregi a corona, le tende di percalle, sentendo gli operai che lavoravano al gabbione e il gracchiare di un pappagallo al quale un vicino di casa, un mutilato di guerra senza un braccio, cercava inutilmente di insegnare la Marsigliese. Oggi in quella città-cantiere che Napoleone voleva rendere «la più bella e la più libera del mondo» non è rimasta alcuna traccia biografica dei libertinaggio di un ragazzo che pure a Milano aveva avuto l'educazione sentimentale tipica di un allievo del collegio religioso, «il sozzo ovile», mettendo incinta bimba la cameriera della cugina, e beccandosi pure la comunissima «grave ciprigna» che allora si curava con impacchi di seme di lino, dieta di pane, beveraggi di camomilla, lunghi giorni di letto. A Parigi invece la sua vita sarebbe stata libertina ma casta, a meno di non immaginarlo sotto i portici del Palais Royal, dove oggi si aprono ristoranti e negozi di antiquari tra cui un famoso rivenditore di pipe, mentre allora c'era il bordello regolamentato, cellula di quel French System sotto controllo dell' ufficiale medico e sotto stretta sorveglianza delle tenutarie, che per circa due secoli si sarebbe imposto come modello sessuale in tutta Europa. La diligenza che veniva da Milano passando per Digione lasciò Alessandro in place de la Concorde che era un luogo sinistro, un grande slargo di terriccio e di erbacce degradante verso la Senna. Per molti anni vi era rimasta, sia pure inoperosa, la ghigliottina che aveva giustiziato anche il re. I soldati avevano coperto di pietre e calce le pozze di sangue, ma c' era ancora, fortissimo, il cattivo odore. Anche oggi la Concorde non riesce a diventare né bella né piazza, forse perché è aperta da tre lati. Il traffico, intenso e disordinato, la rende uno dei luoghi urbani più pericolosi del mondo. E, nonostante lo spazio, vi domina di nuovo il cattivo odore, quello dei gas di scappamento.
Rimane dunque inesplorato il libertinaggio del Manzoni che sarebbe stato solo "culturale". E infatti i luoghi della città dove gli parve che più ardesse il libero pensiero furono... le colline. I famosi Idéologues vi si erano rifugiati, marcando così anche geograficamente il proprio disilluso distacco dal regime e dalla napoleonica capitale del mondo. Come il Candide di Voltaire avevano concluso che «bisogna coltivare il proprio giardino». Napoleone li chiamava con sarcasmo les boudeurs d'Auteuil, gli imbronciati di Auteuil. Oggi quelle colline sono diventate residenza privilegiata delle ricche famiglie inglesi e americane: molti figli, molti cani, molte jeep, molto canottaggio. Auteuil, nome che Manzoni avrebbe voluto dare alla villa di Brusuglio, è addirittura un quartiere dentro Parigi, ha conservato la struttura urbana del villaggio, ed è bello e vivace sul modello di Saint Germain. Ma non c' è più la casa dove la vedova Helvetius teneva il famoso salotto. Né sappiamo in quali caffè Manzoni si sedeva; almeno una volta sostò con la madre nel caffè Ranelagh, che oggi è una simpatica brasserie, specializzata in birre ad alta gradazione. Nel menu ce n' è una di nome "Morte Subito". Si può berla alla sua memoria anche se non risulta che Manzoni sia mai stato un tipo da birra. È invece un casermone sia pure secentesco, integrato dentro l'ospedale, la famosa Maisonnette, la residenza di campagna di Meulan-sur-Seine, dove le vite impastoiate di Sophie de Condorcet e del suo compagno Charles Fauriel facevano sentire al giovane Alessandro il pregio di un legame fuori da quella "promessa degli sposi" verso cui avrebbe confessato di sentirsi «da sempre naturalmente portato». Fauriel era stato l'amante di Madame de Stael, e Sophie, tra gli altri, era stata l'amante di un ex prete, il padre di Charles Baudelaire. Il paesaggio che vi si gode è ancora quello di allora, sebbene meno incantato per le fabbriche e i palazzoni lungo la valle che degrada verso la Senna, dove l'isola è sempre bellissima. In quel che fu il parco alberato, la cappella sconsacrata è un deposito di attrezzi da giardino. E nella cameretta dove dormiva Alessandro, «questa piccola cameretta dove per sempre si perderà la mia immaginazione», oggi (forse) dorme una vecchia signora, Madame Sarte, con una bella faccia che pare corrosa da un temporale. Non sa nulla di letteratura, e parla solo dei suoi due figli, sepolti al cimitero di Meulan, volati via come due foglie di ottobre, come due pagine di quel catechismo che, pur tra tanta devozione, e grazie anche alla Parigi libertina, ha insegnato a generazioni di italiani che non bisogna esser codardi e opportunisti come don Abbondio; che siamo tutti Renzo Tramaglino, tutti impulsivi e masochisti; che c'è sempre una donna Prassede, pronta a torturarci per il nostro bene.

La Repubblica, 16 ottobre 2005

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