27.11.18

Giuliano Procacci da Machiavelli ai neo-con. La passione civile sui sentieri della storia (Gianpasquale Santomassimo)

Ritrovo tra i ritagli questo necrologio di Giuliano Procacci. Fu senatore comunista dal 1978 al 1986 ed era nativo di Assisi. Ma, a mia memoria, ad Assisi e in Umbria è poco ricordato. “Posto” l'articolo perché riconosco in Procacci uno storico di grande valore, uno scrittore di storia brillante come pochi, un intellettuale impegnato e coraggioso. Un maestro e un compagno, insomma. (S.L.L.)


Allievo di Carlo Morandi, da cui ereditò il gusto della scrittura elegante e dell'ampiezza di orizzonti, Giuliano Procacci è stato uno degli storici italiani più aperti alle curiosità e alle innovazioni. La breve esperienza di studio in Francia dopo la laurea favorì certo la sua sensibilità verso il tema delle permanenze e delle continuità, ma il suo rapporto con la scuola delle Annales fu di tipo «dialettico», come si usava dire nel linguaggio d'epoca, nutrito di fascinazione e diffidenza, come accadeva a tutti i giovani storici marxisti del dopoguerra.
Perché Procacci fu storico senza dubbio «impegnato», se pure con ironia e distacco sorridente: tra i suoi primi scritti troviamo tanto studi sulla Francia in età moderna, quanto sui dibattiti della socialdemocrazia tedesca nell'età della Seconda Internazionale, ma anche inchieste sugli operai della Galileo a Firenze. Del resto l'intreccio tra storia e politica, non privo di innegabili rischi, per questa generazione non rappresentò accecamento ideologico, ma stimolo a studiare e comprendere la realtà che si voleva contribuire a mutare.
Giuliano Procacci
Gli studi su Machiavelli e il machiavellismo, la fortuna e la leggenda nera di questo grande pensatore, furono il primo contributo determinante, un autentico punto fermo storiografico (un interesse che di tanto in tanto si riaccendeva: Un Machiavelli per la Delta Force si intitola uno dei suoi ultimi scritti, a proposito della versione neocon di Machiavelli proposta al pubblico americano da Michael Arthur Ledeen). I suoi studi degli anni Sessanta sul movimento operaio si condensarono alla fine del decennio nel volume d'insieme Lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, memorabile per l'equilibrio della trattazione di spontaneità e organizzazione (termini fin troppo dibattuti nella polemica del tempo) e per la delineazione di geografia e struttura del movimento operaio (e contadino).
Arrivato a questo punto della sua carriera di studioso, mutò completamente oggetto del suo interesse, inaugurando una serie di studi sull'Unione Sovietica, che colmavano un vuoto avvertibile e vistoso nella storiografia comunista. Più che i suoi contributi, pure rilevanti, va qui ricordata la fondazione della prima scuola storiografica italiana che prese ad approfondire e dibattere in forma scientifica questo tema.
Ormai avviato questo lavoro di scuola, prese ad occuparsi del problema della pace e della guerra negli anni Trenta, con studi di grande acume critico e filologico che forse non ebbero il rilievo che avrebbero meritato: la questione della «pace possibile», dei tentativi dei movimenti internazionali per arginare la guerra (forse) evitabile, del fallimento doloroso di questi sforzi.
La sua opera più nota e fortunata rimane e probabilmente resterà la Storia degli italiani, che smentisce il luogo comune della incapacità degli storici accademici di farsi leggere e comprendere. Scritta per un pubblico straniero, muoveva dalla consapevolezza che per gli osservatori esterni l'Italia è spesso «il paese di Pulcinella». «Ma Pulcinella - aggiungeva Procacci - non è, come sappiamo, soltanto un guitto, ma un personaggio, una "maschera" di grande spessore e verità umana, che... ha molto vissuto, molto visto e molto sofferto ... Pulcinella non muore mai, perché egli sa che tutto può accadere nella storia. Anche che la sua antica fame venga un giorno saziata». Il libro si apriva con una citazione da La casa in collina di Cesare Pavese (Professore, ... Voi amate l'Italia? ... - No, ... non l'Italia. Gli italiani), e si chiudeva con la descrizione dei funerali di Togliatti, paragonato a Cavour per lucidità politica e fermezza, a cui «toccava di morire in un'Italia gaudente e volgare».
Il libro era datato aprile 1968, la fame antica sarebbe stata ben presto saziata con voracità disordinata e bulimica, e l'autore non poteva immaginare da quale Italia gli sarebbe toccato prendere congedo.

il manifesto 5 ottobre 2008

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