8.1.19

Il neofascismo riabilitato. Un convegno a Perugia (Salvatore Lo Leggio)

Arturo Michelini e Giorgio Almirante

A Perugia, nella sala della Domus Pauperum di via Garibaldi, rinnovata ed accogliente, ma con audio pessimo, si è svolta il 5 dicembre scorso la “giornata di studi” sui Neri in una provincia “rossa” (sottotitolo Destre e neofascismo a Perugia dal dopoguerra agli anni Settanta) che l'Istituto per la Storia dell'Umbria Contemporanea ha organizzato con il patrocinio dell'Università di Perugia e del Comune. Nel dépliant di presentazione si poteva leggere un tortuoso ragionamento che vale la pena di riportare per intero: “La fine della contrapposizione ideologica comunismo/anticomunismo, facendo venir meno la conventio ad excludendum ai danni delle ali estreme dello schieramento politico, ha consentito da tempo l’ingresso sia degli eredi della tradizione comunista sia di quella neofascista nell’area di governo a livello nazionale e locale. Tale evoluzione ha avuto riflessi positivi sulla storiografia che ha cominciato a indagare il fenomeno delle destre in Italia fuori da una logica improntata alla semplificazione e/o alla demonizzazione. In un quadro che vede un generale progresso delle conoscenze relative al fenomeno delle destre, il tema del neofascismo in Umbria è stato poco studiato, sommerso dalla retorica della 'regione rossa', la stessa che ha condotto anche a una rimozione dell’esperienza del ventennio fascista”.
Al di là del linguaggio allusivo e un po' criptico, quel che il testo proclama e festosamente saluta è la fine dell'antifascismo. Anche in Umbria. Il racconto che in filigrana vi si legge riporta alla memoria gli approcci degli anni 90 e – in particolare – il discorso di insediamento come presidente della Camera dei Deputati di Luciano Violante (1996). L'ex magistrato, divenuto esponente di punta dei Ds, chiedeva “uno sforzo di comprensione”, una riflessione sui ragazzi e le ragazze di Salò, con lo scopo dichiarato di allargare i “confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese”. Ma in Umbria, secondo gli organizzatori del convegno di via Garibaldi, gli appelli allo sdoganamento, anche storiografico, del neofascismo erano caduti nel vuoto ed erano piuttosto continuate le discriminazioni, le demonizzazioni e le rimozioni.
Nel convegno non sono mancate comunicazioni utili, come quella di Alessandro Sorrentino sulle pagine locali dei quotidiani (si proclamavano indipendenti, ma non mancavano – nel caso del “Tempo” di Roma sistematicamente – di fiancheggiare le attività del MSI e, in particolare, della destra studentesca); è il tono – in ogni caso – a far la musica e il tono lo hanno dato le due relazioni iniziali, diverse ma complementari nei contenuti e convergenti nella finalità: la riabilitazione del fascismo, del neofascismo e del postfascismo.
Il primo dei relatori, Giuseppe Parlato, insegna in una Università di Studi Internazionali di Roma, di indirizzo cattolico conservatore, che fino a qualche anno fa si chiamava “San Pio V” e di cui si parlò a proposito di lauree facili. Si è specializzato nella storia del neofascismo, con libri sulla “fiamma tricolore” e la cura di una mostra sul MSI, organizzata dall'omonima fondazione. Nella relazione ha raccontato di un Michelini, segretario della fiamma tricolore, deciso ad inserire il suo partito nel sistema politico dell'Italia repubblicana, severissimo contro i dissidenti interni e di un Almirante, più antisistema e – proprio per questo – paradossalmente più inclusivo, capace nello stesso tempo di favorire il rientro del “radicale” Rauti, fondatore di “Ordine nuovo”, e l'apertura della Destra nazionale con monarchici, liberali conservatori e clericali. Ha parlato, attraverso i casi di Trieste, Genova e Reggio Calabria di un Msi plurale e sottolineato l'importanza di convegni come questo di Perugia (il primo in Italia, a suo dire) tesi a ricostruire la vicenda dei “neri” nei territori. Ha soprattutto lamentato la carenza di documenti, citando una frase di Mussolini diretta allo storico Gioacchino Volpe (“i fascisti la storia non la scrivono, la fanno”), ma ancor più raccontando vittimisticamente di una comunità assediata, con il terrore della messa fuorilegge e in cui si evitava, per scelta di vigilanza, di documentare.
La seconda relazione portava le firme di Alessandro Campi, il biografo di Mussolini che a Perugia è stato presenza influente come docente universitario, editorialista e direttore della Fondazione Cassa di risparmio, e del suo allievo Marco Damiani, che ha soprattutto analizzato i flussi elettorali. La tesi è che nel capoluogo umbro (e non solo lì) la continuità del fascismo come blocco moderato, caratterizzato dall'anticomunismo, non è da individuarsi nel solo Movimento Sociale ma in un arco di forze variegato che opera in partiti diversi, ma nel cui elettorato c'è una certa osmosi. Questo spiega, per esempio, il rafforzamento del MSI a scapito della DC come risposta alla riforme agrarie degli anni 50 e 60 o anche il grande peso a Perugia di Alleanza Nazionale all'interno della prima coalizione berlusconiana, il Polo della Libertà. La relazione di Campi e Damiani, ha trovato completamento nella comunicazione di Leonardo Varasano, ricercatore storico e presidente forzitaliota del Consiglio Comunale di Perugia, che ha raccontato le scelte di alcuni notabili fascisti perugini nel postfascismo: chi nel Movimento sociale, chi nel Pli, chi nella Dc, chi negli apparati dello Stato, ma tutti a modo loro coerenti con un passato mai rinnegato.
In questa storia si affacciano qua e là le relazioni della destra nera o nereggiante con i ceti proprietari, coi corpi separati dello stato - con gli ambienti più retrivi della magistratura, con le gerarchie militari, con i servizi segreti, con la burocrazia, per esempio – ma sono come annacquati, anzi annegati in questa sorta di “normalizzazione del fascismo e del postfascismo”, in cui scompare anche l'uso spregiudicato dei fascisti in funzione della conservazione dell'ordine interno ed internazionale: nomi come De Lorenzo, Miceli, Birindelli, per esempio, sono tabù. Così il fascismo, da San Sepolcro ad oggi, è tutt'altro che il “male assoluto”, e i suoi figuri sono figure da cui si può persino imparare: Varasano non si è vergognato di esibire una qualche commozione nell'aver ereditato la scrivania che era stata di un Uccelli, podestà di Perugia.
Insomma questa più che una giornata di studio è parsa un'operazione politica ed è stupefacente che, per calcolo o per distrazione, all'ISUC l'abbiano avallato, soprattutto in tempi in cui la rivalutazione storica del fascismo contribuisce a intorbidare un clima politico nazionale e internazionale caratterizzato da razzismi e venti di guerra.

micropolis, dicembre 2018

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