31.1.19

La Cina sulla Luna, tra esplorazione, tecnologia e politica (Emiliano Ricci)



Con la discesa della sonda Chang'e-4 sulla parte nascosta della Luna, il programma spaziale della Cina segna un altro importante successo, le cui implicazioni vanno al di là dell'esplorazione del nostro satellite, ma coinvolgono le politiche spaziali internazionali e aprono la strada a nuovi scenari di collaborazione, in cui l'Italia ha già un ruolo di primo piano


Dalle 3:26 ora italiana del 3 gennaio 2019, la sonda cinese Chang’e-4 è posata sul suolo lunare. Ma, a differenza di tutte le precedenti missioni lunari, per le quali il luogo di allunaggio aveva una linea diretta di comunicazione con il nostro pianeta, per questa missione l’Agenzia spaziale cinese ha scelto una sfida molto più grande: far arrivare la sonda sulla faccia nascosta della Luna.
Il nostro satellite, infatti, essendo molto vicino alla Terra, ha il periodo di rivoluzione sincronizzato con il periodo di rotazione, per cui ci mostra sempre la stessa faccia. Di conseguenza, ci è impossibile osservare direttamente il cosiddetto far side, il lato lontano, che per questo motivo è definito “faccia nascosta”.
Inoltre, il punto di allunaggio di Chang’e-4 è fra i più interessanti di tutta la superficie lunare: la parte meridionale del cratere da impatto Von Kármán, di circa 180 chilometri di diametro, a sua volta compreso all’interno del bacino Polo Sud-Aitken: nelle vicinanze del polo sud lunare, appunto, cioè la regione dove precedenti missioni hanno rivelato la presenza di ghiaccio d’acqua in superficie.
Un luogo, quindi, dove qualcuno ha già ipotizzato la costruzione della prima base lunare, data la prossimità con un potenziale serbatoio di acqua per soddisfare i diversi bisogni degli abitanti della base.
Ma non solo. Il bacino Polo Sud-Aitken – un’imponente struttura di quasi 2500 chilometri di diametro e profonda 13 chilometri – è il cratere da impatto più antico di tutta la superficie lunare e fra i più estesi di tutto il sistema solare.
La missione prevede quindi di esplorarlo anche con un piccolo rover, Yutu 2, rilasciato dal lander proprio allo scopo di indagare il suolo del cratere e tracciarne la storia. (Il primo Yutu - "coniglio di giada" in cinese - si trova sull'altro lato della Luna dal dicembre 2013, con la missione Chang'e-3.)
A dare rilievo allo sbarco cinese c'è anche l'aspetto tecnologico. Per abilitare le comunicazioni con la Terra, infatti, la missione, nel suo complesso, doveva prevedere anche l’immissione in orbita lunare di un satellite capace di svolgere la funzione di ponte radio fra il lander nascosto alla vista e i ricevitori terrestri.
Il satellite Queqiao (in cinese, letteralmente "ponte di gazze") è infatti già in orbita da alcuni mesi, e può anche essere interpretato come il primo passo verso una possibile rete di satelliti per telecomunicazioni lunari, proprio come quelle che avvolgono lo spazio attorno al nostro pianeta. Intanto ha già dato prova di funzionare alla perfezione, inviando a Terra le prime immagini della faccia nascosta che il lander ha ripreso poco dopo l’allunaggio.
Ma l'aspetto forse più interessante del successo di Chang'e-4 riguarda le politiche spaziali e i rapporti internazionali nel loro complesso.
Nello stesso anno in cui gli Stati Uniti si avviano a celebrare in pompa magna il cinquantesimo anniversario della missione Apollo 11, quella che portò i primi uomini a calpestare il suolo lunare, la Cina lancia infatti una nuova importante sfida a tutti i paesi impegnati nella conquista dello spazio e, in particolare, della Luna: la cui “riconquista” umana è vista da tutti come il prossimo passo, da farsi prima di qualunque altra conquista spaziale, il cui obiettivo principale è naturalmente il pianeta Marte.
Terminata la “corsa allo spazio” della Guerra Fredda, che, a partire dal 1° ottobre 1957, con il lancio del primo satellite sovietico Sputnik 1, vide impegnati gli Stati Uniti in una sfida a distanza con l’Unione Sovietica per dimostrare la propria superiorità scientifica e tecnologica e quindi l’eventuale superiorità del proprio modello di sviluppo, lo spazio non è più da tempo appannaggio di due nazioni.
L’Europa, il Giappone, l’India e molti altri paesi hanno politiche spaziali. Ma gli Stati Uniti sanno che lo sfidante più temibile è sicuramente la Cina, il terzo paese in assoluto ad aver mandato nello spazio degli astronauti (“taikonauti”, per distinguerli dagli astronauti occidentali e dai cosmonauti russi) con tecnologie proprie, ad aver fatto atterraggi morbidi sulla Luna con sonde robotizzate, ad aver messo in orbita delle stazioni spaziali, e, infine, il primo ad aver posato con successo una sonda sulla faccia nascosta della Luna.
Grazie a queste sue capacità ha già attratto collaborazioni con diversi altri paesi per portare avanti le proprie politiche spaziali. Non è un caso, per esempio, che a bordo della missione Chang’e-4 ci siano strumenti ed esperimenti frutto di collaborazioni con ricercatori olandesi, tedeschi, svedesi, sauditi.
Anche l’Italia ha attive importanti collaborazioni con la Cina in ambito spaziale. A febbraio scorso, per esempio, è stato lanciato il satellite CSES (China Seismo-Electromagnetic Satellite), noto in Cina con il nome di Zhangheng 1, per il monitoraggio dei terremoti dallo spazio, che a bordo monta uno strumento realizzato da ricercatori italiani. Ma la collaborazione Italia-Cina potrebbe in futuro portare anche nostri astronauti sulla stazione spaziale cinese attualmente in preparazione (Samantha Cristoforetti ha già trascorso periodi di addestramento con i colleghi cinesi).
La firma dell'accordo tra l'Agenzia spaziale italiana (ASI) e la China Manned Space Agency (CMSA) per nuove sperimentazioni scientifiche a bordo della Stazione spaziale cinese nell’ambito del volo umano. L’intesa è stata firmata a Pechino nel 2017 dal Presidente dell’ASI, Roberto Battiston, e dal Direttore Generale di CMSA, Wang Zhaoyao, in occasione della visita di stato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. (CCTV/ASI)
Questa è una tipica dimostrazione di quello che viene definito soft power, ovvero la capacità di un Paese di dimostrare in maniera assertiva e non aggressiva la propria forza economica e politica e di attrarre quindi l’interesse di altre nazioni, accrescendo la propria reputazione, in contrapposizione all’uso dell’hard power, cioè la forza militare o l’impiego, a livello diplomatico, di minacce o sanzioni.
Tutti gli analisti sanno che la riconquista umana della Luna, e ancora di più, la conquista di Marte, saranno frutto di un’opera congiunta di più nazioni, e non più dell’impegno tecnologico di una sola. Anche negli Stati Uniti c'è questa consapevolezza. Tuttavia, nel 2011, basando la decisione su motivi di sicurezza nazionale, il Congresso legiferò in modo da impedire alla NASA di attivare accordi bilaterali con la Cina e questo naturalmente impedisce l’avvio di qualunque tipo di collaborazione fra Stati Uniti e Cina nell'ambito dell’esplorazione spaziale.
Ma alcuni analisti commentano che, nonostante i rapporti fra Stati Uniti e Russia non siano idilliaci, fra i due paesi è attiva ormai da anni una proficua collaborazione per le missioni spaziali civili. Basti pensare che, terminata nel 2011 l’epoca dello space shuttle, al momento l’unico veicolo capace di portare nuovi equipaggi sulla Stazione spaziale internazionale è la navicella russa Sojuz.
Lo stesso, pensa qualcuno, in fondo potrebbe accadere anche con la Cina, e la speranza di molti è che gli impedimenti legislativi vengano meno – anche se, in epoca Trump, sembra piuttosto difficile – o che si possano aggirare, ovviamente in maniera legale.
D’altra parte, l’atto del Congresso non vieta nettamente la stipula di collaborazioni fra la NASA e l’Agenzia nazionale cinese per lo spazio (CNSA), ma ne subordina l’attivazione all’approvazione del Congresso stesso. Ecco perché alla NASA già qualcuno auspica che questa collaborazione possa già partire dalla prossima missione robotizzata cinese diretta verso la Luna, la Chang’e-5, programmata per il lancio alla fine del 2019, che ha come obiettivo principale il prelievo di un campione di materiale lunare e il suo trasporto verso la Terra.
Un’occasione carica di significato – per la NASA e le altre agenzie spaziali – se si pensa che l’ultima volta che è stato riportato a terra materiale lunare risale alla missione sovietica Luna 24, del 1976.

dal sito di “Le Scienze – Edizione italiana di Scientific American”, 4 gennaio 2019

Nessun commento:

Posta un commento