21.1.19

L'educazione di un popolo. In Cina De Amicis va a braccetto con Confucio (Maurizio Scarpari)

Xi Jinping, insieme ad altri familiari, porta a spasso il vecchio padre in un parco di Pechino
“L'educazione d’un popolo si giudica / innanzi tutto dal contegno ch’egli tiene per la strada». Leggevo la traduzione di questo aforisma deamicisiano su un pannello «pubblicità progresso» nella metropolitana di Shanghai, meravigliato che il libro Cuore avesse riscosso tanto successo in Cina. Da noi la frase avrebbe fatto sorridere, ma non in quel Paese, abituato ai manifesti e agli slogan un tempo dedicati agli ideali del socialismo, oggi inneggianti ai valori etici confuciani. Sono espressione di un populismo illuminato e al tempo stesso autoritario che trae ispirazione da un principio cardinale del confucianesimo classico, tenuto presente dai governanti di ogni epoca: il primato del popolo (yi min wei zhu; da questa locuzione deriva la parola «democrazia», minzhu).
Il principio, elaborato da Mencio nel IV secolo a.C., ha fissato con chiarezza le priorità del potere istituzionale: «Il popolo occupa il primo posto, poi viene lo Stato e per ultimo il sovrano» in un’ottica in cui «il mondo ha il suo fondamento nello Stato, lo Stato nella famiglia e la famiglia nell’individuo». In Cina il populismo (mincuizhuyi) ha mantenuto nei secoli il focus sulla collettività ancor prima che sull’uomo. Eppure, nonostante le riforme avviate negli ultimi decenni, in Occidente la Cina è ancora percepita come un Paese illiberale. Il suo leader, autoritario e accentratore, è paragonato a un imperatore che governa con pugno di ferro. Rappresenta un modello invidiato da statisti come Donald Trump ma, mentre il presidente americano non riscuote un vasto consenso nel suo Paese, Xi Jinping gode del favore di gran parte dei cittadini, per i quali è Xi Dada, «Zio Xi».
Come si spiega quest’apparente contraddizione? La stima e l’affetto di cui Xi Jinping gode sono dovuti non solo ai buoni risultati conseguiti da quando è al governo, ma anche a un’abile operazione di propaganda, volta a ridurre l’enorme distanza che si era venuta a creare tra il Partito comunista, il solo organo indipendente a cui tutte le altre istituzioni sono subordinate, e l’uomo comune, a lungo vessato da burocrati e politici impegnati nella difesa di privilegi ottenuti illegalmente e ostentati senza alcun pudore. Appena nominato segretario generale del Partito, Xi ha decretato la fine del «periodo dell’umiliazione nazionale» imposto dalle potenze straniere a partire da metà Ottocento e ha annunciando l’inizio di un grande Rinascimento destinato a riportare la Cina al centro del tianxia, «ciò che è sotto il cielo», com’era stato fin prima della Grande Divergenza, promuovendo l’orgoglio nazionale e i valori patriottici, affinché non solo i cinesi residenti in patria, ma anche le comunità all’estero si sentano partecipi del processo di rinnovamento e contribuiscano alla rinascita del Paese e alla diffusione della sua cultura tradizionale.
Questo sogno identitario presuppone uno sforzo corale verso un obiettivo comune che trasformerà il sogno da cinese a globale. Abbiamo così visto il presidente-di-tutto ergersi a paladino della globalizzazione e del libero mercato in un momento in cui i rappresentanti delle grandi economie liberiste sembrano voler andare in direzione opposta, farsi promotore di grandiosi progetti infrastrutturali destinati a cambiare gli assetti geopolitici ed economici del pianeta, realizzare quanto promesso, ma non mantenuto, dai suoi predecessori: combattere i soprusi della casta, moralizzare istituzioni e Paese, cercare di eliminare corruzione ed eccessi di una classe burocratica e politica che aveva spadroneggiato in ogni settore delfamministrazione pubblica e dell’esercito. Ma anche limitare alcune libertà individuali e controllare, e in caso reprimere, forme eccessive di dissenso.
Nonostante la fitta agenda di impegni, eccolo nei panni del figlio devoto a passeggio con la madre nel parco o ripreso dai telefonini dei clienti di un affollato ristorante mentre mangia, inatteso, tra la gente (in pochi minuti le immagini sono arrivate ovunque) o protagonista dei racconti del tassista che l’ha avuto come cliente e ha colto l’occasione per parlargli di inquinamento e dei problemi del proprio lavoro. Eccolo infine ritratto sui gadget di stile maoista e sulla copertina dei libri che riportano i suoi discorsi o raccolgono le citazioni dai classici ch’egli inserisce nei suoi scritti, al pari dei letterati di un tempo che sapevano coniugare la cultura con l’impegno sociale e istituzionale. Il populismo con caratteristiche cinesi può anche lasciarci perplessi, però funziona.

La Lettura - Corriere della Sera, 8 luglio 2018

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