Generale, il tuo carro
armato è una macchina potente / spiana un bosco e sfracella cento
uomini. / Ma ha un difetto: / ha bisogno di un carrista. [...]
Generale, l'uomo fa di tutto. / Può volare e può uccidere. / Ma ha
un difetto: / può pensare.
Quante volte,
specialmente quand’ero un giovane insegnante democratico, ho dato
questa poesia da commentare come compito in classe ai miei
incolpevoli allievi; e quasi sempre in concomitanza di crisi
internazionali, che non sono certo mancate. Per cui - in una forma di
sottile ricatto, della quale mi rendo conto solo ora - mi
ripromettevo di suscitare, oltre all’ammirazione per l’insuperata
radicalità del nesso pensiero-poesia nel vecchio Bertolt Brecht,
l’assunzione di una posizione di denuncia della guerra
eventualmente in corso e di ogni forma di militarismo: come potevano
non condividere una scelta di rifiuto fatta in nome dell’uomo e
della sua qualità più preziosa, il “poter pensare”?
Certo, è tutto giusto e
potrei dire di me: fatto bene. Come mai, allora, questo dubbio che
ora mi tormenta? Sarà stato per caso un po’ troppo generico
(genericamente umano) quel richiamo all’uomo e ad un suo presunto
valore positivo?
Adesso guardo la
televisione e vedo le città palestinesi rase al suolo dai carri
armati di Sharon, e mi ripeto a memoria la vecchia poesia; ma non me
ne viene una consolazione. Ecco, si vedono i carristi che sbucano
dalle torrette e puntano i mitragliatori su ragazzi terrorizzati, in
ginocchio. Cosa “pensano”, i carristi? Le migliaia di riservisti
che lasciano la casa, l’ufficio, per andare a fare questo... Allora
mi viene il dubbio che oggi avrei delle difficoltà a spiegare il
senso ironico-antifrastico di quella parola su cui si inarcano le tre
strofe della poesia: “difetto”. E mi viene il dubbio che forse
quella parola è da prendere, oggi, alla lettera: è davvero un
difetto (ein Fehler) il dato che l’uomo “può pensare” -
e questo uomo qui, proprio lui sul suo carro armato. E credo che non
ho più tante speranze da comunicare, e credo che farò bene a
lasciare la scuola. In fondo è tempo di andare in pensione.
"micropolis" aprile
2002
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