25.2.19

Umanità di Rosa. Le lettere della Luxemburg a Leo Jogiches (Mario Spinella)



«Una casa nostra, dei mobili nostri, una nostra biblioteca, un lavoro sistematico e tranquillo, le passeggiate assieme, di tanto in tanto l’opera, una ristretta cerchia di amici da invitare ogni tanto a cena, ogni anno un mese di vacanze d’estate, in campagna, senza ombra di lavoro!... E forse anche un piccolo, un bambino? Non mi sarà mai concesso? Mai?».
Chi scrive queste righe in una lettera all’uomo amato? Vedo già il settario oggi alla moda storcere il naso innanzi a una simile effusione «piccolo-borghese», come egli direbbe. Eppure, a scrivere queste righe è una tra le maggiori, se non la maggiore rivoluzionaria del nostro secolo, Rosa Luxemburg, e non negli anni sognanti della adolescenza, ma il giorno dopo aver compiuto i ventinove anni, quando già da tempo si è fatta conoscere per i suoi articoli sulla situazione polacca, e anzi è già, da qualche mese, redattore capo di uno dei più importanti organi di stampa della socialdemocrazia tedesca, la Sachsische Arbeiterzeitung di Dresda.
Bene ha fatto Lelio Basso, profondo conoscitore ed estimatore del pensiero e dell’azione di Rosa Luxemburg, dovendo operare una scelta nel ricchissimo carteggio tra Rosa e Leo Jogiches, un militante e dirigente socialista polacco da lei amato, a concentrare l’attenzione su quelle tra le lettere dalle quali meglio risultasse il profilo «umano» della grande rivoluzionaria. Basso non si perita di scrivere, nella prefazione all’edizione italiana (e noi siamo totalmente d’accordo con lui): «Al fondo della personalità di Rosa Luxemburg, al fondo anche del suo intransigente impegno rivoluzionario, c’è un bisogno infinito di amare, di amare la vita e di amarla in tutte le creature. Nonostante tutte le esegesi “scientifiche”, credo che alla radice di molte scelte rivoluzionarie, anche dei più grandi rivoluzionari, al fondo di tante ribellioni giovanili che poi influenzano tutta una vita, ci sia un sentimento di profonda rivolta contro le sofferenze, le iniquità, la miseria e un sentimento di amore per chi ne è la vittima». E cita, tra l’altro, Basso, un’espressione di Rosa, ancora nel febbraio 1917, dopo le vicissitudini che le avevano fatto conoscere sia il ruolo di dirigente del movimento operaio, sia quello di perseguitata, imprigionata, oppressa: «Io mi sento di casa in tutto il mondo, ovunque siano nuvole e uccelli e lacrime umane ». Ed è proprio, argomenta Basso, «questo amore immenso per gli uomini, per la natura, per la vita nelle sue molteplici manifestazioni» che «così come le darà una forza straordinaria per sopportare le condizioni più avverse, le dà in pari tempo un grande desiderio di gioire, di godere in pienezza di gioia le ricchezze della vita, di ristabilire sempre un equilibrio fra sé e l’ambiente di vita, fra il mondo interno e il mondo esterno ».
In tal modo, anche se l’edizione italiana delle Lettere a Leo Jogiches (Milano, Feltrinelli 1973) contiene solo una parte delle 891 tra lettere e cartoline pubblicate dal curatore polacco, Feliks Tych, essa non solo non ci appare monca, ma contribuisce a mettere a fuoco — al pari e più delle migliori biografie — il nocciolo vitale della personalità di Rosa quale emerge nel lungo arco di vita che va dai suoi ventiquattro anni (1894), sino al 1905 (poche sono infatti le lettere successive a questa data).
Questa eccezionale vitalità è testimoniata in pieno dal carteggio: la piena dei sentimenti non solo non impedisce a Rosa di impegnarsi a fondo nel movimento rivoluzionario, ma sembra, al contrario, sollecitarla a dare tutto di sé. Si vedano, a questo proposito, le lettere del 1894 e 1895 da Parigi, ove Rosa si era recata per dar vita a un periodico destinato a sostenere la causa operaia polacca. È tutto un fervore di lavoro, di domande, di revisione e di controllo degli articoli; e nel frattempo Rosa produce, spesso con la collaborazione di Jogiches, volantini ed opuscoli, incontra gente, si occupa della tipografia, della spedizione, persino dell'imballaggio, tiene conferenze. E ben presto comincerà a collaborare alla prestigiosa Neue Zeit, mentre prepara la sua tesi di laurea su Lo sviluppo industriale della Polonia.
Una seconda serie di lettere ha inizio dal maggio 1898. Rosa si è trasferita in Germania, Leo Jogiches è rimasto a Zurigo. Con uno stratagemma (un matrimonio in bianco) ella ha assunto la cittadinanza tedesca: una scelta che risulterà decisiva per la sua vita, e che le permetterà di militare (e di emergere) in quello che era allora il maggior partito socialista della Seconda Internazionale. Sorprende, sin dalle prime lettere di questo periodo, la sicurezza della giovane donna, che non si perita di tener testa, sulla questione polacca sulla quale — come scrive — era «meglio informata» di loro, ai massimi dirigenti del partito tedesco che allora — aggiunge — ritenevano che «non si può fare agli operai polacchi della Slesia altro che germanizzarli». Rosa sa bene quello che vuole («Preferirei "agire” all’inizio su un palcoscenico più in vista — a Berlino — e non in qualche buco dell’Alta Slesia»), ed ha piena coscienza del proprio valore («a Bebel non scriverò nulla, è superfluo: mi conoscerà dai fatti»); ma sa essere anche una militante («A proposito del mio lavoro, ieri per tutta la giornata, dalle otto del mattino fino alle 8 di sera, abbiamo girato la zona di Wolny per distribuire volantini e schede elettorali. Questo genere di lavoro a te può sembrare umiliante, come sembrava a me quando ero a Berlino, e perciò ero tanto scontenta di dover andare in Alta Slesia. Qui però sono arrivata alla conclusione opposta: un lavoro di questo tipo mi onora...»).
È con questo spirito che affronterà, nei mesi successivi, il non facile compito di affrontare direttamente il revisionismo di Bernstein, in una serie di articoli che saranno alla base del suo opuscolo Riforma sociale o rivoluzione? e che le conquisteranno la stima di Mehring e di altri esponenti del partito. Cosi, in pochissimi mesi, la giovane donna polacca esule a Zurigo si inserirà tra i quadri politici e teorici del grande movimento operaio tedesco: al quale sarà fedele sino alla morte.
Questi pochi esempi e commenti si limitano a dare un’idea, anche se pallida, dello straordinario interesse di questa scelta di lettere; che certo contribuirà a meglio far conoscere la grande rivoluzionaria polacco-tedesca e a chiarire, in modo diretto e indiretto, perché Rosa Luxemburg diverrà comunista e come tale sarà assassinata dalla reazione.

“l'Unità”, sabato 16 febbraio 1974

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