8.4.19

Antichi tessuti in mostra. Lana, seta e pittura a Firenze nel Trecento (Elisabetta Bazzani)



Alla Galleria dell’Accademia di Firenze si tiene fino al 15 aprile l’esposizione Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta, pittura ideata e curata dalla direttrice Cecilie Hollberg. Delle 66 opere esposte, un numero consistente rimonta al XIV secolo, anche se non mancano esemplari di tardo Duecento e degli inizi del Quattrocento. Gli oggetti sono presentati al pubblico con un’esposizione didatticamente corretta che, oltre al piacere visivo implicito nella loro qualità estetica, offre al visitatore la possibilità di soffermarsi su altri materiali storici, fra cui i sigilli in bronzo dei consoli dell’arte della seta di Firenze e della drapperia di Calimala o gli statuti dell’arte della lana, offrendogli una rara occasione per venire a conoscenza di alcuni di quegli aspetti dell’arte tessile che sono stati determinanti per lo sviluppo economico e la conseguente ricchezza di Firenze.
La mostra si apre con un’istallazione multimediale dedicata alla figura del mercante pratese Francesco di Marco Datini, che illustra il lungo processo di fabbricazione e commercializzazione dei panni medievali. La seconda metà del Trecento fu un’epoca in cui per la prima volta diversi lanaiuoli si specializzarono nella produzione pregiata, favoriti dalla costante importazione della migliore lana inglese, ottenendo articoli di pregio, in contrasto con i tempi precedenti, quando Firenze fabbricava vari tipi di panni di qualità media o addirittura andante, con lane italiane, iberiche e nordafricane. La rapida ascesa nel consenso per i panni fioorentini di lusso su scala locale e internazionale dipese, oltre che dall’impiego di lana eccellente, anche dalle materie coloranti utilizzate da operai professionisti, i tintori, che erano tenuti all’osservanza delle rigide prescrizioni statutarie.
Un ruolo primario era riservato ai “panni scarlatti” dal rosso vivo e intenso, ottenuto esclusivamente dal kermes e dalla grana, sostanze entrambe d’importazione, ricavate da insetti parassiti della quercia (coccus ilicis). In un mondo dominato dall’apparire, il colore ha una funzione di indubbia valenza simbolica, e nella gerarchia cromatica medievale il rosso era il più stimato, essendo il solo in grado di sostituire l’antichissima porpora, particolarmente apprezzata in epoca classica per il suo prestigio sociale e nobiliare, ma già scomparsa in epoca medievale. A differenza di quella della lana, l’industria della seta ebbe a Firenze uno sviluppo relativamente tardo rispetto ad altri centri tessili, primo fra tutti Lucca, che già dal Duecento produceva il rinomato “diaspro” e che nel XIV secolo era probabilmente l’unica città dell’occidente europeo ad avere una particolare specializzazione nel campo della seta. L’attività risulta però presente nel capoluogo fiorentino almeno dal 1225. Fra i motivi dello sviluppo dell’arte della seta si ritiene sia stato determinante nel 1314 l’arrivo in città di mercanti, imprenditori e intere famiglie di artigiani lucchesi, esiliati a seguito di lotte interne e accolti con benevolenza dai fiorentini.
Documentare il tipo di produzione fiorentina in epoca storica anteriore al Quattrocento non risulta semplice, in mancanza di dati certi, sia per quel fenomeno d’immigrazione con spostamenti di manodopera che ebbe conseguenze significative sulle diverse fasi della lavorazione del prodotto, sia per l’emulazione di modelli e tecniche che si diffusero nell’Occidente medievale. Nella sezione Geometrie mediterranee sono visibili alcuni fra gli schemi compositivi seriali più comuni, già presenti nel mondo sassanide, dominanti in Europa fino alla fine del Duecento, come quello delle ruote tangenti con iscritti animali araldici, singoli o a coppie, addorsati o affrontati. La sezione illustra inoltre la notevole influenza che hanno avuto sulla produzione locale le stoffe realizzate negli atelier di tessitura ispano-moreschi, con decoro marcatamente geometrico a partiture lineari, denominate con il termine lampasso: tecnica che subentrò al precedente sciamito e fu molto apprezzata per la gamma di varianti nell’intreccio dei fili che formano il fondo e il disegno della stoffa.
La sezione Lusso dell'Asia presenta preziosi tessuti improntati a modelli cinesi: spiccano il telo funebre proveniente dalla sepoltura a Verona di Cangrande della Scala, e, come traslato pittorico, il suntuoso drappo dipinto da Niccolò di Pietro Gerini nel dorsale del trono della grande Madonna col Bambino fra i santi Giovanni Battista e Zanobi. Particolarmente ricca la sezione dedicata alle “creature alate”, per la presenza di preziosi frammenti tessili, prevalentemente lampassi a trame di seta e oro membranaceo o filato in diverse varianti cromatiche e decorative, con animali alati, come il grifone e il senmurv o il fenghuang, l’uccello cinese di leggendaria bellezza assimilato alla fenice, particolarmente apprezzato in Italia per le sue posture dinamiche, tanto da trasferirle nelle rappresentazioni tessili ad aquile, falconi, pappagalli, draghi. Questo uccello esotico ad ali spiegate fra tralci vegetali è riprodotto in giallo-oro su fondo rosso nella suntuosa cortina sorretta da angeli nel San Martino di Lorenzo di Bicci, presente in mostra, a emulazione dei cosiddetti “panni tartarici”, interpretato però in senso cristiano come simbolo di sapienza divina e della resurrezione di Cristo. Lampassi islamici e lampassi di produzione italiana sono invece a#ancati, nella sezione Invenzioni pittoriche, alle tavole fiorentine di Jacopo di Cione, Niccolò di Tommaso e Simone di Lapo, che nelle loro opere mostrano di essere a conoscenza dei tessuti serici alla moda: nella Madonna dell’Umiltà sia il drappo su cui lei siede, sia la stoffa che avvolge integralmente il piccolo Gesù, l’una a decoro di uccelli affrontati, l’altra con pappagalli e tartarughe entro morbidi intrecci vegetali, sono ormai distanti dalle statiche immagini degli impaginati a ruote e dai rigidi animali araldici, in sintonia con la moderna tendenza naturalistica di più libera organizzazione. Eccezionale per la sua desti-nazione laica, la grande pala con l’Incoronazione della Vergine e santi non solo mostra visivamente un campionario di stoffe esemplificative delle tipologie decorative apprezzate a Firenze e dell’orientamento cromatico medievale incentrato su colori vivaci e contrastanti abbinati al prezioso oro, ma costituisce un importante documento per la storia della città, per la presenza nello zoccolo di base degli stemmi ecclesiastici e civili rappresentativi della politica fiorentina in quegli anni.
Le vesti di seta e Il lusso proibito introducono il visitatore nel trecentesco mondo dell’eleganza. Mentre ecclesiastici, docenti universitari, medici, giuristi continuarono a vestirsi all’antica, ossia con ampie vesti lunghe fino ai piedi, negli abiti di mercanti e artigiani, la classe emergente, si verificò un rapido processo di trasformazione: l’abito maschile divenne attillato e pertanto più funzionale, emulando l’abbigliamento militare, ma soprattutto rispondendo alla moda del tempo, improntata al linearismo gotico. Si assiste così intorno alla metà del Trecento a una vera e propria rivoluzione: sopravvesti strette e cortissime scoprono le gambe dei giovani, mentre il busto è arrotondato e i fianchi stretti, con opportune imbottiture. Un esempio tangibile era il pourpoint (“farsetto”), detto di Charles de Bois, confezionato con un tessuto di seta “tartarico” e impreziosito dalla novità del secolo: i bottoni. Un riscontro fiorentino di questo abbigliamento moderno è proposto in mostra dai due giovani dipinti da Giovanni del Biondo nella Crocifissione di Sant'Andrea, tavola proveniente dalla Gemäldegalerie di Berlino. Nasce in quegli anni una nuova figura professionale, il sarto, come illustra didatticamente il Theatrum Sanitatis, codice della fine del Trecento illustrato da un miniatore anonimo della scuola di Giovannino de’ Grassi.
Le leggi suntuarie emanate contro le novità del vestire non vietavano solo alle donne l’uso di gioielli, ornamenti preziosi, ricche sto#e e costose pellicce, ma condannavano persino gli stessi sarti che confezionavano i nuovi capi d’abbigliamento. Tuttavia la tenace resistenza di gran parte della cittadinanza nell’applicazione dei divieti fu in grado qualche volta di attutire il rigore delle prescrizioni limitandolo a disposizioni fiscali, in modo da consentire lo sfoggio di vesti, stoffe e ornamenti a fronte di un pagamento, con somme fissate per legge.
La Prammatica delle vesti del 1343 è un do-cumento molto importante nel quale sono elencate famiglie note in città che possedeva-no oltre cento abiti ognuna; vi sono rigorosa-mente dettagliate tutte le vesti in uso all’epo-ca a Firenze, suddivise per tipologia, colore e decorazione. Una campionatura di splendidi esemplari della seconda metà del Trecento attestava come la produzione serica italiana si sia andata progressivamente allontanando dai modelli tessili mediterranei e asiatici, elaborando un inedito repertorio ornamentale gotico e cortese, più sensibile al fenomeno naturale nella sua pluralità di forme. Discutibile invece l’istallazione multimediale sulle Vesti proibite per la regia di Giorgio Ferrero.
Se il percorso espositivo si apre nella prima sala con una veste infantile trecentesca in lana, nell’ultima chiude la mostra un sontuoso esemplare di quella stoffa elitaria che nel Quattrocento divenne simbolo ed espressione visiva della magnificenza e del potere detenuto dai signori del Rinascimento e dalla chiesa: un piviale del Museo nazionale del Bargello in velluto tagliato a un corpo in seta rosso cremisi, con inserti broccati in oro filato.

L'Indice Aprile 2018

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